"Il duello Sarri-Mancini contiene la grande domanda del calcio moderno: meglio il bel gioco o i grandi giocatori? Meglio tutti e due, risponderebbe Jacques de La Palice, da cui l’aggettivo lapalissiano, ma coniugare le due cose è improbo, pochi sono riusciti nell’impresa". Lo si legge oggi sulla Gazzetta dello Sport, perché anche la rosea ripropone l'inossidabile diatriba tra chi vede il calcio come estetica e chi come ricerca del risultato. Quasi fosse un esercizio di moralità più che un semplice sport. E allora ci sono i sarriani, logica conseguenza dei sacchiani, e i manciniani, degni eredi dei capelliani. "I sacchiani ritengono che conti di più lo spartito (il gioco) dei suonatori (i giocatori) e abbondano gli episodi che rendono l’idea: Sacchi e il suo urticante rapporto con Marco Van Basten, Sacchi che va da Franco Baresi – uno dei più grandi difensori di sempre – e gli consegna la videocassetta con i movimenti di Gianluca Signorini: «Guardala, da te voglio questo». Sarri, come Sacchi, arriva dal basso. Fusignano e Alfonsine, le prime squadre del vate romagnolo. Stia e Faellese i primi club dell’attuale allenatore del Napoli. Sacchi al Fusignano prendeva 250mila lire al mese e si divideva tra il calcio e l’azienda di famiglia, ramo calzature. Sarri allenava sui campi minori della Toscana e lavorava in banca, settore investimenti. Sacchi venne prescelto da Berlusconi, Sarri è stato assunto da De Laurentiis: imprenditori di tv, cinema e intrattenimenti vari. Tutti e due hanno vissuto esordi difficili. Sacchi al Milan cominciò male, Sarri al Napoli idem. Tutti e due hanno resistito. Sacchi limò qualcosa con Van Basten, Sarri si è chiarito con Higuain. Carriere parallele. Roberto Mancini va classificato nella categoria degli allenatori capelliani. Tecnici che sono stati grandi giocatori, e convinti che la differenza la facciano i campioni e/o fuoriclasse. Capello la sua nuova carriera la cominciò al Milan, agli albori dell’era berlusconiana: in pratica è partito dalla cima. Alla Lazio come vice di Eriksson e poi la Fiorentina in solitaria, questo l’avviamento di Mancini. Nessuno dei due ha allenato in campionati diversi dalla prima divisione dei vari Paesi in cui hanno lavorato. Hanno iniziato dall’alto e in alto sono rimasti. È giusto o sbagliato? È andata così. Tutti e due hanno sempre progettato e assemblato squadre cocktail, con due ingredienti base, la forza e l’estro. Nel Milan capelliano Desailly e Savicevic avevano la stessa importanza. Nell’Inter di oggi Melo e Medel sono vitali quanto Jovetic, Ljajic e gli altri interisti di piedi buoni. Il gioco non è mai stato la cifra principale del calcio di Capello e Mancini, i grandi giocatori sì". Stasera la sfida. Ma la corsa resta lunga fino a maggio.

Sezione: Rassegna / Data: Lun 30 novembre 2015 alle 09:15 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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