Ospite di Gianluca Gazzoli lo scorso 16 maggio, il giorno dell'euroderby di ritorno, Marco Materazzi ha raccontato come ha vissuto il periodo post-ritiro: "Ho smesso nel 2011, il primo anno fai tutto quello che non hai mai fatto durante la tua carriera - le parole di Matrix -. Poi arriva il tracollo due anni dopo. Mi manca lo spogliatoio, la gente, ma per Inter-Milan stasera vado in curva perché mi sento uno di loro, come quando giocavo. Per questo mi manca di meno ovviamente. Poi quando hai una vita piena, se ti sei creato qualcosa al di là del calcio, vivi bene".
La carriera da allenatore.
"L'ho fatto in India per tre anni, vincendo un campionato. Mi è piaciuto perché era 'vergine', dovevo fare tutto io. Abbiamo messo su una squadra, l'ultima franchigia. abbiamo vinto la regular season, poi abbiamo perso la semifinale perché eravamo cotti. L'anno dopo abbiamo vinto, l'ultimo non ci siamo neanche qualificati. In India la religione è il cricket, ma quando vai a giocare a Calcutta c'è tanto seguito".
Sei diventato l'idolo dei tifosi delle squadre per cui hai giocato perché hai sempre dato il cuore.
"Io preferisco avere l'amore dei miei e l'odio degli altri. Almeno sei uno che divide, che ha il coraggio di dire ciò che pensa".
Poi sei diventato l'idolo di tutti nel 2006.
"Per un mesetto e basta, il tempo di festeggiare. La mia situazione al Mondiale è stata raccontata in maniera sbagliata: su 10 persone che incontro, 9 dicono che ho fatto bene a dare la testata. L'hanno raccontata al contrario. Non si è mai visto un giocatore nella storia del calcio che ha preso due giornate di squalifica per provocazione, sono orgoglioso di questo. Io so come sono andate le cose, sicuramente non avrei meritato due turni di squalifica. Ma c'era un 'bandito' alla Fifa, ha fatto in modo andasse così. Mi ha chiamato l'avvocato della Fifa, quando ero in vacanza alle Maldiva, di tornare a Zurigo. Io gli ho risposto: 'voi siete scemi, quando torno forse vengo'. Poi alla fine sono andato e sono stato giudicato senza essere ascoltato. Se la sono suonata e cantata, ma rimane il fatto che io sono campione del mondo. Un po' mi è spiaciuto perché avrei voluto giocare allo Stade de France dopo il Mondiale, mi sarebbe piaciuto sfidarli. Purtroppo me l'hanno negato... E' stata fatta una porcata, Tassotti prese 9 giornate per una gomitata lui 3, una più di me. A me piace ricordare i due gol che ho fatto, uno di testa e uno con il 'pallone medicinale', da 10 chili, perché non è facile tirare il rigore. Fortunatamente Barthez non è tanto alto, ma sapevo che dovevo fare gol. Zidane? Gli faccio i complimenti per quello che ha fatto da giocatore e da allenatore. Quello che è successo quella sera è un problema suo più che un problema mio".
Il Triplete.
"Per il sottoscritto, e per tutti quelli che hanno sofferto nel 2002, è stata la ciliegina sulla torta. Il nucleo storico di quella squadra ha raggiunto il massimo, ha vinto meritatamente dopo aver sofferto. È stata una gratificazione sportiva, in Italia non lo ha mai fatto nessuno, solo noi. Non l'ha fatto neanche il Real Madrid, che è la squadra più titolata della storia. Non è facile quello che abbiamo fatto noi. Nello sport non vince sempre la squadra più forte, ma anche la compattezza di un gruppo, i dettagli, l’allenatore poi non ha sbagliato niente".
Avevi delle strategie per intimidire?
"No. Io se le davo si litigava. Samuel, il mio idolo, te le dava e se gli dicevi qualcosa non ti rispondeva. Io sbagliavo magari a discutere, quello sì. Se ho esagerato? No, quello che è fatto è fatto, non rinnego il passato".
Ronaldo.
"La potenza di Cristiano con la velocità di esecuzione e il talento naturale di Messi. E faceva quelle cose 20 anni fa, era di un'altra categoria".
L'abbraccio con Mourinho dopo la vittoria di Madrid.
"Ho avuto il sentore che sarebbe andato via negli ultimi 10 giorni. Ho capito che se avessimo vinto, sicuramente ci avrebbe lasciato. Volevo convincerlo a rimanere, ma ogni santo giorno che gli dicevo 'devi rimanere qua' abbassava lo sguardo. Io lo avevo capito, infatti quando ci siamo allenati alla vigilia della finale nel centro sportivo del Real Madrid capimmo che sarebbe andato via al 100%. Eravamo dispiaciuti, poi ci siamo detti godiamoci la finale senza pensare al suo addio. Per noi era una persona importante, un punto di riferimento per tutta la squadra. Con lui non avremmo rivinto la Champions, anche se poi siamo usciti con lo Schalke. Lo scudetto lo avremmo vinto a mani basse, ne sono pienamente convinto. Dopo la finale non è tornato con noi a Milano, abbiamo pianto insieme e gli ho detto: 'Vaffanculo, con mi lasci l'anno prossimo?'. Sapevo chi sarebbe arrivato purtroppo (Benitez, ndr). Con José ci siamo sempre detti le cose in faccia, l'ho sempre aiutato. Io ho smesso con José, lui stesso mi disse che il secondo anno che aveva piacere ad allenarmi, pur dicendomi che avrei potuto fare anche zero partite. Dopo 1' gli ho risposto: 'io rimango con te'".
Ricordi del derby e la foto iconica con Rui Costa.
"L'atmosfera era bellissima, erano belle partite. Ho firmato tante foto... E' successo il casino in Curva, in quella circostanza esagerarono, e lo dico avendo un grande rapporto con i tifosi. Non è più calcio, quello ha fatto male a noi, per la partita persa e la squalifica del campo, ma anche a Milano. Non ha senso rovinare le partite così".
Sei tifoso dell'Inter?
"Non lo ero, ma lo sono diventato. Nel mio primo anno all'Inter potevo vincere tutto e invece ho perso tutto. Non è stato facile ripartire dopo il 5 maggio. Avevamo cambiato tantissimo, l'anno dopo il derby del 6-0. Si ripartì da zero, avremmo meritato lo scudetto pur non essendo i più forti. Non voglio fare retorica, ma qualcosa è andato storto".
Il rapporto con Ibrahimovic.
"Non c'è antipatia da parte mia, lui la butta lì ogni tanto, è successo anche quando è tornato al Milan. A lui piace attaccare l'idolo degli interisti. Non c'è nessun rancore da parte mia. Le frecciatine? Ci sta. La Champions e il Mondiale non li vincerà mai, parliamo di vincere scudetti con Juve, Psg, Milan e il Barcellona... Sono tutti buoni, lui ha fatto questo. Lui è un fenomeno, è un campione, ma non è il più forte come si sente. Ha creato un brand, ma non è il più forte. Lui, come me, è orgoglioso del percorso e da dove viene. Tanto di cappello per ciò che ha fatto, poi madrenatura gli ha dato un fisico e due piedi incredibili. Nei campionati lui è un fenomeno. Il suo addio? Lui è un irrequieto. Io ho perso lo scudetto il primo anno e sono rimasto all'Inter, poi sono stato premiato. Ora si è un po' calmato, è l'idolo dei tifoso milanisti e sta bene a Milano".
Ma vi sentite in privato dopo le frecciate pubbliche?
"Non ho contatti con lui e non ci tengo neanche, ognuno per la sua strada".
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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