Forse qualcuno di voi si sarà accorto della novità che abbiamo lanciato nelle ultime due settimane. Una collaborazione con InterFanTv che ci permette di essere presenti anche in versione web television, un canale ormai di uso comune. Un progetto che dal nostro punto di vista ci permette di offrire un ulteriore opportunità al lettore, che adesso mi sbilancerei a definire anche telespettatore. E spero vivamente che questa iniziativa continui a raccogliere consensi come noto con piacere sta già accadendo. Questo preambolo autoreferenziale (me ne scuso, ma ogni tanto ci sta) per andare a trattare un argomento che proprio in trasmissione è stato tra i più dibattuti: alla luce di queste prime 13 giornate e della posizione in classifica dell'Inter, cosa sarebbe più giusto fare: mirare allo scudetto o volare bassi e confermare l'obiettivo di inizio stagione, ovvero un piazzamento Champions?

Innanzitutto, mi auguro che ci si possa porre questo quesito per tante altre settimane, mesi anzi. Significherebbe che la squadra sta proseguendo con lo stesso ritmo il proprio cammino, mantenendo viva la dicotomia. In seconda battuta, ad oggi, non è facile prendere una posizione netta perché i confini restano piuttosto labili. Personalmente, ho una teoria che vale per tanti altri ambiti: se si mira al bersaglio grosso, magari non lo si centra ma si va vicino. Ecco, ragionando così è più facile che l'Inter possa arrivare tra le prime quattro, rispettando così le aspettative dichiarate la scorsa estate. Una squadra che punta dritto al terzo-quarto posto, invece, rischia di ritrovarsi sesta se non settima. Lo dico perché so bene che prima o poi arriverà l'inverno e anche il gruppo ben guidato da Luciano Spalletti incapperà in qualche giro a vuoto. Sperare di mantenere questa velocità di crociera è giusto, ma anche pretestuoso. Perché per quanto i calciatori stiano dando ampie garanzie di professionalità e concentrazione, un lusso considerando il recente passato, esistono variabili indipendenti dalla forza di volontà e dalle motivazioni. E alla fine conterà il modo in cui l'Inter saprà rialzarsi, perché quell'esatto momento svelerà di che pasta sono fatti realmente i giocatori e se davvero l'ambiente è stato ripulito dei malevoli retaggi del passato. Attendiamo, nella speranza che il faccia a faccia con questa epifania arrivi il più tardi possibile.

Piedi per terra, testa bassa, lavorare duramente e correre. E non scrivo così per caso. Perché proprio una statistica conferma quanto la squadra sia cambiata rispetto alle precedenti stagioni: l'Inter è ad oggi prima in Serie A per chilometri medi percorsi a partita, davanti all'Atalanta (grazie a Fabrizio Biasin per la preziosa segnalazione). Cosa significa? I puristi del pallone avrebbero da storcere il naso (quando mai...), sostenendo che è il pallone che deve correre e non i giocatori. Giusto, ma c'è dell'altro. Finora il pallone ha circolato con una certa frequenza e in modo sagace, ma il fatto che nell'Inter i calciatori corrano mediamente più di chiunque altro conferma sia l'ottimo lavoro svolto la scorsa estate dallo staff tecnico (strano che non cambiare tecnico ad agosto porti benefici...), sia la predisposizione al sacrificio di chi scende il campo, che avrebbe anche diritto, in quanto divo dello star system pallonaro, di tirarsela un po'.

Faccio un esempio: Borja Valero. Talvolta capita che Spalletti debba sostituirlo 15, se non 20 minuti prima del fischio finale. Si dirà: ha 32 anni, non ce la fa più. Errore. Perché chi ha occhi per vedere sa benissimo che lo spagnolo in campo si fa sin dall'inizio un mazzo così inseguendo l'avversario o portando il primo pressing. Roba che sfiancherebbe anche un cavallo ben allenato. L'allenatore gli chiede questo sacrificio, lui ne è consapevole e si spreme volontariamente per il bene della squadra. L'età non conta, la chiave è l'abnegazione. Così come per Ivan Perisic, Antonio Candreva e Mauro Icardi. Gente che ha il compito di stimolare la manovra offensiva, ma non si tira mai indietro quando c'è da rincorrere l'avversario o dare una mano ai compagni. Questo è spirito di sacrificio, questa è la chiave per mantenersi lì davanti anche quando arriveranno i momenti bui.

Questo è il vero miracolo di Spalletti, che sin dall'inizio ha richiamato alla propria professionalità tutti i calciatori, soprattutto i reduci dall'imbarazzo della scorsa stagione le cui teste erano state reclamate a furor di popolo. Il dirimpettaio della follia, avrete notato, non li chiama mai "i miei ragazzi", bensì li definisce sempre professionisti. E non lo fa a caso, perché ogni singola parola ha un suo peso. Ergo, se cercate un motivo per essere fiduciosi, pur volando basso, pensate a quanto questa Inter sia atipica: poco umorale, poco imprevedibile, ma tanto, tanto solida.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 25 novembre 2017 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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