Lunga intervista di Javier Tebas ai microfoni di Tuttosport andata alle stampe nell'edizione odierna, durante la quale il numero uno della Liga spagnola affronta vari problemi che riguardano il calcio europeo.
In Italia la Serie A litiga con il Governo e così accade in Inghilterra con la Premier, in Spagna c’è la Federcalcio commissariata...
"Io credo che sia una coincidenza e che solo Inghilterra e Italia siano situazioni simili, con i governi che stanno intervenendo mettendo in dubbio la sostenibilità economica dei campionati, in Inghilterra si è giunti all’estremo con la creazione di un’agenzia di controllo, un po’ come sta accadendo in Italia".
Pensa che l’intervento della politica in Inghilterra e in Italia sia pericoloso per l’autonomia dello sport e del calcio?
"Credo, in entrambi i casi, che se non c’è un’autoregolamentazione da parte delle società, beh... lo Stato deve intervenire. Ci deve essere un’autoregolamentazione in tornei come la Serie A e la Premier che non sono sostenibili, come ho denunciato spesso. Così è inevitabile che lo Stato pensi a qualcosa per salvaguardare un’industria nazionale, in Italia il Governo dice spesso che vuole proteggere le industrie nazionali e il calcio lo è, perché con l’indotto dà lavoro a centinaia di migliaia di persone e può valere fino all’uno per cento del Pil nazionale. In Italia ci sono società con debiti astronomici, non è ammissibile per un settore così importante".
Il problema è di management delle società? Di cattiva gestione?
"È un tema che studiamo da anni e dico chiaramente: no, non è colpa dei manager. È un problema di funzionamento del sistema, di come è strutturato. Le proprietà mettono soldi [...], però solo una vince, solo quattro vanno in Champions o solo tre vengono promosse e, comunque, ce ne sono tre che retrocedono. Quindi se cinque o sei avevano investito per vincere, ce ne sono quattro o cinque che non lo hanno fatto, ma hanno creato inflazione nei costi. Quando sono arrivati i soldi dei diritti tv trent’anni fa sono aumentati i ricavi, ma lo studio di quel periodo ci ha detto che i costi sono aumentati in proporzione superiore! Ed è un meccanismo che si moltiplica con il passare delle stagioni, fino a rendere insostenibile il calcio. La soluzione è un regolamento di FairPlay finanziario che funzioni e che venga applicato con rigore. Perché se c’è una società che prova a essere rigorosa, rischia di essere surclassata da una che non lo è, che fa debiti, e può prendere i migliori giocatori, aumentando l’inflazione".
Le coppe europee e in particolare la Champions stanno allargando il divario economico fra i club che partecipano e i club che non partecipano. E in Italia nelle ultime dieci stagioni solo 7 club sono andati in Champions. Questa tendenza non spaccherà in due i campionati nazionali?
"Ci sono squadre più grandi, per storia e bacino, ma noi che organizziamo il calcio dobbiamo evitare che questo divario naturale si amplifichi e si allarghi troppo, perché ne va della vita stessa del sistema industriale del calcio. La distribuzione del denaro generato dalle competizioni va gestita, a livello internazionale e nazionale, non dobbiamo cambiare il calcio".
Cosa pensa della nuova Champions?
"Sono scettico e mi preoccupa. Nel prossimo triennio ci sarà una progressiva cannibalizzazione perché, se gli introiti nazionali sono inferiori a quelli europei e quelli europei vengono distribuiti solo a una ristretta élite, aumenterà quel divario di cui parlavamo prima".
Fa riferimento anche alla Superlega? E come pensa sia cambiato lo scenario dopo la sentenza del 21 dicembre della Corte di Giustizia europea?
"Innanzitutto c’è una sfumatura da chiarire: non credo che la Superlega voglia essere un’alternativa, ma proprio sostituire il sistema di competizioni europee che è sempre stato un modello di successo che credo vada mantenuto. Il dibattito si è intossicato e credo che la sentenza ammetta il monopolio dell’Uefa, ma dica che esiste una posizione dominante perché non c’è regolamentazione su come organizzare una competizione all’interno dell’Uefa e che quindi l’Uefa debba provvedere a regolamentare questo. Dice anche cose importanti: devono essere create norme più trasparenti, con la partecipazione degli stakeholder interessati e questo accade un pochino nell’Uefa, ma non accade per niente nella Fifa che impone dall’alto tutto, a partire dal calendario. Alla Fifa dei nostri interessi non gliene frega niente: occupano tante settimane all’anno con le loro competizioni. E poi dicono di ridurre da 20 a 18 le squadre dei campionati: un danno per l’industria nazionale. Nella Fifa siede gente che non ha mai avuto un club".
Mi sembra di capire che non è molto favorevole al Mondiale per club.
"No! Non lo sono. Hanno approvato un calendario, lo hanno piazzato senza chiedere ai campionati nazionali, tutte le leghe devono ridurre i loro calendari o complicarli. Vorrei ricordare che nelle leghe europee, contando solo i professionisti, ci sono 60 mila giocatori, poi contate gli allenatori e tutte le persone che lavorano direttamente o indirettamente e... ecco, si capisce chi viene danneggiato. Questi attacchi danneggiano, per esempio, il calcio italiano: speriamo che cambi questa dinamica, io sono contro l’essenza del Mondiale del club. E vi chiedo: quanto denaro genererà questo per le leghe nazionali? Pochissimo. Leggo che l’80% degli introiti andrà ai club, il che significa che di quella cifra il 70% andrà nelle tasche dei giocatori, quindi andrà in Ferrari, in Lamborghini, in yacht o in resort di lusso, perché si tratta di giocatori di élite che sono già ricchissimi. Insomma non si generano risorse per il calcio in generale, si generano problemi e povertà. Ci guadagna solo l’industria del lusso e distruggerà il calcio meno ricco. Bisogna pensare ai calciatori che guadagnano 2000 euro al mese, ma la Fifa pensa solo all’élite".
Secondo lei il calcio ha bisogno di adeguare il suo regolamento? Penso al tempo effettivo di gioco, per esempio.
"Non credo. Se il calcio è ancora lo sport più popolare del mondo, forse è anche perché il regolamento va bene così com’è da più di cent’anni. Se il calcio è lo sport che crea più introiti a livello economico, perché questa urgenza di cambiarlo? Vediamo una tendenza fra i dirigenti per cui cambiando il format di una competizione o le regole cambi tutto, ma non è così. Si pensi piuttosto alle regole sulla sostenibilità finanziaria e a creare dei prodotti audiovisivi migliori in ogni categoria".
A distanza di più di cinque anni dall’introduzione del Var nei vari campionati e nelle competizioni internazionali, qual è il suo bilancio su questo strumento?
"Fortemente migliorabile. La tecnologia c’è, ma ci sono le interpretazioni della stessa e le polemiche non mancano. Va migliorata la tecnologia così come l’interpretazione. Adesso il fuorigioco automatico aiuta, ma l’interpretazione del Var genera le stesse polemiche di prima".
Che futuro vede per lo sport del calcio?
"Sono molto preoccupato. Ci sono le sfide della Fifa e delle grandi organizzazioni che sanno solo creare nuove competizioni, ma non analizzano bene l’industria e prendono decisioni che danneggiano i campionati nazionali, che sono la base della piramide. Bisogna limitare tutto questo perché altrimenti si uccidono i campionati nazionali. La seconda sfida è contro i pirati televisivi, secondo me le grandi competizioni e le piccole devono prendere sul serio questa situazione e fare di più. Invece di creare competizioni che arricchiscono solo l’élite, si dovrebbe combattere la pirateria che prosciuga il 30 o il 40% delle risorse del calcio mondiale".
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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