Il gol al 90’ di Nordi Mukiele ha cambiato per una notte i giudizi sull’Inter, descritta troppo frettolosamente come la corazzata che deve obbligatoriamente arrivare in fondo alla Champions League perché, oltre al fatto che due stagioni fa si è giocata la finale a Istanbul, le altre big annunciate come favorite alla vittoria finale stanno attraverso delle difficoltà. Va bene l’ambizione, però poi bisogna analizzare ciò che accade in campo. E se Simone Inzaghi continua a citare sempre due precedenti per esaltare il percorso europeo della sua squadra, i famosi doppi confronti con Real Madrid e Liverpool del suo primo anno in panchina a Milano, un motivo ci sarà. Guardando alle prestazioni in campo continentale delle ultime tre stagioni e mezzo, infatti, non è che Lautaro e compagni abbiano portato a casa chissà quali scalpi. Certo, c’è il godimento per aver vinto due euroderby col Milan, spezzando i tabù del 2003 e del 2005, ma di affermazioni prestigiose non c’è traccia. Non per questo, sia chiaro, vanno sminuiti i passaggi del turno a spese di Porto, Benfica, oltre alla bella figura fatta con il Manchester City nell’atto conclusivo all’Atatürk. Quella partita, giocata per certi tratti alla pari con la squadra di Pep Guardiola, ha dato una spinta mentale decisiva alla squadra nell’annata successiva per vincere lo scudetto della seconda stella, una cavalcata trionfale resa possibile anche per il fatto di aver messo in secondo piano la Coppa. Così facendo, l’Inter è finita dietro alla Real Sociedad, nel raggruppamento 'livello Europa League' che includeva pure Salisburgo e Benfica. Sprecando peraltro il match point per il primo posto, in casa con i baschi, nell’ultima giornata. Più che uno spareggio, quel match decisivo fu trattato come un fastidio tra gli impegni di campionato. Una sottovalutazione che ha dato in regalo, per effetto del sorteggio, l’incrocio agli ottavi di finale con l’Atletico Madrid di Diego Simeone, formazione storicamente rognosa da battere. All’andata, con l’once de gala, l’Inter vinse solo 1-0 creando diverse occasioni per ampliare il gap in vista del ritorno nell’infernale Metropolitano. Lì Federico Dimarco, con il più facile dei gol a coronamento di un'azione corale, spense solo per un momento l’incendio provocato dalla passione dei tifosi colchoneros allo stadio, perché una rara distrazione difensiva servì la palla del pari ad Antoine Griezmann. Forte comunque del vantaggio maturato nel primo confronto, l’Inter potè giocare di rimessa alla ricerca del 2-1, ma sprecò due contropiede ghiotti. Prima di farsi schiacciare nella propria trequarti, per stanchezza e cambi poco coraggiosi, dagli spagnoli che, imbottiti di attaccanti, trovarono il modo di perforare la retroguardia ospite con Mephis Depay, già precedentemente fermato dal palo. Il resto è storia, con la lotteria dei rigori diventata celebre sui social per il rigore calciato altissimo da Lautaro a sancire l’eliminazione. Ancora una volta gli ottavi come sbarramento alle idee di gloria dell’Inter, che con Inzaghi perlomeno è sicura di superare le Colonne d’Ercole del girone.
Sarà così anche in questa stagione, col format rinnovato che propone otto avversari diversi per guadagnarsi l’accesso nelle top 16. Il ko in terra tedesca di martedì, come sottolineato da Inzaghi, non ‘scalfisce’ il cammino continentale, ma impone delle riflessioni. Già in corso nello spogliatoio subito dopo il triplice fischio di Slavko Vincic, almeno a sentire le parole di Yann Bisseck: "Abbiamo avuto un po' di fortuna a volte in questa stagione, quindi forse tutto si bilancia", ha detto con onestà intellettuale l’ex Aarhus. Probabilmente ricordando il successo al fotofinish di Berna contro lo Young Boys o la sofferenza nella vittoria di trincea per 60’ con l’Arsenal. Lo score, impreziosito dallo 0-0 all’Etihad Stadium, contempla anche il poker facile facile con la Stella Rossa e una vittoria stretta nel punteggio con il Lipsia, a sorpresa la prima delle 36 a uscire di scena. Basta questo per sbilanciarsi sulle chance di vittoria dell’Inter in Europa? Sembra un po’ poco, ma in molti erano presi a esaltare la solidità dell’Inter, che è arrivata a 4 minuti dal record di sei partite di fila senza subire gol in Champions, più che a guardare le cose nella loro complessità. Chissà in caso di 0-0 cosa si sarebbe detto in Italia, dove il risultato è tutto. D’altronde, alla vigilia, la prima domanda in conferenza posta a Inzaghi riguardava i calcoli da fare in ottica qualificazione. Il sottotesto era: un pareggio va più che bene. Un pensiero che in campo internazionale non ha ragione d’essere. Fidandosi troppo dell’affidabilità della sua difesa, Inzaghi ha sperato nello 0-0 nel secondo tempo. Le sostituzioni sono sembrate delle staffette tra giocatori titolari più che una lettura fatta dal tecnico per cambiare l’andamento della partita. Che, a dirla tutta, ha sempre visto il Leverkusen condurre le danze, al contrario dall'analisi offerta dal Demone dopo il match (ha parlato di ’partita in controllo’). Un eccesso di turnover scientifico che già aveva avuto effetti dannosi nella scorsa edizione. Più che il gol di Mukiele, è questa strategia che ha fatto fare un passo indietro all’Inter nella considerazione di squadra a livello internazionale.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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