Uno dei giochi più comuni all’interno di quell’universo immenso che è il mondo del calcio è quello noto ai più come il gioco del 'se fosse’. La storia anche recente di qualunque club è piena di aneddoti di questo tipo, e ovviamente l’Inter non fa eccezione. L’elenco potrebbe durare all’infinito, proviamo solo a citare gli episodi più recenti, in positivo e in negativo: se Romelu Lukaku fosse stato lontano da quella traiettoria negli ultimi istanti di quella finale di Istanbul, se Beppe Marotta fosse rimasto uno degli uomini simbolo della rivale per eccellenza, se si fosse girato, per esempio, Edin Dzeko e non Olivier Giroud, se Ionut Radu si fosse accorto per tempo di quel pallone goffo a Bologna, se Joao Mario, Roberto Gagliardini o Joaquin Correa… Va beh, forse è il non caso di divagare oltre.
A questo interminabile elenco di occasioni più o meno sfumate (e più o meno centrate) avrebbe potuto aggiungersi un altro interrogativo pesante: se l’arrivo all’Inter di Marcus Thuram fosse rimasto un’incompiuta? La storia è ben nota: era l’estate del 2021 quando i dirigenti nerazzurri si ritrovarono alle prese con la ricostruzione di una squadra che dopo essere stata portata da Antonio Conte sul trono d’Italia dopo undici anni di estenuante attesa, è stata piantata in asso dal suo condottiero e da tutto il suo staff, Gabriele Oriali compreso, perché il tecnico salentino probabilmente non poteva più conciliare le sue voglie di grandeur sul mercato con la situazione delle casse del club, e si è ritrovata a perdere in pochi attimi alcuni pilastri del gruppo tricolore come Romelu Lukaku, Achraf Hakimi e, purtroppo, Christian Eriksen.
Arriva Simone Inzaghi e come rinforzo ideale per il suo attacco è stato individuato proprio l’attaccante figlio d’arte del Borussia Moenchengladbach; la trattativa procede pazientemente, arriva quasi alle battute finali, quando a Leverkusen, in quella che avrebbe dovuto essere la sua ultima partita coi Fohlen, Thuram vede il ginocchio fare crac e di conseguenza anche il suo approdo in Italia e a Milano, lì dove l’anno prima, per farsi riconoscere dalla sicurezza dello stadio di San Siro essendo sprovvisto di documenti, dovette ricorrere alle sue foto su Google per passare i controlli. L’opzione sfuma, si ripiega sul Tucu Correa, pagato una somma non indifferente ma che non ha mai saputo dare convincenti prove di un rapporto qualità/prezzo positivo, al punto che anche oggi, in quel di Marsiglia, l’argentino non risulta essere propriamente un idolo della tifoseria.
Passano due anni, arrivano quattro coppe e una finale meravigliosa di Champions League, traguardo che nessuno avrebbe immaginato possibile nemmeno sei mesi prima, ma sfumano anche due Scudetti con relativi ripensamenti; soprattutto, Marcus Thuram sembra solo un lontano ricordo, anche considerando che una volta rimessosi dal grave infortunio ha fatto comunque buone cose col Gladbach. Eppure, eppure… il tanto celebre ‘padre tempo’ sa essere giusto con chi lo conosce e sa come la pensa. E allora, accade che Piero Ausilio rovisti i cassetti della memoria e vada a riaprire quel file che sembrava chiuso un paio di estati prima, anche perché ha notato che c’è stato un aggiornamento assai interessante: la dicitura ‘parametro zero’. Mai occasione, quindi, si rivela più propizia: in pochi giorni, si consuma un derby di mercato col Milan che l’Inter riesce a vincere con autorevolezza, anche grazie ad un particolare assai svalutato nel calcio di oggi: la parola. Quella parola data due anni fa all’Inter e che il buon Tikus non ha mai dimenticato.
Inizialmente, il suo ruolo dovrebbe essere quello di guardaspalle di Romelu Lukaku, ma accade che all’improvviso i rapporti tra l’Inter e il giocatore belga vadano a sud e allora ecco che per Thuram si apre una prospettiva tutta nuova: quella di giocare come prima punta al fianco di Lautaro Martinez, diventare insomma il nuovo partner d’attacco del Toro lasciato clamorosamente solo da quello che riteneva un amico prima ancora che un compagno di squadra. E immediatamente, si scatenano gli scetticismi: chissà se sarà in grado di coprire quel ruolo, chissà se vede la porta, chissà che intorno a lui non si aggirino degli stretti di panceviana memoria come qualcuno ha voluto azzardare in maniera alquanto gratuita. E qui, parte l’altro ‘se fosse’: se fosse passato dall’altra sponda del Naviglio, probabilmente la narrazione intorno a lui sarebbe stata di diverso tenore (basti rileggere in tal senso le parole di Paolo Maldini).
A tutti questi dubbi, però, Thuram junior, con la sempre vigile collaborazione del padre Lilian, ha saputo rispondere nel migliore dei modi: col gioco, con gli assist, coi gol. Sin da subito fa capire di essere il mosaico davvero perfetto per completare il duo con Lautaro. Ma al di là del feeling con il capitano, Marcus dimostra di aver coltivato sin da subito un rapporto speciale con l’intero gruppo, al punto da divertirsi ad emulare Federico Dimarco nella sua esultanza o scambiarsi vezzeggiativi di fratellanza con Hakan Calhanoglu. E poi, ci sono le gemme: la rete nel derby che fa esplodere San Siro, gli slalom giganti in area che fanno impazzire le difese, gli assist illuminanti. Un impatto devastante, che fa di lui il primo assistman dei principali campionati europei.
Nessuno immaginava che Marcus Thuram, sin qui, sarebbe stato quello. Nessuno tranne lui, evidentemente: Thuram junior sapeva che il suo ruolo all’Inter sarebbe stato questo qua, e che quella maglia per lui era solo messa nell’armadio, pronta da esibire al momento giusto. Lo ha ricordato lui stesso nell’intervista rilasciata a Sky Sport, dove ha rievocato quel colloquio con Ausilio che per lui aveva già predetto il futuro e che è risultato determinante per la scelta finale e dove ha detto di aver saputo sin da subito di arrivare in uno dei più grandi club del mondo. Il resto, per lui, è invece tutto una scoperta: dal calore e dal rumore dei tifosi interisti, dal connubio dimostratosi vincente con il Toro, all’aver realizzato di essere approdato in un bel gruppo del quale ha tessuto le lodi.
Non ha espresso, o perlomeno, non ha esplicitato il suo desiderio di vittoria per questa stagione, il buon Tikus. Ma a questo punto, è giusto chiedersi: e se fosse quello giusto?
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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