Tempo di addii in casa Inter. E, sebbene questo sia un saluto da molti auspicato e bramato, esiste anche chi va oltre il mero aspetto economico di questo calcio ormai ultra veloce e privo di romanticismo e riconoscenza. La separazione da Alexis Sanchez, per chi vi scrive, è tutt'altro che indolore. Certo, si tratta di un addio contemplato, digerito, razionalizzato. Tutto giusto, tutto vero. Ma rimane dentro la sensazione di una storia che finisce senza la completa comprensione di ciò che è stato.
La moltitudine ha sotto gli occhi il tiramolla sulla buonuscita, la narrazione del "Tanto arriverà fino al 31 agosto per strappare le migliori condizioni possibili", "Ma cosa cerca ancora?", "Ma perché non si toglie dai piedi?!". E così via. Un modo di approcciare al calcio crudo e lacunoso, cinico e difettoso. No, non è il calcio che appartiene alla penna che state leggendo. Manca empatia, manca la memoria. Ci si proietta in modo forsennato e sconclusionato al futuro senza comprendere appieno il passato. Nessuno che ricordi quanto Sanchez abbia voluto l'Inter e quanto abbia poi lavorato da sé per consentire al club nerazzurro di confermarlo spendendo zero euro. Al Manchester United era un nababbo, con un contratto che sfiorava i 20 milioni di euro a stagione. Invece il cileno si era voluto rimettere in gioco, allettato dalla proposta tecnica di Antonio Conte. Prima stagione condizionata dal fallaccio di Cuadrado nell'amichevole tra Cile e Colombia, eppure non si dimenticano squilli e prove maiuscole. Soprattutto, di quel primo anno, torna alla mente il sacrificio nel restare sul terreno di gioco nei quarti di Europa League contro il Leverkusen nonostante un infortunio muscolare che poi ne pregiudicherà la semifinale e la finalissima.
L'ingaggio percepito attualmente era alto, certo, ma era anche eredità del pre-Covid. E, come detto, aveva già subito una netta sforbiciata rispetto a quanto incassava dai Red Devils. Il suo lavoro fu decisivo per la permanenza anche durante il Conte bis: lo United chiedeva un indennizzo, alla fine riuscì a svincolarsi a zero. E fu un fattore per il tricolore: determinante soprattutto nel momento chiave, il tratto del girone di ritorno tra Parma e Torino in cui i nerazzurri piazzarono lo scatto decisivo per distanziare la concorrenza. Poi il resto è storia recente, tra la volèe al Cagliari, la staffilata contro la Roma e, soprattutto, il gol alla Juventus al minuto 120 che è già entrato di diritto nella storia del club. Classe abbagliante.
Quello di Milano non è certamente stato il miglior Sanchez di sempre, quello visto tra Barcellona e Londra tanto per intenderci. Ma ha rappresentato comunque un'alternativa di valore, dovendo spesso anche abbozzare in panchina in momenti della stagione in cui la sua condizione era certamente superiore ai titolarissimi. Il carattere non gli è mai mancato e, a volte, ha pure ecceduto, dentro e fuori dal campo. Ma ci sta, fa parte della personalità di chi sa di valere tanto e di poter dare tanto. Un generoso, uno che non si risparmia: qualità che l'hanno esposto a critiche per la mancata rinuncia alla Roja (robe da pazzi...). Ad avercene di calciatori del calibro di Alexis Sanchez. Della sua personalità e della sua qualità. Ehi amigo, grazie di tutto.
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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