"A San Siro il nero che collega il rosso e l’azzurro in questo muro di persone di cui non vedi la fine, è un’emozione unica", a differenza del derby di Torino, che "è più bellicoso", ma importa più ai granata che ai bianconeri. Descrive così i derby di Milano e di Torino Aldo Serena, che ha vestito le maglie di Inter, Milan, Juventus e Torino, scendendo in campo in entrambe le stracittadine dei capoluoghi di regione con tutte e quattro le maglie. Ne parla in esclusiva a FcInterNews, con un tuffo nel passato: da quando affondò i rossoneri di Sacchi con la sua Inter dei Record, che si ricollega inevitabilmente al presente: "Spalletti vuole vincere sempre, come il Trap", a quando i derby erano più vissuti, non importava il prestigio dell'occasione: "Al Mundialito dell'83 feci due gol coi rossoneri, venti giorni dopo ero ad allenarmi con l'Inter. Bini ce l'aveva con me".
Meno 6 al derby: come lo vede?
“Per ora l’Inter non ha espresso un gioco brillante, ha dimostrato di essere pragmatica e di avere una mentalità per certi versi anche opportunistica, che riesce a portare a casa il risultato anche in situazioni avverse e difficili. Dall’altra parte si confronta con il Milan che forse ha raggranellato meno di quello che avrebbe potuto e che ha cercato più di giocar bene che di far punti”.
Sarà già decisivo?
“Beh i derby, soprattutto il primo, possono dare delle indicazioni precise. Può cambiare, anche sotto il profilo mentale, il periodo di una squadra: se il Milan dovesse vincere in un momento così difficile, ritroverebbe entusiasmo e fiducia nei propri mezzi. Mentre per l’Inter, dopo aver fatto tutto bene sino ad ora, vincere la stracittadina significherebbe continuare ad essere lì a ridosso della prima. Non penso sia già decisivo, ma è sempre importante per i punti che ci sono in palio e soprattutto per l’aspetto mentale”.
In caso di vittoria, i nerazzurri volerebbero a +10 sui cugini. Sarebbe una sentenza per il Milan? O solo per Montella?
“Montella in primis, e tutto il Milan, non fanno la corsa sull’Inter. I rossoneri puntano a uno dei quattro posti utili per entrare in Champions League, anche se un’eventuale vittoria in Europa League garantirebbe in automatico la qualificazione. L’obiettivo del Milan è di tornare in Champions. Quello dell’Inter non è nemmeno quello di ammazzare – sportivamente parlando – i rossoneri, bensì rimanere agganciato alla scia del Napoli”.
Sarà anche il derby degli attaccanti. Icardi è forte, ma è un leader?
“Per me lui è uno dei più forti del mondo, è un vero top. I centravanti come lui hanno anche bisogno del sostegno della squadra, oltre al grande lavoro che produce all’interno dell’area di rigore. Ha caratteristiche importanti: rapidità, tiro potente. Credo sia un leader e un punto di riferimento per i suoi compagni, specie per i centrocampisti che possono prendere coscienza del fatto che portando più palloni in area la partita la si può vincere”.
Impersona perfettamente le vesti di capitano?
“No, questo forse no. Il mondo cambia, i riferimenti dei capitani di un tempo sono sempre più difficili da trovare”.
Si spieghi.
“Intendo quel calciatore che è un esempio anche fuori dal campo. Lui non è propriamente questo, vedendo anche come gestisce i social. E’ ancora un ragazzo, nonostante sia già padre e marito. Forse non sarà mai un riferimento di quel tipo, ma credo che le cose vadano scisse: non è necessario che uno abbia una patina della brava persona o di quella corretta. Può capitare lo Zanetti o il Facchetti di turno, come può succedere che ci sia qualcuno con la faccia più sporca e sia leader ugualmente. Un esempio è Ibrahimovic”.
Chi al posto suo per la fascia, quindi?
“Io resto convinto che quello che ha più presenze, più riferimenti e una caratura tecnica di alto livello, debba indossare la fascia da capitano. Tra uno che arriva e gioca nell’Inter da due anni, e uno che è in nerazzurro da sette, se io fossi quest’ultimo, farei fatica ad accettare di non essere il capitano”
Oggi, 29 anni fa, l’Inter dei Record esordiva in campionato. Quell’estate arrivarono 5 nuovi titolari di 11. Lei era l’attaccante di riferimento.
“Non fu poco cambiare così tanti titolari. Oltre a Brehme, Matthaus e Diaz, arrivarono anche Berti e Bianchi. Quell’estate ricordo che Trapattoni partì con grande fiducia, mi aveva parlato benissimo dei due tedeschi, delle loro caratteristiche. Brehme era molto fisico, Matthaus era pura potenza. La forza di quell’Inter era il centrocampo, perché sia Lothar che Nicola (Berti, ndr) facevano un grande lavoro a centrocampo e sapevano ripartire e arrivare anche al gol. Matteoli poi era il nostro Pirlo”.
A differenza del centrocampo attuale che stenta a decollare. Di cosa necessitano i nerazzurri in mezzo al campo?
“Innanzitutto l’innesto di Borja Valero è stato importante per la gestione del pallone, specie nei momenti difficili. Vecino è bravo a buttarsi in avanti, anche se ha caratteristiche diverse. Gagliardini nei suoi primi due mesi ha fatto benissimo poi si è un po’ perso. Spalletti vuole un interscambio fra i ruoli, manca forse la titolarità nel vertice alto. Joao Mario ha tutto per poter far bene in quella posizione, ma non lo dimostra con frequenza. Per far bene nell’Inter serve una forza mentale notevole, essere impermeabili alle critiche e aver la voglia di avere il pallone tra i piedi quando si mette male. E’ un centrocampo che non ha molte certezze. Ha delle prospettive, il tempo dirà se potrà dare il suo apporto come lo fece quello dell’88-89”.
Su chi punta lei?
“Su Gagliardini, ha qualità importanti. Sa inserirsi, può sfruttare le sue doti atletiche e aeree”.
Serve operare sul mercato a gennaio?
“Dipende dalla possibilità di poter spendere. Servirebbe un giocatore già affermato”.
Donsah quindi non andrebbe bene?
“Se non ha possibilità di spendere tanti soldi in inverno e arrivare, per dire, a Vidal, piuttosto che comprare un altro giocatore di prospettiva come può essere Donsah, è bene si tenga i centrocampisti che ha. Dovessi operare io con le finanze ridotte, andrei a rinforzare la squadra acquistando gli esterni bassi”.
Non un difensore centrale?
“E’ vero che sono corti dietro, ma a proposito del discorso di giocare nell’Inter e a San Siro, Spalletti ha cercato di recuperare Ranocchia. Non so a che punto sia questo tentativo, ma penso che il tecnico abbia buone intenzioni e che il giocatore stia dando spunti interessanti per poter essere considerato, all’occorrenza, una valida alternativa”.
Un nome per l’esterno basso?
“E’ difficile. Se si hanno pochi soldi è difficile. Proporrei nomi un po’ troppo costosi”.
Nemmeno un giovane?
“L’Inter è una squadra dal livello tecnico medio-alto. Per alzar l’asticella ora servono giocatori già fatti e non di prospettiva. Credo che Spalletti quando è arrivato in estate avesse ricevuto rassicurazioni in merito poi non andate a buon fine”.
Spalletti può fare quello che fece Trapattoni con voi nell'88-'89?
“E’ molto esperto e ha le idee chiare. Non è un allenatore di quelli che hanno preconcetti, sa cambiare e valorizzare al meglio i suoi giocatori. A differenza del Trap è più spigoloso a livello comunicativo”.
E qual è l’analogia più forte che potrebbe avvicinarlo al Trap?
“La razionalità del gioco. Trapattoni veniva definito come un difensivista ma le squadre facevano sempre gol. Non partivamo mai con l’idea di andare a pareggiare la partita, cercavamo sempre di vincere. E questo è lo stesso spirito che ha Spalletti”.
Nell’88 Milano aveva due grandi squadre: nel Milan c’erano Gullit e Van Basten, ai quali si unì anche Rijkaard. Eppure l’11 dicembre di quell’anno batteste i rossoneri per uno a zero: gol di Aldo Serena.
“Per spiegare quella vittoria, e il cammino in generale dell’Inter quell’anno, bisogna fare un passo indietro alla partita contro il Pisa. All’Intervallo, sotto per uno a zero, dissi al presidente: ‘stia tranquillo, se giochiamo così lo vinciamo questo campionato’. La partita poi finì 4-1 per noi. Sette giornate dopo ci siamo presentati al derby dopo il corto circuito in Coppa UEFA con il Bayern che ci costò l’eliminazione. Come successo spesso nella storia dell’Inter, avevamo iniziato il campionato benissimo e il derby era una sorta di snodo cruciale della stagione: noi sentivamo che se avessimo perso, probabilmente il nostro cammino non sarebbe stato quello che si è rivelato essere poi, mentre vincendolo potevamo riprende il largo. Quella partita la giocammo con tutte le caratteristiche necessarie che permettono di battere uno squadrone come quello di quell’anno di Sacchi, e l’azione del gol è un esempio cristallino di tutte queste qualità”.
Rimpiange di aver chiuso la carriera nel Milan? Non giocò tantissimo…
“L’idea iniziale era quella di andare là e far bene. Arrivavo da una carriera in cui ero fisicamente massacrato, e ora ne sto iniziando a pagare le conseguenze con qualche dolorino qua e là (sorride, ndr). Al Milan ho avuto dei problemi a mantenere certi ritmi”.
Avrebbe desiderato iniziare e finire la carriera all’Inter?
“Quando un bambino tifa per una squadra vorrebbe fare tutto in quella squadra. A me è capitato di girare moltissimo, ma ho sempre dato tutto me stesso. Ti viene naturale quando sei in sintonia con tutto l’ambiente. C’è un’amarezza di fondo ma c’è lo stimolo per una nuova avventura. Il calcio mi ha abituato alle vicende della vita”.
Con il Milan disputò un solo derby. Come lo visse?
“È vero, giocai solo quello del Mundialito ’82-’83, ed ero già al corrente che sarei tornato all’Inter. Feci due gol e in qualche modo mi creò qualche problema perché discussi con Bini, che sarebbe poi stato il mio capitano in nerazzurro, per via del mio modo di giocare: molto battagliero, specialmente in un derby. Da lì a 20 giorni sarei ripartito per il precampionato proprio con i nerazzurri. Mi trovavo in mezzo tra i vecchi e i nuovi tifosi”.
Chiellini ha detto che il derby della Mole vale quanto quello della Madonnina. Lei che li ha giocati entrambi con tutte le maglie è dello stesso avviso?
“Il derby della Mole non è paritetico: per il Torino è un obiettivo stagionale e la tifoseria è carica a mille. Per la Juventus è una partita importante ma non ha lo stesso valore che ha per i granata. Nel complesso è più bellicoso rispetto a quello di Milano, che è a sua volta particolare grazie innanzitutto allo stadio: il nero che collega il rosso e l’azzurro in questo muro di persone di cui non vedi la fine, è un’emozione unica”.
Autore: Filippo M. Capra / Twitter: @FilMaCap
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