Il protagonista di Career Legends, contenitore di Inter Tv, è Beppe Bergomi. Attraverso le foto lo "Zio" ha ripercorso una lunghissima carriera. 

L'esordio con l'Inter.

"Il 6 settembre 1981 in Coppa Italia contro il Milan, 2-2 con mio gol nel finale. Il primo da pro. A noi bastava il pari per andare avanti, vincemmo quel trofeo. Segnai nel finale su azione da calcio d'angolo. Uno dei più bei ricordi che ho, Bersellini corse in campo. Uno stadio strapieno. Da ragazzino ero un po' più incosciente. Da ragazzo hai l'aiuto dei compagni, la gente è più benevola se sbagli. Io ho giocato 44 derby, è sempre stata 'la partita'. La vigilia è sempre di grande attesa, non vedi l'ora di giocare. Quella partita ti crea un clima che nessun'altra gara ti dà. Avevamo due risultati su tre, l'abbiamo portata a casa. Nei ricordi, questo lo porto nel cuore".

Spagna '82.

"Il più grande traguardo, la Nazionale dà sensazioni uniche. Ho fatto 4 Mondiali ma di questo ne parlo tantissimo perché da 3-4 anni faccio un po' di formazione negli oratori e nelle Università. Quando si parla di gruppo, di vittorie, cito sempre la Nazionale dell'82 perché era un grande gruppo, grandi uomini. Ero in camera con Marini, che mi diede il soprannome di 'Zio'. Bearzot, per il gruppo, ha sacrificato tanto. Un Mondiale a 18 anni e mezzo è un traguardo straordinario. Subito dopo, avevo sempre 18 anni e mezzo, e tutti volevano il rendimento da campione del mondo. Pruzzo mi passa dietro e segna, volevo sprofondare. Non è stato un anno facile, ma quando vinci un Mondiale e la Coppa Italia subito a 18 anni sono traguardi importanti, ma bisogna sempre guardare avanti. Pressione? L'aspetto caratteriale è importante, per me dimostravo qualche anno in più, sono valori che ti porti dentro. Nelle difficoltà ti aiutano sempre: la mia famiglia mi è sempre stata di grande aiuto e ha permesso di gestire al meglio una carriera che è durata tantissimo. Da un errore ho sempre pensato ci potesse essere una crescita. Poi magari aumentano anche le responsabilità, ma ho sempre gestito le situazioni così. Dopo il triplice fischio di Italia-Germania ho pensato a mio papà perché da sopra mi ha sempre protetto e l'altro pensiero va a Enzo Bearzot. Un allenatore che non sapeva solo di calcio. Mi ha insegnato tanto, mi ha fatto sentire parte di quel gruppo. Io faccio il 4-1 all'Ascoli un giorno. Esulto, loro retrocedevano. Alla convocazione dopo mi ha detto che dovevo portare rispetto. Quelli erano i valori. Senza dimenticare un Rossi o uno Scirea, ma lui lo metto al primo posto".

Lo scudetto dei record.

"L'emozione più grande con l'Inter. Grande squadra, grande gruppo. E' stato bello vivere quegli anni con Trapattoni dove tutti siamo cresciuti. Tanti eravamo buoni giocatori ma ci serviva il campione, Lothar Matthaus. Ha fatto crescere tutti quanti. Una cavalcata impressionante, non partita bene perché perdiamo in Coppa Italia con la Fiorentina. In 5-6 siamo andati da Trapattoni dicendo che eravamo con lui. Gli scappò quasi una lacrimuccia. Da lì siamo partiti fortissimo e non ci siamo più fermati. Avremmo potuto vincere di più? Sì, ma erano anni molto competitivi: il Napoli di Maradona, il Milan, la Sampdoria. Mancava la Juventus. Però siamo rimasti sempre al vertice: sempre secondi o terzi, vincendo la Supercoppa e la Coppa Uefa. Il rammarico grande è la Coppa dei Campioni. Le rose non erano molto profonde, se in quel momento hai 2-3 giocatori che non stanno bene o si fanno male diventava difficile. Non aver fatto un certo percorso è un rammarico. Con Bersellini arrivammo in semifinale col Real Madrid. Per valori potevamo andare più avanti. Con Trapattoni giocavamo io e Ferri marcatori, ma se il mio uomo faceva un taglio profondo io chiamavo Riccardo e Mandorlini o Verdelli ci davano equilibrio da libero. In costruzione mi allargavo, poi avevo un ragazzo come Bianchi, molto intelligente nella spinta. Io nasco terzino di spinta, il primo anno nel settore giovanile ho fatto subito 2-3 gol. Poi Arcadio Venturi mi disse che dovevo imparare a marcare, ma l'anima era quella di andare avanti".

Van Basten.

"Van Basten era il più difficile da marcare. In valore assoluto è Maradona, ma dico sempre l'olandese perché era un ragazzo di 1,90, tecnico, agonisticamente cattivo. Tu menavi, lui menava. In quegli anni c'erano Zico, Maradona, Gullit, Van Basten, i campioni erano in Italia. Ricordo, dei derby, che una volta Maldini fa fallo. Io metto giù la palla per battere veloce e lui mi entra sulla mano... Lo ricordiamo sempre, anche perché poi abbiamo giocato assieme in nazionale. Ricordo poi il rapporto tra i fratelli Franco e Beppe Baresi. Ogni tanto facevamo qualcosa assieme fuori dal campo. Dentro ogni tanto c'era qualche contrasto ma si rispettavano tantissimo. Io avevo un avversario che mi dava noia, era Massaro. Erano sempre duelli abbastanza duri, ma poi con i nazionali c'era grande rispetto. La rivalità era un po' più accesa però. Non dico che i ragazzi di oggi non lo sentano, mai come negli ultimi periodi. Però quando arrivi dal vivaio, il senso di appartenenza lo metti in campo. Il derby era la gara che sentivo di più. Capivi cosa voleva dire vincere o perdere. Se perdevo non uscivo per tre giorni. Se vincevi stavi bene".

La prima Coppa Uefa.

"Un traguardo che sentivo molto perché negli anni '80 avevo perso delle semifinali in diversi tornei. Volevo una finale europea, dalla Grande Inter in poi non si era più vinto. Poi ne abbiamo vinte tre ma quella è stata fondamentale. La preparazione della gara di ritorno è stata quella che ho sofferto di più. Nel percorso c'è stata quella con l'Aston Villa, che poi ci ha dato una convinzione diversa. Nella foto ci siamo io e Ferri, con cui siamo cresciuti assieme. Siamo arrivati lo stesso giorno e ci siamo seduti vicini sul pullman. Venturi diceva: 'Dovete prendere esempio da quei due lì', perché avevamo i capelli corti... Poi abbiamo fatto una carriera parallela, lui tardò un attimo perché si ruppe un braccio e perse un anno e mezzo. Non posso dimenticare Walter Zenga, Beppe Baresi. Ricordo tutti con piacere, ma loro hanno fatto il vivaio e poi tanti anni con me. Walter era unico. Più aveva problemi, più giocava meglio. Riusciva sempre a giocar bene. Io parlavo sempre poco, ma feci anche una trasmissione tv e quello poi mi ha aperto un'altra carriera. Berti? Ci vogliono nel gruppo anche quelli così. Il suo modo di porsi era fondamentale. C'era Matthaus, un campionissimo a cui dicevo sempre di farsi voler bene. Lothar poteva fare anche qualcosa in più. Una volta col Partizan perdevamo 1-0, mi vide un po' giù e mi disse di star tranquillo che avrebbe segnato. Questo era lui".

Gigi Simoni

"Grande uomo. Grandissimo. Gli devo tantissimo. Un'annata incredibile. Mi ha fatto tornare al Mondiale a 35 anni. Quando è arrivato mi ha detto: 'Io ne sento di tutti i colori, a me non interessa niente. A 35 anni o 18, se meriti giochi'. Quando stati tanto in una squadra e nella fase finale non arrivano i risultati, c'è sempre voglia di cambiamento. Lui mi ha detto che avrebbe resettato tutto. Feci una stagione incredibile. Non abbiamo vinto il campionato e sappiamo come. Per me è stato straordinario umanamente. Si faceva rispettare sul campo, molto esigente. Un altro gruppo di cui ho la chat nel telefono. Ronaldo? Per tecnica in velocità il più forte in assoluto di quelli con cui ho giocato. Incredibile. Per leadership Matthaus. Per capacità tecniche Ronaldo sopra tutti. Al primo allenamento fa uno stop di petto su rinvio del portiere e pallonetto a Pagliuca. Simoni diceva che eravamo tutti uguali tranne lui. Noi lo avevamo capito, sapevamo che dovevamo difendere bene e recuperare palla, lui ci avrebbe fatto vincere le partite. Il più simpatico in chat? Ciccio Colonnese è quello che scrive di più. Ma la cosa bella è Simeone, che risponde sempre. Poi Taribo, simpaticissimo. Simoni mi diceva che dovevo 'marcarlo'. Taribo aveva mezzi fisici straordinari, concentrato era eccezionale. Ma partecipano tutti. Zé Elias era quello che faceva le imitazioni di tutti. Mi piace che quella squadra sia ricordata".

Se pensi all'Inter?

"Se penso all'Inter la prima cosa a cui penso è che è la mia seconda pelle. Mi ha dato tutto, mi ha fatto crescere, diventare uomo. Ho dato tutto. Quando ho smesso stavo bene, avevo altre offerte ma non ci sono andato. Mi piace pensare al nostro senso di appartenenza, al fatto che 'Siamo l'Inter'. Se chiudo gli occhi penso alla prima volta che a 14 anni mi hanno dato le maglie pesanti, quelle di una volta. Da lì è partito tutto. Devo tutto e penso di aver dato tutto".

Acquista QUI i prodotti originali Inter

Sezione: Copertina / Data: Gio 16 giugno 2022 alle 12:14
Autore: Redazione FcInterNews.it / Twitter: @Fcinternewsit
vedi letture
Print