Lunghissima intervista al Corriere dello Sport per Giovanni Malagò, numero uno dello sport italiano. Ampio spazio dedicato anche al tema calcio, affrontato da più angolazioni.

Gli americani fanno bene al calcio italiano? Anche quando le proprietà sono hedge fund come Elliott, che comprano e vendono solo per fare utili? 
"Se non fossero arrivati loro, con finanza fresca, molti club sarebbero già saltati".  
 
Ma perché i grandi imprenditori italiani girano al largo? Hanno paura di esporsi? 
"Ce ne sono sempre di meno. Te lo immagini uno come Del Vecchio o come Armani, per fare solo due nomi, a infilarsi in simili dinamiche? Le grandi famiglie, quelle che restano, sono scioccate dal sistema". 
 
Le plusvalenze sono il buco nero del calcio. Il tribunale federale le ha salvate. Ma resta il problema di riannodare il valore finanziario a quello sportivo degli atleti. Come si fa? 
"Equiparando costi industriali e stipendi ai volumi di fatturato. Guardando sempre agli americani, che, non a caso, praticano il salary cap. Non vuol dire disconoscere i meriti dei campioni. Ma coltivare il realismo e la saggezza del fare impresa. Una cosa mi colpisce. Il calcio è l’unica economia che ragiona al netto e non al lordo. Significa misurare la realtà sul desiderio e sul consumo, e non sull’investimento che c’è dietro per realizzarli".

Perché non si fanno gli stadi in Italia? 
"Anzitutto perché si teme che i proprietari non vogliano fare solo lo stadio, ma anche qualcos’altro". 
 
I profitti non piacciono? 
"Poco. Ma i tifosi dovrebbero capire che senza profitti le società muoiono. Poi, manca spesso quella che io chiamo una combinazione di pianeti: una proprietà, una piazza e una politica locale che vadano nella stessa direzione. Talvolta questa congiuntura astrale si trova, ma le procedure sono lente, e se cambia l’atteggiamento di anche una sola delle parti in causa, salta tutto". 
 
La Superlega può essere una cura ai mali del calcio? 
"Mi chiedo se la Champions non lo sia già, una Superlega. Avete visto il solco che si sta scavando, in termini di introiti, tra le squadre che vi accedono e quelle che restano fuori? Non mi sembrano maturi i tempi per creare un’ulteriore dinamica di upgrade. Non facciamo gli ipocriti, è normale che un azionista ci provi per dare una sistemata a bilanci disastrati. Ma non per questo la Superlega diventa sportivamente accettabile. La mia stella polare è il CIO. Se fai un campionato fai-da-te, alle Olimpiadi non ci vai". 
 
Ma ha senso un campionato di Serie A che venda alle tv straniere partite come Empoli-Spezia o Salernitana-Venezia? 
"Certamente no. Bocciare la Superlega non vuol dire non cambiare niente. Ma il contrario". 
 
Playoff e playout? 
"Perché no. Certo, non con venti squadre". 
 
Tempo effettivo? 
"Sì con convinzione. Non sopporto di vedere calciatori per terra che simulano fratture multiple, o giocatori sostituiti che escono dal campo al ralenti. Il tempo effettivo promuove la lealtà sportiva". 
 
Var a chiamata? 
"D’accordissimo. La tecnologia è utilissima, ma va usata meglio". 

Sezione: Rassegna / Data: Ven 22 aprile 2022 alle 11:02 / Fonte: Corriere dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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