Chi è Mastour quando in casa hai i tuoi gioielli? A prescindere dalla vicenda di cui più volte abbiamo parlato sul talento che il Milan si è assicurato, l'Inter guarda oltre. E si coccola le sue gemme, quelle che le magie le fanno in campo e senza troppa pubblicità. La classe 1998 è quella dei campioncini del domani. Uno di questi, insieme a Justice Opoku, viene dall'Etiopia ma gioca per l'Italia. Si chiama Melkamu Taufer, è un classe '98. Qualcuno non lo conoscerà, ma nei Giovanissimi Nazionali dell'Inter brilla. Una stellina come poche. Taufer ha da poco ricevuto le prime convocazioni e disputato le prime partite con la selezione italiana Under 16, riconoscimento importante. Ha parlato con lui il blog Luciano-interistasempre (clicca qui per visitarlo), dove i talenti del vivaio vengono spesso e volentieri analizzati e intervistati. E Taufer si racconta a tutto campo.
Ciao, Mel, vuoi raccontare agli amici interisti del blog le tue emozioni al momento della convocazione e delle prime prove in Nazionale
"Guarda, alla notizia della convocazione ho provato una grande sorpresa e tanta emozione: non ci pensavo proprio, anche perché la selezione riguardava ragazzi di un anno più grandi".
Poi, come ti sei trovato?
"Subito a mio agio, sia con i tecnici sia con i compagni. Devo dire che l’inserimento è risultato facilitato per la presenza di alcuni miei compagni dell’Inter e di altri giocatori che conoscevo per averli incontrati in campionato o nei tornei".
E in campo? Hai esordito contro la Turchia…
"Si, al momento non è stato facilissimo; quando sono entrato eravamo sotto di un gol e la pressione che avvertivo dentro di me era tanta. Poi gradualmente mi sono sbloccato e ho cominciato a cercare di esprimermi al meglio delle mie capacità".
Nella seconda partita, vinta contro la Turchia per 2-1 c’è stata la tua definitiva affermazione. Si è letto dei complimenti di Zoratto e dell’apprezzamento di tanti tecnici presenti…
"Nella seconda partita, in effetti, ero più tranquillo, e credo di avere fatto del mio meglio".
Ormai, dopo la convocazione con la Slovenia, si può dire che tu sia un punto fisso della rappresentativa…
"Ma no, non esistono punti fissi, bisogna ogni volta meritarsi la convocazione… questo vale per tutti. Nell’ambiente del calcio si è portati alle iperboli: Tizio è un campione in erba, Caio pure. Siamo solo ragazzi che magari hanno delle qualità, tutte da confermare, ma tanta strada da compiere. E non è detto che chi è un po’ più avanti oggi, lo sia anche domani".
Tra i giocatori che hai visto in nazionale, esclusi i tuoi compagni dell’Inter, c’è qualcuno che ti ha colpito particolarmente?
(ci pensa a lungo, ndr) "Difficile. Sono tutti forti. A me è piaciuto molto un centrale del Pescara (dovrebbe trattarsi di Davide Vitturini, ndr), ma se dovessi fare un nome direi Piacentini".
Il difensore dell’Albinoleffe?
"Si, lui".
Sai che è stato trattato a lungo dall’Inter e che proprio nell’ultima partita dei tuoi ex compagni del ’97, pareggiata dall’Inter 1-1 ad Albino, il gol del momentaneo vantaggio dei bergamaschi è stato segnato proprio da lui?
"Sapevo il risultato ma non il marcatore. Comunque è uno molto forte".
Bene, ora torniamo alla tua storia. Gli appassionati di settore giovanile interista (e non solo) hanno molta curiosità di conoscerti un po’ più da vicino.
"Sono nato a Gondar, in Etiopia, l’8 febbraio del 1998, ma a soli tre anni sono stato adottato dalla mia attuale famiglia, italiana, e sono venuto ad abitare a Palazzolo. Verso i sei-sette anni ho cominciato a giocare a calcio".
Come tutti i ragazzini avrai fatto il tifo, o almeno simpatizzato per qualche squadra…
"No, perché la mia famiglia non si interessava molto di calcio e io ho cominciato a giocare solo per divertimento. Certo, passando all’Inter e disputando molte stagioni con questi colori, cariche anche di soddisfazioni, le cose sono cambiate".
Quindi tu vieni da Palazzolo, lo stesso paese di Justice (Opoku, altro gioiellino del vivaio Inter)
"Si, e non solo. Quando lui è venuto in Italia, abitava a pochi passi da noi. Posso dire di essere stato il primo amico di Jus".
Hai anche cominciato a giocare a calcio con lui...
"Esatto, nel Palazzolo, dove sono stato tre anni, sotto la guida di Tironi, che poi ci ha portati all’Inter".
Questo Tironi è una figura di primo piano per quanto riguarda le giovanili nerazzurre.
"Be’ posso dire che si tratta di un grande tecnico e soprattutto di un grande uomo, anche se non spetterebbe a me dare giudizi".
Quindi, dopo tre anni, ti trasferisci all’Inter.
"La questione è stata piuttosto dibattuta, in famiglia. I miei genitori avrebbero preferito mandarmi al Brescia, che come altre società mi aveva richiesto, per la vicinanza a casa. Ma l’Inter ha insistito ed è stata decisiva l’assicurazione che avrebbero provveduto al trasporto giornaliero".
Quest’anno però sei andato a vivere in pensionato…
"Certo, ma non è stata una scelta priva di connotazioni problematiche. Non abbiamo tutti lo stesso carattere. Opoku per esempio è più estroverso, si è trovato subito bene. Io invece sento molto la mancanza della mia famiglia, pur trovando ineccepibili sia il trattamento che ci viene riservato, sia l’ambiente in generale".
Capisco. Anch’io alla tua età e anche prima ho fatto esperienze di questo tipo e ho sofferto abbastanza. Quindi che pensi di fare?
"Mah, probabilmente a gennaio tornerò in famiglia. Viaggiare provoca qualche disagio in più, ma sopportabile, rispetto all’allontanamento del tuo ambiente".
In campo hai mai subito episodi di razzismo?
"No, in campo non mi è mai capitato. E dagli spalti non saprei, quando gioco mi concentro sulla partita e non mi arrivano le grida del pubblico. Comunque non credo".
Come gestisci l’attività scolastica? Che importanza ha lo studio nella tua vita?
"Frequento la prima superiore all'Istituto Milano. Mi trovo abbastanza bene con insegnanti e compagni . Però se non avessi tanti impegni con il calcio avrei scelto di continuare il liceo delle scienze umane, l’ indirizzo a cui mi ero iscritto l’ anno scorso a Brescia. Allora frequentavo già la prima superiore perché ho fatto la primina e sono andato a scuola a 5 anni. Considero la scuola importante, ma purtroppo con i nostri impegni finisce inevitabilmente un po’ sacrificata".
Torniamo all’Inter, dove hai fatto tutta la trafila, con i vari allenatori: Rusca, Ravera, Bellinzaghi, Mandelli e Cerrone lo scorso anno, in cui ti sei diviso tra nazionali e regionali, ora Cauet. C’è qualcuno di questi che consideri un pochino più importante degli altri per il tuo processo di crescita?
"No, se sono qui è perché tutti mi hanno dato qualcosa, tutti hanno contribuito alla mia crescita. Se fossi obbligato a fare un nome direi Cerrone, con il quale ho vissuto la splendida avventura delle finali nazionali vittoriose. A me sembra che la forza di questo mister sia stata nell’aver costruito un gruppo compatto, di una saldezza impressionante".
Voi ’98 invece avete sempre vissuto soprattutto sulle individualità.
"Non è proprio così. Anche i nostri allenatori hanno lavorato per far crescere il gruppo, cementare l’unità di squadra e sviluppare la necessità di costruire un gioco collettivo e organizzato. Ma c’erano due ostacoli: il fatto che troppo spesso vincessimo le partite con larghissimo scarto, il che portava naturalmente ciascuno a cercare la sua gloria personale e una questione di organico, con l’oggettiva presenza in squadra di giocatori di qualità e dalla spiccata individualità".
Alludi a Opoku, anche se non solo a lui…
"Certo, non solo a lui. Io stesso, per esempio, amo essere al centro del gioco, troppo spesso sono un accentratore, in questo devo migliorare di sicuro".
Com’è il rapporto con Opoku visto da un compagno di squadra e da un amico?
(sorride…) "Justice è un grandissimo giocatore e un ottimo ragazzo. E’ piuttosto istintivo e in campo vive per il gol. Succede che anche in allenamento faccia qualche intervento piuttosto duro, perché lui gioca sempre alla morte. A volte nasce qualche discussione, anche accesa. Ma chi lo conosce, lo capisce e lo apprezza".
Veniamo alla situazione di quest’anno.
"Quando le difficoltà aumentano non ti puoi più affidare alla soluzione individuale, che non è sufficiente, anche se resta un’arma fondamentale. Questo l’abbiamo capito e con la guida di mister Cauet, stiamo cercando di praticare un gioco più organizzato".
Determinante, a questo proposito, mi è sembrato l’arrivo di Donnarumma.
"Si, lui gioca da play basso, fa girare tutta la squadra, ha i tempi giusti e imposta l’azione con grande lucidità".
Tuttavia i risultati sino ad ora non sono stati esaltanti.
"Abbiamo incontrato delle difficoltà alle quali non eravamo abituati, perdendo ad esempio le due partite fondamentali: quella col Novara che ci ha estromessi dallo Scirea e quella col Milan. E’ in atto una trasformazione e ci sta di fare qualche battuta a vuoto. Globalmente però stiamo progredendo, come anche la prova di oggi con l’Atalanta dimostra, e siamo convinti di poter far bene".
Qual è il vostro obiettivo stagionale?
"Lottare fino in fondo. Non possiamo dire che vogliamo vincere il titolo perché sarebbe presuntuoso, ma ci proveremo".
Manca qualcosa al vostro organico, per poter essere ancor più competitivi?
"Non credo, mi pare che siamo attrezzati in tutti i reparti".
Non vi servirebbe una prima punta di peso, visto il grave infortunio subito da Braidich?
"Braidich dovrebbe tornare intorno ad aprile. Nell’attesa un arrivo in reparto potrebbe anche far comodo, soprattutto considerando che, come sai, ci ha lasciati, momentaneamente spero, anche Teme, che è andato al Vis Nova desiderando trovare un po’ più spazio".
Che differenza c’è tra i giovanissimi nazionali di quest’anno e quelli della scorsa stagione?
"Come ho già detto, la forza di quella squadra era un gruppo straordinariamente coeso: solido in tutti i reparti, compatto organizzatissimo. Certo, c’erano anche lì le individualità di rilievi: cito a caso Di Marco, Della Giovanna, Bonazzoli. Ma gli altri erano tutti su eccellenti livelli e soprattutto lavoravano come parti fondamentali di un ingranaggio perfetto".
Veniamo a qualche curiosità sui tuoi “gusti” calcistici: anzitutto qual è il ruolo che ritieni più congeniale alle tue caratteristiche?
"Il mediano forse (lui chiama così il play basso, ndr)".
Strano, ero convinto che ti desse più soddisfazione il ruolo di incursore a tutto campo…
"Si, non nego che mi piace inserirmi nell’azione offensiva, ma il mediano si trova sempre al centro del gioco, viene più sollecitato, deve essere incontrista e costruttore. E’ un discorso di prospettiva, vedremo l’evoluzione che avrò. Per il momento forse mi esprimo al meglio da mezz’ala".
E quindi qual è il tuo modello, se si può dire così, tra i grandi campioni?
"Be’ modello è troppo. Diciamo meglio: il mio giocatore preferito è Iniesta, per la tecnica, la velocità e le capacità di giocare con e per la squadra; doti straordinarie, che lo caratterizzano".
Quindi possiamo dire che speriamo di produrre in casa il nuovo, futuro Iniesta?
"Per carità, non parlo per me, ma per tutti. Siamo solo ragazzi che si divertono a giocare a calcio e che fanno del loro meglio per progredire. Tutti i discorsi relativi alla carriera sono davvero prematuri".
Ma tu avrai un obiettivo?
"Per il momento considererei un successo arrivare a giocare con la Primavera. C’è ancora tanta strada da fare. Si deve restare con i piedi per terra".
Per concludere un tuo parere generale sulla finalità e l’importanza del settore giovanile: secondo te con i ragazzi si deve curare prioritariamente la crescita tecnica atletica e umana del singolo, o è importante anche l’addestramento tattico complessivo, l’abitudine a lottare per vincere?
"Il lavoro individuale sui giovani è fondamentale, perché l’obiettivo è sicuramente quello di preparare nuovi giocatori che in futuro possano competere ad alti livelli. E se non arrivano subito i progressi sperati, una volta che si è visto del talento, occorre insistere. D’altra parte il calcio è un’attività agonistica, ci si forma solo nella competizione, nell’abitudine a lottare per vincere. Quindi è opportuno lavorare in tutte le direzioni. Devo dire, senza piaggeria, che l’Inter lo sa fare. Negli ultimi anni ha conseguito ottimi risultati di squadra e ha fatto esordire molti giovani nel professionismo o addirittura in prima squadra. L’ultimo esempio, Donkor, che ha solo 17 anni, ne è la riprova".
Autore: Fabrizio Romano / Twitter: @FabRomano21
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