Torna a parlare Walter Mazzarri e lo fa in un'intervista al Corriere dello Sport, ripercorrendo anche la sua carriera per il momento messa in ghiaccio.
Ventitré anni in panchina non sono pochi.
«A Cagliari ho toccato le 720 partite».
Nel 2011 eri l’allenatore dei sogni. C’era un premio così concepito e lo assegnarono proprio a te.
«Ne ho vinti tanti, di premi. Ora non me li ricordo tutti quanti, se do un’occhiata in casa c’ho un sacco di roba, però sai come sono fatto, io guardo sempre al giorno dopo, mai indietro. Probabilmente sono ancora molto giovane, solo quando sarò vecchio mi guarderò indietro».
La retromarcia la innesto io, se permetti: i quattro anni a Napoli restano indimenticabili.
«Da quando è presidente De Laurentiis sono quello che c’è stato più a lungo. Voglio solo dire che con lui ho avuto un rapporto stupendo. E se fosse stato per De Laurentiis sarei rimasto tanti anni ancora, come si usa in Inghilterra. Però, lo dissi anche a suo tempo, dopo quattro anni se non cambi tutti i giocatori o non ne cambi tanti, diventi troppo prevedibile. È anche una questione di linguaggio. Pensai che fosse quello il momento di andar via».
In seguito la Samp, l’Inter, il Torino.
«Anche col presidente Cairo la stima è ancora intatta. Sono arrivato in corsa, ho fatto benino subito, ma l’anno importantissimo è stato quello in cui ho completato la preparazione, l’anno dei 63 punti, una cosa incredibile, è tuttora il record dei tre punti. E ti dico la verità, resta il rammarico di aver solo sfiorato la Champions. Siamo arrivati in Europa League, ma se avessimo vinto a Empoli e a sei minuti dalla fine Ronaldo non avesse pareggiato a Torino, saremmo andati su noi».
Il calcio ti ha restituito tutto quello che gli hai dato?
«Un po’ di meno, un po’ di meno, ma la colpa è mia, non di altri: quando stai in un mondo come il nostro non devi pensare solo a fare l’allenatore, non basta far rendere i giocatori per poi trascurare i rapporti. A 62 anni mi rendo conto che hanno ragione quelli che, magari non conoscendomi, mi considerano antipatico. Ecco, credo di aver pagato un po’ troppo i miei atteggiamenti, la mia ritrosia. Come si dice adesso? Scarsa empatia».
Lasciatelo dire: cercavi insistentemente degli alibi alle sconfitte. Ricordo una frase, ormai storica, «e poi ha cominciato a piovere»…
«Vedi, Ivan, ho pagato l’antipatia di persone che non vedevano l’ora di attaccarmi e farmi fuori. Di Inter, quell’anno, c’era solo la maglia nerazzurra, basta dare un’occhiata alla formazione per rendersi conto che non era competitiva, non all’altezza del nome che portava. Con l’esperienza che ho oggi non avrei probabilmente accettato, anche se l’Inter è un posto prestigioso. Quando alleni un club di quell’importanza devi poter disporre di una squadra potenzialmente da primi tre posti, altrimenti preparati a essere contestato ogni tre giorni. Un grande equivoco, quell’esperienza. Anche se poi, rispetto a chi è arrivato dopo e a chi mi aveva preceduto, ho fatto meglio. Io quinto, loro ottavi. A volte sento allenatori di squadre importanti che accampano molte più scuse di quelle che accampavo io. Quando perdi non puoi dire “la squadra non è all’altezza del club, del suo blasone”. Se pensi al Napoli, dove ho fatto la storia e si perdeva poco, la quota degli alibi era praticamente azzerata. Certe etichette te le appiccicano addosso quando sei costretto a mentire, a difendere il gruppo».
In che direzione è andato il calcio?
«Sono innanzitutto aumentati i tempi morti. Quando allenavo ripetevo che ci sarebbero voluti i cinque cambi perché a certi ritmi i giocatori non ce la fanno a reggere 90 minuti. E i cinque cambi sono arrivati».
Oggi, qual è il calcio più vicino al tuo ideale?
«Il Napoli di Spalletti, beh, quello piace a tutti, io il 4-3-3 non ho mai potuto farlo perché non avevo i giocatori adatti. L’anno scorso il Napoli ha trovato un’alchimia incredibile. Ha fatto un calcio bello, bellissimo. Il 4-3-3, con tutti i movimenti delle catene di destra e di sinistra, i terzini che, a volte, invece di allargarsi costruivano da dentro. Insomma, tante novità e il Napoli le ha assimilate meglio di altri. Sia chiaro, anche Pioli col Milan ha mostrato cose nuove: faceva impostare i terzini da dentro e allargava le mezzali, gli esterni».
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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