“E’ vero, credetemi è accaduto…”. Lo cantava Domenico Modugno, ma in questo caso, purtroppo, non c’è niente da definirsi meraviglioso. E’ accaduto davvero, ma forse davvero non era così difficile da profetizzare, visti i tempi e i preamboli: è accaduto quanto già avevamo temuto succedesse. E’ accaduto che è iniziata, puntuale come le tasse, la sarabanda sullo scudetto della Juventus. Sin dai primi secondi dopo la fine della gara di Trieste, infatti, come se non fossero bastati gli innumerevoli striscioni dei tifosi presenti sulle gradinate del Rocco, ci ha pensato subito a ricordarlo l’ad della società bianconera Beppe Marotta: “Questo è il 30esimo scudetto”. In barba, come prevedibile, alle sentenze del post-Calciopoli che vedrebbero la Juve arrivare al 28esimo tricolore.

Poco importa che albi d’oro e carte ufficiali dicano altro, perché ormai quelle tre stelle sono state messe dappertutto, prima che qualcuno potesse esporsi o dire la sua in via ufficiale: sullo stadio, sul vessillo che campeggia sul balcone della sede di Corso Ferraris, ovunque. E se da un lato il capitano bianconero Del Piero invita al “rispetto delle sentenze”, e Antonio Conte smorzi sul nascere ogni tipo di polemica parlando di “scudetto numero uno da allenatore”, altri rappresentanti della Torino bianconera rivendicano con orgoglio quella fatidica terza stella e non perdono occasione per rilanciare il messaggio, a volte con iniziative simpatiche (maglia di Chiellini con proventi che andranno in beneficenza), altre volte con scelte perlomeno di dubbio gusto (il look kitsch della Jeep di Paolo De Ceglie).

Poco importa che anche Joseph Blatter, numero uno del calcio mondiale, nel mandare la lettera di congratulazioni alla squadra torinese per la vittoria del campionato sottolinei che si tratta dello scudetto numero 28. Anzi, chissà in che modo avranno accolto nel mondo bianconero quel messaggio esplicito inviato non da uno qualsiasi, ma dal capo supremo del pallone… Perché ormai questa è diventata una questione di vita o di morte: sono scudetti vinti sul campo, è l’unica cosa che conta e bla bla bla… No, i complimenti arrivati per la bella impresa della squadra di Conte purtroppo non bastano.

Ma il punto dolente è un altro, e cioè che il calcio italiano ancora una volta scivola sulla buccia di banana di una questione che non dovrebbe esistere. Il problema andava risolto prima, e con diktat ferrei: o si rispetta quanto stabilito da organi superiori, oppure siamo nell’anarchia più totale. Ma, se la Federazione annuncia di provvedere, ma che prima intende tenere in considerazione l’atteggiamento durante la festa scudetto, l’uscita di Gianni Petrucci, presidente del Coni,  che si schiera dal partito dei pro, purtroppo non aiuta e anzi tende a rendere più pesante il clima.

Chi obietta dirà: “Accetteremo la sentenza di Calciopoli se l’Inter si toglie lo scudetto 2006”; senza purtroppo rendersi conto che in questo modo si può scatenare un circolo vizioso, perché a quel punto l’interista può ribattere: “Riconsegnateci i titoli del ’98 e del ‘61”, e via andando in una spirale senza fine. Ormai il fiume è in piena, il calcio italiano si appresta a prendersi un’altra picconata nelle sue già fragili fondamenta. Tutto questo mentre, sempre in Italia ma da un altro post, arriva un’immagine che di colpo suggerisce ben altri valori. Accade infatti che a Fano, Mark Cavendish, vincitore della tappa del Giro d’Italia di due giorni fa, invece di festeggiare stappando la consueta bottiglia di champagne, sale sul podio tenendo in braccio un fagottino che quasi sparisce tra le sue braccia: la piccola Dalilah, la figlia avuta dalla splendida moglie Peta, che Cannonball bacia preoccupandosi di non farle male con la barba.

Piccola, dolce Dalilah, tu magari non saprai mai chi sono e non te ne importerà nulla, magari sarò anche tacciato di essere uno speculatore, ma vederti così piccola a simboleggiare la gioia di una vittoria mi ha ridato il sorriso, come spero a molti altri sportivi: perché vedere il tuo fortissimo padre volerti portare a festeggiare significa anche che il ciclismo, sport minato da scandali ben peggiori di un fregio in più o in meno sulla maglietta, sa ancora trasmettere valori veri e voglia di alzare la testa mostrando al mondo tutto il bello che c’è in sé.

Mentre nel mondo multimilionario del calcio anche i più banali motivi sono causa di zuffe e polemiche, e ai bambini che scendono in campo con le squadre spesso e volentieri viene riservato un trattamento quasi di fastidio. E intanto, altri Paesi ci passano davanti e ci ridono alle spalle…

Sezione: CALCI E PAROLE / Data: Sab 12 maggio 2012 alle 00:15
Autore: Christian Liotta
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