Intervistato dal Corriere dello Sport, Ivan Gazidis del Milan ha parlato anche di calcio italiano e di prospettive future.

Uno degli argomenti a lei cari è il progressive football. Provi a spiegarlo.  
"La mia formazione mi porta a non sottovalutare anche i temi strettamente tecnico-tattici. Il calcio sta costantemente cambiando e i Paesi in cui l’aspetto del campo viene trascurato restano irrimediabilmente indietro. Ciò che intendo per progressive football non è necessariamente un concetto fisso, ma una filosofia di approccio che consiste nel porsi delle domande e pensare a come lo sport possa evolversi. Al momento noto che le transizioni da un possesso palla all’altro stanno diventando sempre più importanti: quei cinque secondi sono decisivi. Anche gli uno contro uno, i duelli individuali hanno riguadagnato l’importanza di un tempo. Nel calcio italiano c’erano degli schemi di gioco definiti e fin troppo ripetuti; ora sembra prevalere lo stile basato sull’uno contro uno - l’Atalanta lo pratica benissimo - e risulta molto più difficile giocare contro chi investe nei duelli e nello spazio".  
 
Sembra un ritorno agli anni 80-90.  
"È un’idea circolare. L’aspetto atletico è cambiato in modo netto, però: i calciatori di oggi, rispetto a quelli di venti e trenta anni fa, sono diversi strutturalmente, hanno abilità e caratteristiche differenti, spesso superiori. Le scienze motorie alle quali ricorriamo per ottenere performance ai più alti livelli sono di gran lunga più sofisticate. Un altro aspetto è la verticalità. Quando una squadra recupera il pallone, e quindi il possesso, deve trovare la via più veloce per avvicinarsi alla porta avversaria, anche a costo di correre dei rischi. Il regista non è più il numero 10, che ha le abilità e l’estro per trovare il passaggio giusto, bensì l’intero sistema. È il sistema che diventa il playmaker". 
 
Ma il calcio è uno solo, Gazidis. Con le sue declinazioni, le sue evoluzioni, i suoi aggiornamenti spesso solo apparenti.  
"Non esiste un solo modo di fare calcio, ci sono tanti stili diversi. Antonio Conte ha ottenuto numerosi successi giocando in un modo completamente diverso da quello che ho appena descritto".  
 
L’Italia è una palestra in evidente disuso. 
"Se penso alle sfide che abbiamo dovuto affrontare al Milan, sin dal primo giorno… Dovevamo portare in pari i conti, perché il rosso aveva superato il livello di guardia, e allo stesso tempo migliorare le performance sul campo. Se avessimo copiato dei modelli esistenti avremmo fallito entrambi gli obiettivi. Dovevamo fare qualcosa di rottura, trovare un modo di agire tutto nostro, altrimenti non avremmo avuto alcuna possibilità di evitare l’angolo morto". 
 
Quando riavremo una squadra italiana competitiva in Europa? Lei sa bene che l’incidenza dei fatturati è fortissima. E il nostro è un sistema a rischio default.  
"Siamo in viaggio… La cosa difficile da accettare è che non esistono scorciatoie. La buona notizia è che in questo viaggio non vi è nulla di misterioso. Altri l’hanno affrontato prima di noi e con successo. Se guardiamo alla Premier, la base del rilancio sono stati gli stadi. Quando il calcio inglese ha toccato il fondo, il governo ha incoraggiato la costruzione di nuovi impianti. La comodità dei posti e la facilità dell’accesso all’evento hanno migliorato il rapporto pubblico-calcio. Si sono riviste le famiglie, poiché c’era più sicurezza, e la qualità dell’esperienza è cresciuta. I ricavi e la capacità di spesa hanno fatto immediatamente un balzo in avanti. Al rilancio del football hanno concorso anche altri fattori, ad esempio Sky, e così via. La stessa cosa è successa negli Stati Uniti. Quando fu fondata la MLS non c’erano stadi dedicati. Ora invece, con 29 o 30 squadre, se non sbaglio, ci sono 20 strutture nuove di zecca, impianti incredibili". 
 
Noi abbiamo un avversario insuperabile: la burocrazia.  
"Sì, è un problema, e bisogna trovare una soluzione".  
 
Che sia politica.  
"Negli Stati Uniti avevamo problemi simili. Chi mai avrebbe voluto investire milioni di dollari e correre un tale rischio? Uno se l’è sentita, a Los Angeles, Phil Anschutz. Faceva parte del gruppo dei sette investitori iniziali, sette per dieci squadre. E il modello di stadio che ha creato, il secondo prettamente calcistico, molto costoso, ha avuto un tale successo da indurre altri a imitarlo. Se riusciremo a costruire il nostro stadio qui a Milano, rendendolo uno dei migliori al mondo - il più bello in assoluto - potremo dare inizio a qualcosa di importante anche per l’Italia".  
 
Avete sbagliato partner, purtroppo: Suning si è defilato per i motivi che sappiamo.  
"Resto ottimista. Non solo per il Milan, ma per il calcio italiano in generale. La Juventus con il suo stadio è stata dominante. Con una concorrenza più ampia e finanziariamente solida, il livello complessivo salirà. L’altra cosa che il calcio italiano deve fare è pensarsi al futuro e al di fuori dei propri confini mentali e culturali. Quando l’Inghilterra smise di guardare soltanto in casa, rinunciando alla storica autoreferenzialità, spiccò il salto decisivo".  
 
Capitolo Superlega. Lei oggi è per il dialogo con l’Uefa o per le sanzioni? Figuravate tra i fondatori.  
"La Superlega, per come era stata concepita, è morta. Tuttavia, i problemi che hanno portato a quel progetto rimangono inalterati. Tutti nel calcio, in particolar modo coloro che sono incaricati di regolamentarlo, devono riflettere seriamente sulle origini dei mali e su cosa si può fare - insieme - per ottenere un calcio migliore e sostenibile. Mi preoccupo quando si parla di vincitori e vinti, Non vedo vincitori. Mi auguro che non ci sia alcuna “rottura” (lo dice in italiano). Un processo si terrà alla Corte Europea di Giustizia, non sono un avvocato competente, ma il dialogo è sempre la soluzione più valida. Gianni Infantino ha detto qualcosa al riguardo, non mi faccia aggiungere altro... La gente parla di avidità. Il nostro club ha perso 200 milioni l’anno scorso. È forse da avidi provare a inseguire lo zero, il punto di pareggio? È da avidi affermare che saremmo felici se lo raggiungessimo? Perdere 200 milioni significa che qualcosa si è rotto. Non siamo un unicum, riguarda tutti".  

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Sezione: Rassegna / Data: Dom 06 giugno 2021 alle 10:42 / Fonte: Corriere dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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