Partendo dai casi di Dusan Vlahovic e Gigio Donnarumma, che rischiano fortemente di lasciare la Juventus e il Paris Saint-Germain a parametro zero, cosa che per il club bianconero farebbe andare in fumo un investimento di 85 milioni e per i francesi varrebbe un délà-vù dopo l'addio di Kylian Mbappé della scorsa estate, la Gazzetta dello Sport fa un'osservazione sull'attuale sistema: "La libertà di potersi trasferire alla scadenza di contratto a parametro zero, conquistata con la sentenza Bosman quasi 30 anni fa, è un diritto inalienabile. Questo elemento, però, aggiunge un ulteriore fattore di incertezza, fuori dal controllo del club, alla gestione di asset che ormai hanno assunto un’importanza cruciale a livello economico. Il player trading è diventato una componente ordinaria del reddito anche per i top club. La compravendita dei giocatori può essere fonte di ricchezza ma anche di enormi perdite. Questo non è sano per un modello industriale efficiente. Non a caso, nei sistemi sportivi più evoluti, cioè le leghe professionistiche americane, il concetto del "cartellino" dell’atleta non esiste. Occhio, le storture possono danneggiare anche i calciatori. Prendete la vicenda Donnarumma. Dopo il mancato rinnovo del contratto in scadenza nel 2026, il PSG ha sbattuto fuori il portiere della Nazionale spingendolo a trovarsi una nuova sistemazione, per evitare che si ripeta il caso Kylian Mbappé, passato nel 2024 al Real Madrid a parametro zero. Come fare per eliminare queste incongruenze?".

Da qui, la proposta, anche un po' provocatoria: "A meno di non immaginare una forma di indennizzo per il club che attutisca gli effetti della scadenza contrattuale, la soluzione drastica potrebbe essere l’abolizione del calciomercato. No, non il calciomercato tout court, ma come lo si è inteso finora. I calciatori dovrebbero cessare di essere asset a bilancio dei club e rimanere inquadrati come lavoratori dipendenti e basta, con le tutele e gli obblighi regolati da contratti individuali nell’alveo degli accordi collettivi e delle leggi. In NBA le franchigie partecipano al draft per scegliere nuovi giocatori (di solito dai college) e si scambiano giocatori con le altre franchigie (le cosiddette trades). È tutto regolato dalla durata dei contratti, dalle regole finanziarie e dalle eventuali clausole che consentono, per esempio, a una delle due parti di uscire anticipatamente dal rapporto. Chiaramente, per applicare un simile modello al calcio bisognerebbe riformarlo dalle fondamenta (senza dimenticare che in America il sistema è chiuso, a differenza dell’assetto piramidale europeo). I club che traggono ragion d’essere dallo sfruttamento del player trading rischierebbero di scomparire. Per evitarlo bisognerebbe contestualmente adottare un meccanismo di distribuzione equa delle risorse per far sì che tutte le squadre possano competere, più o meno, ad armi pari. Poi, dal punto di vista patrimoniale i club si priverebbero di una voce importante (il valore della rosa) perdendo la fiducia di investitori e finanziatori. E allora perché le franchigie americane sono, in assoluto, le imprese sportive che valgono di più al mondo? Perché i Dallas Cowboys hanno superato i 10 miliardi di dollari di valutazione mentre il Real Madrid non arriva a 7, pur essendo il calcio uno sport molto più globale del football americano? Semplice, perché Oltreoceano hanno fatto business meglio di tutti gli altri, puntando sulle strutture e sul marchio, asset molto più stabili e industrialmente maturi dei calciatori". 

Sezione: News / Data: Lun 18 agosto 2025 alle 23:42
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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