Nel Paese del “tutti addetti, nessun responsabile”, torna a galla il dibattito sulla reale utilità del giudice di porta. Un esperimento che, tra i campionati nazionali, viene adottato in Italia. E sta fallendo miseramente. Gli ultimi due esempi non sono altro che la punta dell'iceberg. Ovviamente, il riferimento va a Inter-Roma e Juventus-Milan, partite segnate – per un verso o per l'altro – da episodi in cui i direttori di gara aggiuntivi non hanno visto oppure hanno visto male.
Roma straordinaria, ma fino al rigore farlocco dello 0-2, l'Inter non stava demeritando. Anzi. La differenza, fin lì, era stata di centimetri: Totti, da fuori, all'angolino; Guarin, da fuori, sul palo interno. E De Sanctis molto più impegnato di Handanovic. Ma arriva il fatidico minuto 40 in cui Pereira stende Gervinho: contatto fuori area, eppure viene accordato il rigore che spacca la partita. Dicono: “Questione di centimetri”, “Impossibile vedere”, “A velocità normale sembrava che...”. Tutto vero. Ma non si accorgono che così piantano gli ultimi chiodi sulla tomba del giudice di porta. Perché tale figura è chiamata appositamente a dare ausilio all'arbitro proprio per questi casi eccezionali, perché per il resto basta e avanza il direttore di gara. E se, invece di aiutare, finiscono di complicare la vita (nel caso di specie, Tagliavento stava per fischiare punizione dal limite, come le immagini dimostrano chiaramente), allora la domanda sorge spontanea: perché? Perché continuare a pagare gente che, in proporzione, aggiunge errori invece che eliminarne? Anche il cazzotto di Mexes su Chiellini ne è un esempio lampante: pensate se il francese, rimasto in campo, poi avesse segnato il gol della vittoria rossonera... Gol-fantasma, rigori al limite, contatti in area: sono situazioni che spesso sfuggono all'occhio umano. E' una questione di qualità, non di quantità. Non è la somma degli occhi a correggere il tiro. Anzi, questo affollarsi forse peggiora la situazione. Perché da più occhi, giustamente, poi ci si aspetta che le sviste non ci siano. E' tanto difficile dare potere al quarto uomo di usufruire di un monitor? La storia Zidane-Materazzi insegna. Di cosa si ha paura? E non cadiamo nel tranello delle perdite di tempo e delle partite che poi durerebbero tre giorni: balle.
Altrettanto aberrante è quanto sta accadendo in relazione ai cori, alle chiusure di settori di stadio oppure, come nel caso del Milan, alla chiusura di uno stadio intero. Ipocrisia allo stato puro. Provvedimenti assurdi e ingiusti, che finalmente vengono a galla (ma finché non è stato toccato il Milan, tutti dormivano?). Si sono venute a creare due fazioni: da un lato c'è chi si sente offeso e inorridisce all'ascolto di cori beceri e trasudanti frustrazione; dall'altro chi non si scandalizza e spiega come nel calcio questo è sempre esistito e sempre esisterà. Al di là del giudizio di valore che ognuno di noi può dare e, di conseguenza, scegliere il coro che ritiene più o meno offensivo, c'è un limite che bisognerebbe demarcare una volta per tutte. Un limite al di là del quale non si possa andare.
Non possiamo pensare di eliminare gli sfottò, anche perché non se ne vede il motivo di farlo. Certamente è diverso quando il coro diventa insulto. Condannabile in ogni sua forma. E la distinzione tra insulto e sfottò non mi pare così complicata da comprendere, né per chi li organizza, né per chi li giudica in veste istituzionale. Cori come “Noi non siamo napoletani” oppure “Avete solo la nebbia” non possono essere messi sullo stesso livello di “Negro di merda”, “Ebrei, il forno è la vostra casa” o il bistrattare le morti dell'Heysel.
Da qui si passa al nodo della vicenda: punire i colpevoli. Ci si sta focalizzando su un discorso di quantità, mentre – proprio come per gli arbitri in campo – bisognerebbe calibrare il tiro sulla qualità. Non dovrebbe fare la differenza se a fare buu razzisti sono due o duecento persone: il punto è che sono abitudini da estirpare. Abbiamo l'esempio dell'Inghilterra o della Germania, in cui il problema è stato risolto alla radice: stadi dotati di telecamere a circuito chiuso e immediata punizione per i trasgressori. Una risposta efficace, perché funge anche da deterrente. Infatti, non si capisce perché si puniscano club e tifosi innocenti: non si può continuare a fare giustizia sommaria, facendo pagare alla collettività gli errori di singoli individui. Sono i trasgressori e soltanto loro che devono essere puniti. Anche perché ormai s'è capito che questo tipo di provvedimenti non funzionano.
Arbitri di porta e cori da stadio. Due temi che possono sembrare distinti, ma che hanno nella tecnologia il punto in comune. La soluzione è a portata di mano: a chi giova non utilizzarla? Chi ci sta guadagnando? Perché tentare la fortuna giocando al Superenalotto quando si ha la possibilità di percepire un vitalizio?
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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