Inutile girarci intorno: Romelu Lukaku è quasi unanimemente considerato dalla critica la 'garanzia' di successo dell'Inter nella corsa scudetto. Un pensiero che avrà sfiorato con molta probabilità anche tutto l'ambiente nerazzurro, da Steven Zhang fino a Simone Inzaghi, passando per gli ex/nuovi compagni del belga. La tesi semplicistica, che ha trovato terreno fertile in gran parte dei media, è che con un Big Rom in più la rosa sia migliore rispetto a quella arrivata seconda in campionato nel 2021-22, orfana - anche se più di qualcuno lo dimentica - dell'MVP Ivan Perisic. La solita equazione estiva tanto cara a giornali, web e tv che, al contrario di un'estate fa, quando si ragionava per sottrazione, portò a credere che il risultato finale ottenuto dopo un mercato tormentato non sarebbe bastato per raggiungere la seconda stella. A conti fatti, si può certamente dire che quell'approssimazione fosse decisamente per difetto, ben lontana da quegli 84 punti dopo il segno '=', come puntualmente ribadito dal tecnico a ogni occasione utile: nessuno ci calcolava, poi siamo stati bravi noi a fare ricredere molti. Da squadra con il tricolore sul petto, infatti, l'Inter si è ritrovata nel giro di qualche mese a essere considerata come una semplice outsider nei piani alti della classifica, per poi guadagnare tra novembre e gennaio le credenziali di favorita senza essere completamente all'altezza di questa responsabilità nella fase cruciale tra aprile e maggio. L'onore di difendere il titolo, come da copione per i campioni in carica, è diventato in poco tempo l'obbligo di rivincere che ha appesantito una squadra che aveva fatto della leggerezza in campo il suo marchio di fabbrica per stracciare i suoi avversari con un gioco esteticamente appagante anche per gli spettatori neutrali. Raramente la squadra di Inzaghi ha vinto con un solo gol di scarto, mai speculando sulla contendente di turno; il vero difetto oggettivo, riconosciuto da adulatori e detrattori, è sempre stato lo scarso cinismo sotto porta e l'incapacità di non sapere portare a casa i frutti sperati nelle giornate storte. Insomma, la mancanza della semplificazione, della giocata che si rende preferibile al gioco quando quest'ultimo non produce gol per colpe proprie o meriti altrui.

E qui veniamo al punto: più di qualcuno attribuisce questa qualità, manchevole nella prima Inter di Inzaghi, a Lukaku, definito come il problem solver che avrebbe trasformato i pareggi con le medio-piccole in vittorie o sigillato i trionfi negli scontri diretti dopo il gol del momentaneo vantaggio. Un'opinione un po' superficiale che si scontra, per esempio, con il dato dei gol fatti che misura, fino a prova contraria, l'efficacia della fase offensiva di una determinata squadra: ebbene, senza l'ex Chelsea, l'Inter è stata di gran lunga la migliore in questo aspetto andando a referto 84 volte. La forza che non c'era del gigante di Anversa, sprigionata in tutta la sua interezza due anni fa, è sempre stata quella di sfruttare gli spazi aperti dal pressing chiamato nella propria metà campo grazie alla costruzione dal basso di marchio contiano. Situazione che si è riproposta di rado dopo il cambio in panchina, soprattutto per le caratteristiche da regista offensivo che Dzeko possiede a differenza del precedessore/successore nell'11 titolare. Un passaggio del testimone circolare che apre un dilemma: è Lukaku che dovrà adattarsi all'Inter o viceversa? La storia lascia poco spazio ai dubbi, il presente anche: è il singolo che, anche per espiare i propri peccati fuori dal campo, dovrà umilmente cercare di non rompere ciò che funzionava bene senza di lui e nel contempo offrire opzioni nuove, su tutte la verticalità immediata.

Almeno a parole, il belga sembra aver capito il nuovo ruolo che ha nello spogliatoio, resta da capire se sarà in grado di interpretare le consegne di Inzaghi nel rettangolo verde. C'è in gioco la sua carriera, la sua credibilità, deve cancellare l'etichetta dell'attaccante che sa giocare in un solo modo, di quello che si deprime una volta capito di non essere il Re Sole del sistema tattico. "In un anno, tutti hanno dimenticato di cosa sono capace e quella è una rabbia che ho dentro", ha detto Lukaku a DAZN, condensando in 18 parole la sua voglia di rivalsa. Quella che non cerca Inzaghi che, come spiegato recentemente, avrebbe messo la firma per vivere il suo primo anno in nerazzurro esattamente come è andato. Sì perché, al netto della delusione per la seconda stella persa per una manciata di punti, l'Inter è diventata una creatura a sua immagine e somiglianza paradossalmente grazie all'addio di Lukaku, emanazione in campo dell'ex allenatore. Da questo presupporto, Simone e Romelu dovranno ripartire per migliorare se stessi, chiudendo un cerchio che si è aperto un anno fa quando lo scudetto era ancora sulle maglie della Beneamata

Sezione: Editoriale / Data: Gio 11 agosto 2022 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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