C’è vita oltre Antonio Conte. E’ quello che si augurano tutti i tifosi dell’Inter ed è il fulcro della promessa di Beppe Marotta al gruppo squadra: continueremo ad essere competitivi. Dopo i toni tragici delle ultime settimane di maggio, con l’arrivo di Simone Inzaghi a Milano inizia un nuovo e affascinante capitolo della storia nerazzurra – che riprenderà la sua narrazione con ancora vive le immagini di un trionfo bellissimo e frutto di un lavoro di programmazione che va avanti da oltre tre anni. Ora, quella stessa programmazione e quegli stessi calciatori dovranno aiutare il nuovo tecnico a calarsi al meglio nella realtà Inter, sfaccettata ma terribilmente attraente: Inzaghi è il terzo allenatore più giovane della storia nerazzurra, ma ha già un curriculum interessante e – soprattutto – al netto dei possibili tagli di quest’estate non ha mai avuto a disposizione una rosa così forte. Ma come giocherà il nuovo tecnico dell’Inter?
TRASFORMISMO – Inzaghi negli ultimi tempi è stato spesso indicato come un allenatore integralista, attaccato al 3-5-2 che ha riportato la Lazio in Champions dopo oltre 15 anni. All’inizio della sua carriera da allenatore della Lazio, tuttavia, il fratello di Pippo si è contraddistinto per una certa capacità di adattamento: quando aveva a disposizione due ali forti e tecniche come Felipe Anderson e Keita, ha cesellato il suo credo calcistico attorno al 4-3-3 (modulo che utilizzava anche nelle giovanili), per poi passare al 3-5-2 quando sono esplosi giocatori come Immobile, Correa e soprattutto Milinkovic e Luis Alberto, due pilastri del centrocampo che il gioco di Inzaghi ha trasformato in calciatori di caratura europea.
Dando un occhio veloce alle formazioni di Inzaghi, la prima cosa che salta all’occhio è la quantità di talento che l’allenatore ex Lazio è sempre riuscito a far coesistere nell’undici titolare, oliando meccanismi e disegnando linee di gioco capaci di reggere un sistema i cui ingranaggi erano composti dai talenti sopracitati, cui va aggiunto un equilibratore come Lucas Leiva, per non parlare della freccia Lazzari. La Lazio è stata una macchina da gol negli ultimi anni, con un punto debole abbastanza evidente: la difesa.
I gol presi dalle squadre di Inzaghi sono sempre stati un po’ sopra la soglia critica, ma questo è anche dovuto al fatto che la Lazio non ha mai brillato per un organico difensivo d’elite. Basti pensare alla stagione scorsa, che ha sancito il ritorno in Champions League: l’unico rinforzo nella campagna acquisti estiva è stato Hoedt, un giocatore che lo stesso Inzaghi aveva già bocciato in tempi non sospetti mentre, per il resto della stagione, Acerbi ha dovuto giocare fuori posizione e il terzetto difensivo ha subito l’assenza di Luiz Felipe, un pretoriano di Inzaghi. Possiamo dire che la Lazio non si è mai del tutto ripresa dall’addio di Stefan De Vrij, che con Inzaghi ha giocato anche sul centro-destra. Avere a disposizione del materiale umano del calibro della BDS, con Bastoni e Skriniar reduci dalla loro miglior stagione di sempre, rappresenta un upgrade nettissimo, con il modo di difendere di Inter e Lazio che nel corso degli anni è diventato assimilabile: linea d’attesa molto bassa, circolazione ad attirare il pressing, per poi esplodere in velocità negli spazi aperti. Vi ricorda qualcosa?
LA SFIDA – Inzaghi dovrà prima di tutto convincere i calciatori della bontà nel suo calcio, inserendosi nella continuità del solco tracciato da Antonio Conte. Sarà una sfida prima di tutto emotiva, mentale, ma il primo endorsement di un certo peso all’interno dello spogliatoio l’ha ricevuto: Romelu Lukaku ha parlato della loro telefonata e i toni, conditi anche dal messaggio di permanenza a Milano di Big Rom, sono stati molto positivi. Dovrà fare tesoro di quest’energia e incanalare nei giocatori la voglia di dimostrarsi Campioni d’Italia anche senza il supporto di Antonio Conte – una dimostrazione ulteriore e definitiva del talento e della crescita di uno dei gruppi più coesi mai visti ad Appiano Gentile.
Il gioco di Inzaghi sembra avere tutto per adattarsi alle qualità del gioco dell’Inter, con la possibilità di prendere qualche deviazione dal sentiero contiano. Se i principi di calcio potrebbero rimanere gli stessi, sicuramente l’interpretazione delle mezzali potrebbe differire rispetto all’ultimo biennio: Eriksen ha già fatto sapere di voler provare a giocare un po’ più avanti, mentre i pilastri Barella e Brozovic rimangono il fulcro attorno cui modellare la squadra. L’incognita rimane sulle fasce, il reparto più chiacchierato dal punto di vista del mercato: sicuramente il ritorno di Dimarco sarebbe una storia molto interessante, sempre in attesa di capire il futuro di Achraf Hakimi – alla caccia di quegli 80 milioni di cash necessari a chiudere il bilancio limitando le perdite. Perdere l’esterno marocchino sarebbe una botta tremenda, ma le trattative sembrano lontane dall’essersi concluse. In questi casi, si può solo aspettare – ed evitare di lasciarsi prendere troppo in anticipo dallo sconforto.
Il tema tattico più interessante riguarderà la coppia di attaccanti: Lukaku e Lautaro sono stati abituati a un tipo di movimenti e a un bagaglio di schemi che differiscono parzialmente da quello che Inzaghi chiedeva a Correa e Immobile. Se il ruolo della seconda punta è simile, il 9 di Inzaghi ha giocato in profondità, a dettare linee di passaggio alle spalle della difesa e lanciato nello spazio: era come giocava Lukaku prima dell’arrivo a Milano, in situazioni in cui ha dimostrato (contro la stessa Lazio) di essere pressoché inarrestabile.
Inzaghi arriva a Milano quindi carico di sfide, forte di un percorso che l’ha consacrato come il secondo allenatore più vincente in Italia dopo Allegri – negli ultimi dieci anni. Del resto, Inzaghi si conferma un ottimo stratega anche in partita secca: proprio contro la Juventus ha vinto due finali di Supercoppa Italiana, mentre contro l’Atalanta di Gasperini si è accaparrato la sua prima Coppa Italia da allenatore. Il tutto da infarcito da ottimi piazzamenti in campionato (anche se gli interisti si ricorderanno la gestione scellerata degli ultimi 20’ di quel Lazio-Inter…) e da una prima esperienza in Champions League degna di nota: con una squadra rimaneggiata, è riuscito a passare agilmente il turno nel girone – facendo 4 punti contro il Borussia Dortmund e rischiando solo negli ultimi minuti della gara contro il Bruges, dopo un’altra sostituzione criptica che ha tolto dal campo i senatori per chiudersi. Una soluzione scelta anche da Conte in partite come contro il Napoli a San Siro o la Roma all’Olimpico, che hanno dato risultati alterni. Prima di trovare la quadra definitiva e non girarsi più indietro.
Simone Inzaghi rappresenta uno dei migliori allenatori italiani, sicuramente il migliore disponibile dopo che Allegri aveva detto di nuovo sì alla Juventus. Il suo percorso certifica un’ottima base, ma sappiamo che Milano ha inghiottito tecnici ben più esperti: la palla adesso passa a lui, per un mese di programmazione che porterà all’inizio del ritorno. Quando, per la prima volta, Inzaghi si troverà faccia a faccia con il suo futuro. L’Inter è chiamata a riconfermarsi ai vertici, senza tradire la sua identità e con un’idea fissa in testa: chi vuole diventare Campione d’Italia, deve prima batterci. Perché – nonostante tutto – lo Scudetto ce l’abbiamo cucito sul petto noi.
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Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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