"La sconfitta contro l’Inter è difficile da spiegare, era una situazione troppo particolare". Ad ammetterlo è Sebastiàn De La Fuente, allenatore della Fiorentina femminile, durante la lunga intervista rilasciata ai canali ufficiali del club viola. Tra gli argomenti trattati c'è anche l'Inter, suo ex club: ecco qualche estratto.
Il margine di punti per la qualificazione in Champions League si è ridotto. Quali possono essere le spiegazioni per lei?
"Avevamo molte sicurezze, ora che il gap con l’Inter si è assottigliato non dobbiamo spaventarci. Questa squadra non ha un problema mentale, fisico o di spogliatoio, non ha problema di identità: questa è la Fiorentina che con 12 vittorie, 3 pareggi e 3 sconfitte si è qualificata con anticipo alla Seconda Fase. Questa è la Fiorentina che ha in mano il proprio destino: fare punti e qualificarsi in Champions League, dare il massimo e portare in fondo il proprio cammino".
La squadra femminile resta un punto fondamentale nel progetto del club.
"Sì, già dalla prima partita dopo il lutto contro l’Inter erano presenti tutti i dirigenti. Mi dispiace non aver portato loro una vittoria, ma in quella gara non è scesa in campo la Fiorentina che conosciamo. Ne ho parlato anche con Nicolàs (Burdisso ndr) che conosco da molto tempo e con cui parlo spesso di calcio".
Il Direttore Tecnico Burdisso è infatti un altro pezzo di Argentina qui a Firenze. Mette la sua esperienza anche al suo servizio?
"Conosco Nicolàs Burisso dai tempi in cui mio cognato Javier Zanetti giocava nell’Inter. Lavoro fianco a fianco con un grande team, dal Direttore Sportivo Mazzoncini a tutto lo staff. Spesso incontro Burdisso al Viola Park e ci tiene a condividermi anche il suo parere tecnico tattico, non si perde una partita allo stadio Curva Fiesole. Per me è un lusso poter lavorare con questi professionisti".
Lei frequenta il mondo del calcio argentino da diverso tempo, anche solo per il suo legame di parentela con Javier Zanetti. Quanto è difficile crearsi un nome nel calcio che non sia “cognato di”?
"Nel 1992, anno in cui si è fidanzato con mia sorella, ho conosciuto Javier. È nata subito un’amicizia e quando sono venuto a vivere in Italia è stato come avere un altro fratello. Mi aiuta o mi pesa? Mi ha aiutato tanto e quando volevo lasciare l’Argentina ho scelto l’Italia proprio per lui. Ma Javier merita il nome e la fama che ha, il riconoscimento che ha da parte di tutti è frutto della sua professionalità. Il nostro legame va al di là di queste considerazioni: siamo una famiglia, il successo di uno è il successo di tutti".
Voglio fare un passo indietro e nel profondo all’interno della sua vita nel mondo del pallone. Sebastiàn De La Fuente nasce allenatore? Era il suo obiettivo di vita?
"La mia vita è stata finora piena di avventure e cambi di rotta. Ciò che mi ha sempre guidato è stata la passione per il calcio. Ho iniziato a giocare nel Club Atletico Talleres fino alla Primavera, poi qualche cambio di maglia fino a che sono approdato nella serie B2 Metropolitana. In Argentina ci sono diverse categorie, molta concorrenza ma nonostante la richiesta di impegno professionale non giravano tanti soldi. Per questo ho portato avanti un piano B: mi sono iscritto all’Università per studiare Comunicazione Sociale. Per qualche tempo mi sono dedicato a questa carriera giornalistica, seguivo il Banfield (dove giocava Javier Zanetti) e avevo un programma radiofonico ogni sera. Era un hobby, il mio focus era sempre sul calcio e per questo a 25 anni sono venuto in Italia per giocare in Eccellenza. Non avevo uno stipendio alto per cui in quella stagione sono andato a lavorare in fabbrica, nel controllo qualità. L’anno successivo ho cambiato squadra, giocavo in Prima Categoria e nel frattempo lavoravo nel ristorante argentino di Zanetti. Poi mi sono spostato nuovamente a Como e lì mi sono avvicinato alla carriera di allenatore. La mia prima esperienza in panchina è stata con la Casnatese, Terza Categoria Maschile. In quegli anni ho conquistato due promozioni con due squadre diverse. Il punto di svolta è stata la scuola calcio “Leoni di Potrero” dove ho conosciuto Pablo Sebastian Wergifker che allenava la Primavera Femminile dell’Inter. Sono andato a vedere le loro partite ed è scattato qualcosa. Non saprei spiegare, lo senti e basta. Mi si è accesa la scintilla. Il livello era ovviamente più basso di adesso, ma militavano tante calciatrici che oggi giocano titolari in Serie A. Sono diventato il suo vice e da lì ho proseguito nella carriera da allenatore. Il mio primo grande traguardo è stata la promozione in Serie A con l'Inter Femminile. Una grande soddisfazione che mi ha ripagato del duro lavoro di tutti questi anni".
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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