Triplete? No, tris di vittorie consecutive in campionato. Nella serata del ritorno a San Siro di Thiago Motta, è l'insospettabile Roberto Gagliardini a propiziare il successo sullo Spezia con un gol che a qualche tifoso avrà ricordato quello siglato proprio dall'italo-brasiliano nel derby d'andata della stagione di gloria nerazzurra conclusa vincendo tutto. Senza cadere nella blasfemia, l'azione tutta di prima confezionata da Calhanoglu, D'Ambrosio, Lautaro e Gaglia è stata un gran bel vedere dal punto di vista estetico e allo stesso tempo il modo più efficace per scardinare la difesa dei liguri preparata dall'ex centrocampista nerazzurro che sa cosa vuol dire custodire lo 0-0 a oltranza in situazione di difficoltà. Fu lui a lasciare i suoi in 10 vs 11 per un'espulsione ridicola (ieri ne ha reclamata una per Lautaro della stessa categoria) contro gli alieni del Barcellona 'nella sconfitta più bella' del Camp Nou, secondo la definizione di José Mourinho. Il demiurgo di quella squadra leggendaria, maestro che impartì la lezione più alta del calcio anti-materico nella sua meravigliosa carriera, giunta molto tempo dopo - tra varie peripezie - al mancato 'triplete', volutamente in minuscolo, personale in Serie A con la Roma successivo al capitombolo del Penzo. Colpa del Bologna di Mihajlovic, non di Arnautovic, costretto a essere nota a margine ancora una volta alla presenza dello Special One: l'austriaco ha lasciato il campo solo dopo 17', cedendo il proscenio ai compagni, in particolare a Svanberg che ha messo in ginocchio Mou con un gol. La prima di una serie negativa di notizie per i capitolini che a tre giorni da Roma-Inter hanno perso Abraham e Karsdorp per squalifica, più (forse) El Shaarawy causa infortunio.

Il 'rumore della sfortuna' ("Sabato dovremo inventare una squadra), più che dei nemici, potrebbe essere la nuova frase a effetto del portoghese che per una volta, dopo le tante manifestazioni d'affetto, potrà svelare la sua vera natura di antagonista della squadra che dice di tifare ma che non ha mancato di caricare di pressione dal suo arrivo trionfale nella Capitale. D'altronde, vale tutto nei mind games che hanno reso celebre il vate di Setubal, persino gettare ombre sull'ultimo scudetto vinto dal tuo ex amore: "Facile vincere, se poi non hai soldi per pagare gli stipendi", disse il giorno della sua presentazione come tecnico della Roma, con riferimento neanche troppo velato alle difficoltà economiche attraversate da Suning nella cavalcata di Conte verso il 19esimo tricolore.

Il passato che ritorna, sempre troppo ingombrante, come il viaggio a Madrid in cui l'Inter si imbarcherà all'inizio della prossima settimana, per giocarsi finalmente qualcosa di importante in Europa a undici anni di distanza da quella finale col Bayern Monaco: non ci sarà in palio la Coppa, vero, ma un primo posto nel girone davanti al Real che potrebbe facilitare il percorso nelle sfide a eliminazione diretta. I quarti sono diventati un tabù nel lungo e faticoso post-Mou e un miraggio recente per l'Inzaghi laziale che, nella passata annata, al primo tentativo, incrociò il destino con gli allora campioni europei in carica da vittima sacrificale. Non sarà così con l'Inter, che, comunque, un abbinamento coi bavaresi lo eviterebbe molto volentieri: ecco perché tutte le strade portano a Madrid (dopo Roma).
Sezione: Editoriale / Data: Gio 02 dicembre 2021 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari
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