Il presidente del Racing ha anticipato la fine della mini agonia, annunciando che Lautaro è praticamente un giocatore del Barcellona. Non ha motivi per millantare, non ha alcun tornaconto nel riferire la notizia, ma ce l’ha nell’incassare una piccola ma sostanziosa parte dalla cessione del giocatore ai blaugrana. In queste settimane nessuno si era esposto in modo risolutivo per respingere l’ipotesi. Il rinnovo del contratto non è mai stato fatto e non si è verificato alcun appuntamento per formularlo.
L’Inter dunque sembra aver deciso di favorire il trasferimento, d’altronde stipulando una clausola rescissoria si era già messa nella condizione di non potersi opporre in alcun modo ma trarne un eventuale vantaggio. È una scelta che oggi non condivido, è molto rischiosa e dà un segnale all’esterno che l’Inter non è ancora nelle condizioni di poter essere ambiziosa come Zhang pretende. O pretendeva. Il giudizio definitivo lo daremo al momento dell’eventuale annuncio ma ribadisco che non ci sono in giro nel pianeta giocatori della stessa età dell’argentino, più forti di lui.
Intanto le notizie di mercato hanno proposto le solite suggestioni mancate, come quella di Mertens, dato per ormai sicuro, salvo scoprire che aveva fatto lo stesso gioco di Dzeko l’anno prima, usando l’Inter come sponda per un rinnovo e un aumento del contratto. Ora va di moda Cavani, che ha già 33 anni ma dopo la vicenda Mertens c’è da essere straordinariamente prudenti.
È stato un fine settimana fortemente improntato sulla simbologia e sui significati che esprime l’Inter e che di rimando ritornano da chi ne ha fatto parte. Si è partiti dalla celebrazione del Triplete che anche noi a Radio Nerazzurra avevamo preparato con un podcast (bellissimo) a riguardo, più altre iniziative che abbiamo realizzato con la partecipazione dei nostri ascoltatori. Esattamente nel mezzo della celebrazione è arrivata una notizia che da tempo era nell’aria ma che si sperava arrivasse il più tardi possibile. La morte di Gigi Simoni nel giorno del decimo anniversario del Triplete è come se avesse consegnato definitivamente questa data ad una consacrazione definitiva, un po' come il ritiro della maglia di un giocatore.
Si sono fuse due epoche caratterizzate dalla somma di grandi successi a quelle di due straordinarie ingiustizie, una delle quali perpetuata da Moratti, che qualche anno dopo si farà perdonare da Simoni in una riconciliazione avvenuta durante la presentazione di un libro e nel quale il presidente aveva fatto un mea culpa. L’Inter di due passati fusi in un presente che hanno dato una dimensione diversa di una società di calcio.
Chi non segue il calcio o lo vede da lontano ne da spesso una lettura superficiale, intrisa di quella retorica che non riconosce altro che i propri valori e vede nello sport solo competizione e gioco, niente altro.
Il calcio in più di un secolo ha preso una dimensione che è andata ben oltre l’appuntamento settimanale con la partita e ha formato comunità di tifosi, a loro volta raggruppati in club, ha riunito perfetti sconosciuti in una comunità tutt’altro che virtuale, portandola ad essere uno Stato, con i suoi colori, i suoi simboli, i suoi inni, le sue divisioni ma soprattutto i suoi riti collettivi.
L’Inter però è andata oltre perché tra tutte le società sente di poter vantare una forma di unicità che passa attraverso una convinzione indefinita. La diversità è difficile da spiegare dagli stessi tifosi, pur riconoscendola.
L’Inter ha trovato un modello di riferimento che va oltre il risultato sul campo e trascende dalle delusioni che al contrario di quanto accade cementano tanto quanto le sconfitte.
Tutti i presidenti nerazzurri, al netto delle loro azioni, sono stati persone perbene, a partire da Paramithiotti, da Pozzani a Masseroni, da Angelo Moratti a Fraizzoli, da Pellegrini a Massimo Moratti.
Se pensiamo all’avvocato Prisco, Facchetti, Bergomi, Zanetti, ma anche ad allenatori come Trapattoni e Simoni, era importante per i tifosi trovare personaggi che identificassero quel valore e lo elevassero grazie all’esempio. L’Inter ha un candore che non è per forza purezza, ha un’ingenuità che non è per forza bontà. La forza dell’Inter è che non vive per il risultato, pur consapevole che ne dipende.
Herrera e Mourinho sono i due allenatori più vincenti, due seduttori che sono diventati più interisti di quanto avessero immaginato, specie Mou che nel tempo ha capito quanto ne fosse rivestito. Gigi Simoni però in un anno e mezzo ha interpretato perfettamente il ruolo che i tifosi pretendevano. Vincere non è l’unica cosa che conta, pur dovendo fare tutto quello che serve per riuscirvi, perché la vittoria come unica ragione di vita esaurisce in fretta il suo potere seduttivo, è un desiderio egoistico. L’interista insomma, si è visto anche in questi giorni, è diverso perché ama più l’Inter della vittoria.
Amala.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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