Di nuovo tu, caro, vecchio, antipatico Milan. A poco meno di venti giorni dalla finale di Supercoppa, sollevata dall'Inter sotto lo sguardo sconfortato dei ragazzi di Stefano Pioli, Inter e Milan tornano ad affrontarsi. Non per una finale questa volta, ma in un match che vale tanto quanto. Sì perché il derby, si sa, è sempre gara a sé, una di quelle in cui classifica e contingenze varie poco importano e poco incidono e per le quali non serve motivazione aggiuntiva alcuna. Certo, strano dirlo proprio oggi, ad un anno esatto da quell'Inter-Milan passato alla storia come il derby di Giroud, quello che consegnò di fatto lo scettro del campionato al Milan che il 22 maggio sollevò al cielo di Reggio Emilia il diciannovesimo titolo d'Italia. Altro che Bologna... A decidere le sorti dello scudetto scorso fu proprio quella stracittadina, maledetta per gli interisti, benedetta per gli uomini di Pioli, bravi a ribaltare in venti minuti un match che per i settanta precedenti fu completamente nelle mani dei padroni di casa, incartatisi poi su se stessi. Ma quella è un'altra storia e raccontarla oggi servirebbe solo a rivangare fantasmi di un passato che non conta neanche più molto... direbbero in tanti.
Eppure così non è perché al match di questa sera a presentarsi da favorita è ancora, come lo scorso anno, la squadra di Simone Inzaghi, sull'onda dell'entusiasmo di un buon periodo che l'eventuale vittoria contro i cugini suggellerebbe. Però c'è un però ed è il più tristemente condiviso da entrambe le tifoserie e compagini domani in campo: se quello di un anno fa era il derby più bello degli ultimi anni, con le milanesi tornate ai vertici della classifica a lottare per lo scudetto, quello di questa sera dirà alla classifica chi delle due può candidarsi più 'serenamente' alla medaglia d'argento della stagione 2022/23. I tredici punti che separano difatti l'Inter dal Napoli primo in classifica determinano un peso indiscutibilmente grande, una forbice tra primo e secondo posto che, delittuoso negarlo, non lascia molto spazio a immaginazione e speranze: pensare ad oggi di guadagnare terreno sulla squadra di Spalletti è pressoché impossibile e a meno di un suicidio sportivo dei partenopei, impronosticabile per chiunque, il gradino più alto del podio dell'annata in corso è già prenotato da un pezzo.
Ripensare dunque a quella stracittadina dei 365 giorni addietro fa inevitabilmente calare un velo di tristezza su San Siro che non può passare inosservato per Inzaghi e Pioli in primis. Perché se è vero che la scioltezza di corsa del Napoli verso lo scudetto è tutto merito degli azzurri, altresì vero è che Inter e Milan hanno fatto decisamente in modo che la vita di Oshimen e soci fosse quanto più disinvolta possibile. Scivoloni alternati da un lato e dall'altro del Naviglio che hanno sparigliato ogni deterrente alla marcia dei napoletani, mettendo a periodi alterni in scomode posizioni se stessi. A guardare dal basso sono questa volta i rossoneri che dopo il buio ritorno alla Serie A nel post Mondiale cercheranno questa sera di riprendersi quantomeno quel pizzico d'orgoglio andato in frantumi a Riad dove a mandare psicologicamente ko la squadra di Pioli non è il semplice Trofeo in sé sollevato dai cugini, ma le modalità con le quali Leao e compagni si sono lasciati assoggettare dai nerazzurri, dal canto loro sì perfetti ma senza trovare mai un reale tentativo da parte del Milan di contenimento. Difficile ipotizzare che al Meazza si possa assistere ad un remake del film andato in scena al King Fahd International Stadium, e pensare che il Milan sia davvero quello visto in questi ultimi venticinque giorni abbassando l'asticella delle aspettative sul coefficiente di difficoltà sarebbe l'errore più grave che la squadra di Inzaghi potrebbe fare. Motivo per il quale riavvolgere il nastro indietro di un anno farebbe più che bene, al netto di nostalgia e rammarichi.
Da Milan a Milan. E se la concentrazione degli uomini di Inzaghi è tutta rivolta alla gara di questa sera e all'avversario, quello degli interisti sugli spalti e non, inutile negarlo, sarà anche sull'altro Milan. Lo stesso che, per buona parte di tifoseria, Curva Nord esclusa viste le ultime notizie, guarderà con gli occhi del nemico, quasi al pari degli avversari di domani. Quasi, appunto perché nel profondo del cuore di molti nerazzurri persino 'quelli dell'altra metà campo' vanterebbero ad oggi un grado di rispetto superiore. Gli appelli della Nord, società e allenatore sono chiari: "Skriniar è un professionista e nessuno metterà in dubbio la sua abnegazione fino a che indosserà la maglia del biscione" - semi cit. Eppure c'è chi di questi appelli se ne fa nulla e poco più. Se c'è una cosa che difatti storicamente difficilmente San Siro perdona è il tradimento e quello del 37 interista ha tutti i tratti di un'abiura vera e propria che nessun diplomatico tentativo di tregua potrà cancellare, neppure se in ballo c'è il prosieguo stagionale con tanto di secondo posto da blindare, cammino in Champions e Coppa Italia da bissare. C'è chi avrebbe volentieri detto addio allo slovacco già a gennaio e chi, una volta assodata la permanenza fino a giugno, vorrebbe vederlo relegato fuori rosa o in panchina come l'ultima delle alternative ponderabili.
Ma la strada tracciata da dirigenza e staff tecnico sembra prendere una direzione ben diversa: dopo la mancata convocazione con l'Atalanta del 31 gennaio, il primo faccia a faccia tra l'ex vice-capitano (capitano da quando Handanovic siede in panchina) e gli interisti sarà proprio stasera nella più complicata delle gare. Un tempismo che come spesso accade ai tifosi della Beneamata rende tutto maledettamente più complesso e melodrammatico. Una nota di sadismo dall'alto che rafforza ulteriormente quel velo di mestizia che il tbt al 5 febbraio del 2022 già di suo emanava ma che a maggior ragione gli interisti sperano possano obnubilare con un +3 finale. Se all'inevitabile cupidigia seminata dall'ineluttabile delusione incassata con la fine della storia d'amore con il più idolatrato degli interisti e al secondo scudetto mancato consecutivo non c'è difatti soluzione che l'elaborazione del lutto stessa, il primo passo da compiere resta sempre uno e uno soltanto: vincere.
E contro il Milan, qualunque Milan esso sia, la cosa da fare è una e una soltanto: non curarsene, guardare e passare. Che la storia insegna, a Riad o a Parigi che sia, il tempo è galantuomo.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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