Certe notti Milano ha colori meravigliosi. L'abbiamo già sentita, è vero, e probabilmente quando è stata pronunciata per la prima volta assumeva un sapore differente, sicuramente unico: sentita e ripetuta alla nausea in quelle notti indelebili tra il 2023 e il 2024 quando l'Inter di Simone Inzaghi in un anno e mezzo ha vinto sei derby di Milano (due di Champions e uno valso il ventesimo scudetto). Vittoria che aveva scolpito, più che tinto, in maniera indelebile una pietra nella millenaria storia della Mediolanum calcistica coi colori della Beneamata: di nero e d'azzurro come i colori che avevano dalla lontanissima notte del 9 marzo 1908. Eppure quella frase, mai quanto quest'anno ritortasi contro proprio in notti in cui l'Inter non è mai riuscita a far sventolare alta sul Duomo la bandiera del Biscione, torna meravigliosamente attuale. Sono le 23.38 del 7 maggio 2025, Marciniak fischia tre volte, cala il sipario sulla semifinale di ritorno di Champions League 2024/25: l'Inter batte il Barcellona 4-3 e conquista la seconda finale di Champions in tre anni, la settima della sua storia. Settebello! direbbe qualcuno ma chi c'era, chi è rimasto fino all'ultimo dilaniante e struggente secondo, lo sa: bello sì, ma col senno del poi. Perché la squadra di Simone Inzaghi conquista il pass per Monaco, piazzandosi tra le migliori due squadre d'Europa, al termine di una partita lunga 120 minuti più recuperi vari, e struggente come solo lei sa fare: maledettamente, da Inter.
Il primo tempo a San Siro, complice l'avvolgente clima d'entusiasmo che ha reso ancora più divertenti i 45 e rotti minuti di interismo vivo, è meno asfissiante e quasi più rilassato del match di una settimana fa al Montjuic dove sì l'Inter ha segnato due gol, ma si è fatta poi riacciuffare e schiacciare a lungo. Il gol di Lautaro che sblocca la partita e fa esplodere il Meazza al 21esimo, il raddoppio di Calhanoglu dopo un fallo in area netto di Cubarsì sul capitano nerazzurro lanciato verso la chiara occasione per il raddoppio e graziato dall'arbitro polacco nel non estrarre il rosso lasciando il Barça in inferiorità numerica, le occasioni di Mkhitaryan e Thuram... il popolo nerazzurro è entusiasta e caldo. Ma la ripresa non è la stessa di quella in Catalogna: al contrario il film cambia trama e parte un giallo al cardiopalma che mette gli oltre 75mila presenti alla Scala del calcio sull'attenti sottoponendoli ad un solito ma più arduo 'test da sforzo' valido oggi come certificato di sana e robusta costituzione. Vamos di Sardana: palleggio e pressione catalana che mettono all'angolo l'Inter allo scoccare dell'ora di gioco con una illuminante giocata di Gerard Martin verso Dani Olmo: due pari e tutto da rifare per l'Inter che subisce il colpo e poco dopo un martellamento degli avversari che fa a botte con l'aura miracolosa emanata dallo svizzero in porta. Yann Sommer para di tutto legittimando il titolo di Player of the Match, ma all'87esimo il Barcellona abbatte la sua resistenza e trova il vantaggio con Raphinha. Ancora lui, come all'andata il brasiliano beffa proprio lo svizzero per il terzo gol dei blaugrana, questa volta infliggendo più dolore che una settimana fa. Conclusione che non perdona sul tap-in e popolo nerazzurro ammutolito a tre minuti dalla fine.
Improvvisamente è gelo, la pioggia che comincia a scendere su Milano sembra scrivere il punto di una clamorosa serata arrivata ad un passo dal trasformarsi in drammatica. La tristezza sembra pervadere per un secondo l'intero Meazza (che vede persino qualche miscredente abbandonare i seggiolini anzitempo). Sentimento che per più di qualche secondo avvolge tutti meno gli undici in campo e quelli in panchina, feriti e avvelenati, quasi esaltati. E come nel più assurdo dei prodotti anti-hollywoodiani ecco il colpo di scena che dilata la fabula in maniera dissacrante e a tratti blasfema: 'chi di spada ferisce, di spada perisce' si legge nel Vangelo di Matteo, ma il Vate - come è stato non da noi ironicamente definito - di questa storia è un'altra ed è Denzel Dumfries che dopo aver capovolto la fisica nella gara d'andata capovolge anche le sacre scritture. Dopo il patema dell'errore che ha causato il vantaggio barcelonista, l'olandese serve il pallone della salvezza a Francesco Acerbi: è il 92esimo inoltrato e con uno scatto in avanti e uno spirito anarchico profetico l'ex Lazio si lascia muovere da un istinto inspiegabilmente primordiale, in posizione e ruolo anomali fa l'attaccante aggiunto e segna il gol del 3-3 che manda in visibilio San Siro e in psicodramma il Barcellona. Remuntada? Espera...!
Verdetto finale rimandato ai trenta minuti successivi: supplementari siano. Ed è agli addizionali, ad un passo dall'incubo dei rigori costato carissimo lo scorso anno proprio contro un'altra spagnola che la squadra di casa scrive un altro capitolo di una storia leggendaria che oggi parla come mai parla una lingua tanto europea. Dopo un'azione personale Thuram (a referto all'andata quando ha sottoscritto il gol più veloce di sempre segnato in una semifinale di Champions League) riesce a saltare due difensori appoggiando per Taremi; l'iraniano riceve il pallone più pesante della stagione che con freddezza, esperienza e personalità che hanno ammaliato i presenti a San Siro gestisce e scarica su Davide Frattesi, altro uomo fatato - nel termine più letterale del termine - il pallone che scrive destino e storia insieme.
Senza macchia e senza paura il ragazzo di Fidene punta con personalità l'uomo e trova un diagonale perfetto che lascia pietrificato e immobile Szczesny e l'intero Barcellona, inchiodato su un 4-3 che riapre persino le porte del cuore del più cinico, scaramantico, maniavantista e imperturbabile degli interisti: non c'è più razionalità per le strategie e i calcoli, c'è da stringere i denti, sperare, probabilmente pregare nei santi o nei nervi degli undici sfiniti nerazzurri in campo che siano, ma pregare. Marciniak fischia la fine del primo tempo supplementare mentre Barella è lanciato verso l'estremo difensore ex Juve e fa arrabbiare tutti, il Barça nell'ultima tranche di gioco torna ad aggrapparsi a nervi e voglia, ma ancora una volta Yamal trova una saracinesca di produzione elvetica e non trova mai la rete di San Siro. De Vrij, fresco subentrato a Denzelone, aiuta ad alzare muri che si rivelano insormontabili persino per la squadra con l'attacco migliore della massima competizione europea, che non trova spazi e modo di rendere ai nerazzurri l'immediata reazione inflitta da Acerbi nel recupero dei regolamentari. Niente da fare per Yamal, niente per Lewandowski, niente per gli scongiuri e preghiere di catalani e anti-interisti, da Torino all'altra sponda del Naviglio, passando per Napoli e magari qualche bavarese... È con l'urlo e 'i denti stretti' del capitano Lautaro Martinez; con la freddezza di Calhanoglu dal dischetto; le ali stampate e il volo d'esultanza di Francesco Acerbi; i sogni, il destino, la mistica, la perseveranza, la caparbietà, la mentalità, la grinta, la forza, la lettura di gioco, l'intelligenza calcistica, la freddezza, l'attenzione e la bravura di Davide Frattesi che l'Inter confeziona il capolavoro di Simone Inzaghi, perfetto nella gestione delle energie e della partita, delle rotazioni, nella lettura del gioco e nello zelo, attenzione e meticolosità di scelta delle pedine da inserire in campo.
Con questo scalco qui, a denti stretti, nervi tesi e cuori al limite dell'esplosione, l'Inter scolpisce un altro pezzo di storia del calcio nerazzurro, milanese, italiano ed europeo conquistando la settima finale di Champions League della sua lunga e stellare storia, la seconda in tre anni, la seconda per Simone Inzaghi, Lautaro Martinez, Nicolò Barella, Federico Dimarco, Alessandro Bastoni, Francesco Acerbi, Matteo Darmian e compagnia bella, senza voler dimenticare nessuno... la prima di Marcus Thuram, Carlos Augusto, Piotr Zielinski e il neo arrivato Nicola Zalewski, ma anche del 'veterano' Taremi. La prima di Marotta presidente, a due anni da quella con Steven e a uno dal suo addio, sempre lì primo degli interisti pronto a supportare la sua mai dimenticata famiglia nerazzurra, quindici anni dopo l'indelebile finale di Madrid contro il Bayern Monaco, e stavolta a Monaco, dopo aver spodestato proprio in quell'arena i padroni di casa, con un Arnautovic alla seconda finale di Champions della sua carriera e ancora una volta con i colori del Biscione...
È in questo indelebile, probabilmente interminabile e mai davvero credibile, frame che l'Inter compie qualcosa di irripetibile, estasiante, indescrivibile e a tratti ancora irrealizzabile e in attesa di capire cosa e come sarà il finale di una stagione nella quale a crederci per primi sono proprio gli stessi protagonisti di quest'impresa memorabile: interisti riguardiamo gli highlights, esaltiamoci ancora e non smettiamo di sognare perché questa squadra voglia di smettere di estasiarci non sembra averne. Aprite le app di booking e preparate gli zaini, comunque vada si va a Monaco, si va in finale!
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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