Leonardo Bonucci ha parlato in esclusiva alla Gazzetta dello Sport. Dalla pandemia al ritorno in campo: ecco le sue parole.

Usciremo migliori da questa crisi?
"Pensavo ne saremmo usciti migliori ma, guardando ciò che accade, non so. La gente scarica la rabbia accumulata in questi mesi. Chi è dotato di intelligenza uscirà migliorato, anche attraversando la sofferenza".

Quando Rugani, Matuidi, Dybala sono risultati positivi vi siete spaventati?
"Io no, sono stato sempre bene. Mai un sintomo. Ma molti compagni erano preoccupati. Abbiamo fatto i test e ci siamo rassicurati. Ora, con la curva dei contagi che scende, bisogna solo essere responsabili e attenersi alle regole essenziali che ci hanno assegnato".

Tra una settimana siete in campo per Juve-Milan, gara importante. Si sente pronto?
"Penso sia stato giusto riprendere, il calcio, specie in Italia, è importante. Certo, ci mancheranno i tifosi. Entrare in uno stadio pieno, sentire le reazioni dei tifosi è tutt’altra cosa dall’atmosfera lunare di una gara a spalti vuoti, con un silenzio assurdo. Ma per gli italiani anche solo vedere in tv la propria squadra del cuore può dare sollievo, può trasferirti la sensazione che presto si ritornerà a vivere una vita normale".

Cosa pensa di queste storie dei playoff, degli algoritmi...
"Io spero che si arrivi alla fine normale del campionato. Se non fosse così nascerebbero un sacco di storie, polemiche, ricorsi... Io non sono favorevole ad altre ipotesi. Se ci si ferma, meglio finirla lì e non assegnare nulla. Speriamo di arrivare al 2 agosto e decretare un vincitore. Sperando sia la Juve...".

La preoccupa la Lazio?
"Sì. In questo campionato ci ha tolto un trofeo, è una bella squadra, Inzaghi è un grande allenatore. Ma adesso, dopo questa inattività, è difficile fare previsioni. Magari chi era in forma prima della pausa ora non lo è più, o viceversa. Sarà bello, entusiasmante. Come un campionato che ricomincia, con una griglia di partenza definita. Dovremo cercare in noi le risorse psicologiche e fisiche per questo nuovo inizio".

Lei andò al Milan perché si sentì ferito nell’ orgoglio? Ora possiamo parlarne serenamente...
"Sì, fu un anno difficile per me. Sia a livello personale che lavorativo. C’erano stati screzi e io, alla fine, specie dopo la sconfitta in Champions, ho preso una decisione poco lucida. Però devo dire che quella scelta, che certo mi ha condizionato la carriera, mi ha migliorato come uomo. Quei mesi al Milan mi hanno consentito di guardarmi dentro e capire che il mio posto era nella Juventus, in questa che sento come la mia famiglia. Ho conosciuto al Milan persone belle, prima tra queste Rino Gattuso. È stato un anno difficile. Ma non inutile. Al termine del quale sono stato molto contento di tornare a casa".

La partita che le ha fatto più piacere vincere e quella che le è più dispiaciuto perdere?
"Quella che mi ha dato più soddisfazione è a Trieste con il Cagliari, quando vincemmo, con Conte, il primo scudetto di questa serie storica. Lo scudetto della rinascita della Juve nel decennio di Agnelli. La sconfitta? La finale del 2015, più di quella del 2017. A Berlino eravamo molto forti e davvero vicini alla vittoria. Nel secondo tempo avevamo la sensazione di potercela fare e forse questo ci ha tolto energia. A Cardiff nel secondo tempo invece eravamo in balia del Real. Ma non è finita qui. Spero di poterle dire, in una futura intervista, che la partita più bella è la finale di Champions vinta".

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Sezione: Rassegna / Data: Dom 07 giugno 2020 alle 10:24 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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