Vidal sembra sempre più vicino all’Inter e quando arriverà a Milano tanti dubbi verranno spazzati, perché l’entusiasmo di un nuovo acquisto spesso porta con se un nuovo carico di percezioni, giuste o sbagliate che siano.

Il mercato nerazzurro vive una stagnazione temporanea, figlia del covid e della difficoltà nel vendere giocatori rientrati alla base, con un ingaggio elevato come Joao Mario, Dalbert e Asamoah. Sembra davvero complicato riuscire a dare via anche solo uno dei tre, per questo è possibile il prestito.  

Pesa anche per il mancato riscatto di Perisic che oggi è il possibile quarto attaccante o il quinto di centrocampo, anche se non è quello che vuole Conte, così come per la riacquisizione di Nainggolan, trattenuto anche per una suggestione tattica, come quella di provare a far convivere il belga con Vidal, o per timore che l’affare salti all’ultimo minuto.

Il calciomercato poi vive di voci, di affari virtuali messi in circolazione senza controllo, al punto che Kovac ha seccamente smentito di volere Brozovic al Monaco e lo Zenit ha risposto ironicamente verso chi indicava i russi vicini a Christian Eriksen

A questo proposito permane il mistero della collocazione del danese.

Andrebbe compreso quale sia stato il vero motivo per cui l’Inter lo ha preso, per poi congelarlo in panchina ed escluderlo tatticamente anche dal nuovo progetto.

La nuova squadra è in costruzione con l’obbligo del 3-5-2 e con il recupero di Sensi, la presenza di Brozovic (anche se si tenta di prendere Kanté), l’arrivo di Vidal e la permanenza di Nainggolan, per Eriksen la cessione o la panchina sembrerebbe praticamente scontata.

È l’ennesimo caso della storia nerazzurra in cui un giocatore di qualità viene male utilizzato, venduto o non trattenuto. È accaduto troppo spesso che un allenatore imponesse le sue idee, senza che la società sapesse mediare tra le sue e quelle del tecnico. Certo Conte è un iracondo, bravo, bravissimo ma irrigidito nelle sue idee e tetragono a qualunque compromesso, ma resta un denominatore comune tra l’Inter che tra Cuper e Ronaldo scelse il primo, tra Baggio e Lippi pure, con Tardelli si scelse di lasciar andare via Pirlo, con Hodgson invece Roberto Carlos. Oggi con Conte si è rinunciato a Tonali e si assiste all’emarginazione di Eriksen.

La questione perciò è divisa in modo netto: se l’Inter dovesse vincere lo scudetto tutti sarebbero contenti, la squadra verrebbe ulteriormente migliorata, gli investimenti post covid e in pieno entusiasmo, sarebbero importanti. Si potrebbe pianificare con più serenità e Conte, pur mantenendo lo stesso piglio, avrebbe ragione di avere più fiducia nella società e scoprire che vale la pena essere più organico e meno dirompente.

Va però anche guardata la prospettiva opposta, pur non mancando la fiducia in una stagione migliore della precedente, dove l’Inter ha conquistato la finale di una coppa e un secondo posto.

Le questioni in sospeso riguardano l’atteggiamento di Conte a fine mercato. Se non riescono a prendergli Kanté o un altro obiettivo e non si riesce a liberare la rosa di tutti gli esuberi, come Vecino o Ranocchia che attendono ancora di conoscere la loro futura destinazione, come reagirà il tecnico?

La riunione avrà definito anche il comportamento da tenere davanti alla stampa, in casi di tensione? Se non dovesse riuscire a vincere, pure andandoci vicino, l’Inter ricomincerà con un nuovo progetto, un nuovo modulo e dunque sconfessando le due ultime campagne acquisti?

Sono domande lecite perché un club organizzato deve guardare in prospettiva, individuando tutti gli scenari possibili.

Questo genere di questioni non si porrebbero se l’Inter non avesse cambiato tanti allenatori, dirigenti e giocatori in questi anni, (andando vicinissima all’ennesimo colpo di scena anche quest’anno) e se al posto di Conte ci fosse un altro genere di tecnico meno turbolento.

La morale è: se la felicità e la continuità di un progetto dipendono unicamente dalla vittoria, è ottusamente rischioso ricominciare ogni volta da capo, con giocatori funzionali ad un solo modulo, non può essere l’unica opzione.

Per questo è auspicabile il progetto, perché non si può essere ostaggi di un eterno presente, nel quale la società in questi anni ha vissuto per necessità contingenti.

Amala.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 14 settembre 2020 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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