Lunedì scorso, con le dimissioni rassegnate in blocco dal Consiglio d'Amministrazione della Juve alla luce degli sviluppi dell'indagine 'Prisma', un altro terremoto ha scosso il calcio italiano. Gli effetti reali su persone e società verrano resi noti solo dopo che le due giustizie, sportiva e ordinaria, avranno fatto il loro corso, per ora è bene limitarsi a leggere le reazioni provocate dall'ennesimo scandalo che ha investito il nostro pallone. Partendo, ovviamente, da quella del suo numero uno, il presidente della FIGC Gabriele Gravina, che nella giornata di mercoledì ha offerto il suo punto di vista sulla vicenda non senza scatenare polemiche: "Se vogliamo andare sul linciaggio di piazza, non è un problema. Ma stiamo cauti perché temo che quel tema potrebbe riguardare anche altri soggetti". Garantismo duro e puro che poi è sfociato subito in quella che sulle prime è sembrata un'insinuazione pericolosa, non la miglior pubblicità per il carrozzone da lui stesso diretto. Poi la correzione in un secondo momento: "Il mio discorso non era riferito all’indagine in corso sulla Juventus, ma a una reazione esasperata che in Italia, in generale, rende colpevole chi ancora non è stato condannato".

Eppure, in era Covid, quando si preoccupava di non passare alla storia come il 'becchino del calcio italiano' fermando la Serie A con un lockdown troppo prolungato, Gravina non aveva avuto problemi a sbilanciarsi sulla mossa della Juve di procedere al taglio degli ingaggi dopo l'intesa con giocatori e tecnici: "L'accordo raggiunto dalla Juventus è un esempio per tutto il sistema", aveva detto. Una manovra per cui, martedì scorso, la Procura della Federcalcio ha deciso di aprire un procedimento per vederci più chiaro sulle scritture private tra la società bianconera e i suoi calciatori, attraverso le quali, secondo l’ipotesi della Procura della Repubblica di Torino, si sarebbe ottenuta una riduzione fittizia dei compensi nonché dei costi nei bilanci chiusi il 30 giugno 2020 e 30 giugno 2021.

Eventi che hanno portato milioni di tifosi italiani e non solo a chiedersi 'cosa rischia la Juventus a livello sportivo?, dato che il club dell'ex presidente Andrea Agnelli, non avendo mai abbandonato l'idea di creare una Super League europea, al pari di Real Madrid e Barcellona, si è creato non pochi nemici anche oltreconfine. La certificazione è arrivata dalla Spagna, all'atto della pubblicazione di un comunicato durissimo in cui la LaLiga ha chiesto ufficialmente alle autorità competenti di applicare "sanzioni sportive immediate". Tra difese un po' goffe, precisazioni poco convincenti e attacchi frontali arrivate nelle ultime 48 ore, occorre allargare lo sguardo oltre il 'caso Juve' per avere una visione d'insieme che inquadri la questione primaria che accomuna Serie A, Liga, Superlega e FIGC: quello della sostenibilità finanziaria del calcio. Che, come sottolineato giustamente dalla organizzazione guidata da Javier Tebas, 'è fondamentale per proteggere il business'. Ma in che modo? Punendo ovviamente chi commette irregolarità contabili, purché dimostrate, ma soprattutto trovando il modo di creare un sistema che tolga certe zone grigie. Le risposte date dai vertici del football finora sono state due e antitetiche negli ultimi 12 anni: Fair Play Finanziario e Superlega, con le note conseguenze del caso che tutti conosciamo. Non c'è una via di mezzo, ormai si ragiona solo per partito preso: 'come la Juve' (lo fanno/faranno anche altri) rischia di essere lo slogan di chi sostiene la tesi 'tutti colpevoli, nessun colpevole' anziché diventare l'ennesimo campanello d'allarme lanciato da un calcio che non riesce più a controllare se stesso.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 01 dicembre 2022 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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