Noel Gallagher ormai ha il palato pronto, un po’ come tutti i suoi sodali di tifo del Manchester City. A maggior ragione da oggi, che il countdown verso la magica notte di Istanbul è iniziato e anche il tecnico della formazione dominatrice d’Inghilterra Pep Guardiola ha definitivamente sciolto le riserve parlando in maniera aperta di Treble, la versione d’Oltremanica del Triplete tanto caro ai tifosi interisti e che per le portabandiera della perfida Albione rappresenta una sorta di chimera quasi irraggiungibile. Lo ha fatto anche sottolineando dopo la vittoria contro il Manchester United come la Champions League sia condizione necessaria per ottenere il definitivo riconoscimento come squadra di primissima classe a livello mondiale, dopo aver mietuto tanto in patria (e anche in virtù della vagonata di sterline spese e di tutti i risvolti dubbi sulla gestione societaria che fanno storcere il naso, quando non addirittura gridare allo scandalo, ai più).
È ovvio che i tifosi del Manchester City ci credano, e hanno tutte le ragioni del mondo per farlo: sembra arrivato il momento dell’’ora o mai più’ per questo club a caccia della definitiva consacrazione sfuggita clamorosamente di mano solo due anni fa per colpa del Chelsea. Mai occasione sarà per loro più propizia di quella di sabato: perché di fronte ci sarà un’avversaria che, a fare il semplice confronto in termini assoluti tra rose, rendimento e soprattutto potenza economica, poco o nulla sembra poter fare agli occhi anche un po’ snob dei sostenitori Citizens per fermare il loro cammino imperiale verso la Coppa dalle grandi orecchie. E più di tutti, si sta facendo portavoce delle loro ambizioni proprio Noel Gallagher, che nelle ultime settimane sta prendendo la ribalta con le sue dichiarazioni come probabilmente non gli è mai successo da quando nel 2009 decise di abbandonare gli Oasis per lanciarsi nel progetto degli High Flying Birds: è lui a esporsi per primo chiedendo l’Inter in finale perché ‘non mi sembra una squadra così forte’, è lui a lanciarsi nella mattinata di ieri a promesse alquanto singolari ai microfoni dell’emittente di Stato britannica.
Sì, il Manchester City sabato arriverà a Istanbul da logico favorito, non scopriamo certamente l’acqua calda nell’asserirlo. Ma siamo davvero sicuri che l’Inter si troverà di fronte, sul prato dell’opinabile stadio Ataturk, un avversario in versione carro armato? Certo, potrebbe essere anche tutta volontà di Guardiola di non scoprire del tutto le carte in vista dell’appuntamento più importante della stagione, forse della vita di un intero universo club; ma chi ha visto sabato all’opera Erling Haaland e compagni contro gli eterni rivali del Manchester United nella finale di Coppa d’Inghilterra, quasi certamente avrà avuto modo di provare sensazioni particolari. È vero, in fase offensiva hanno tanti uomini e tantissime soluzioni per fare male, non ultima la giocata verticale sul nove alto che ha fruttato nel breve volgere di 14 secondi dal calcio d’inizio dell’incontro la rete di Ilkay Gundogan, una giocata che lo stesso capitano degli Sky Blues ha affermato essere stata studiata apposta e finalmente messa a punto nel modo migliore. E nel primo spicchio di partita, i Red Devils vedevano arrivare maglie celesti da tutte le parti. Però, però, c’è un però… In primo luogo perché la difesa non è sembrata irreprensibile, al punto da dare adito alle speranze della squadra di Erik ten Hag che trova il pari su rigore e nel recupero per poco non trova la rete beffa del 2-2 che poteva valere i supplementari.
Ha vinto il Manchester City? Sì. Ha convinto il Manchester City? No, o almeno non del tutto. Probabilmente, sulle gambe dei giocatori di Guardiola si sente un po’ la fatica del campionato, della rincorsa ad un Arsenal capace di buttare alle ortiche un campionato che a un certo punto sembrava vinto anche con un margine di sicurezza ampio. E anche alcuni dei suoi uomini di punta sembrano aver perso brillantezza, su tutti proprio quel robot sfornareti di nome Haaland che ultimamente ha perso di lucidità e incisività. E anche il prodigioso regista Bernardo Silva sabato ha tutt’altro che brillato. Certo, possono trattarsi di situazioni estemporanee e in questi sei giorni di attesa Guardiola tirerà tutti quanti a lucido per presentarli belli e scattanti al fischio d’inizio di Szymon Marciniak. Ma siamo così sicuri che l’Inter non abbia carte da giocarsi? Al di là delle dichiarazioni di rito sul potere delle partite secche, dell’essere ‘underdog’ come vantaggio psicologico, la risposta ad oggi sembra chiara: no. E per fortuna. Rimanendo sul semplice piano tattico, non è illogico pensare che l’Inter abbia tutte le carte in regola per fare male lì dove il Manchester City in questo momento patisce di più: nell’eventuale concessione di spazi, nelle incursioni dei centrocampisti e prima ancora degli attaccanti. Ed è ben noto che la batteria a disposizione di Simone Inzaghi vanta elementi di primissimo ordine, in grado di far vedere i sorci verdi alla retroguardia celeste tanto e forse più di quanto sia riuscito a fare sabato l’interessantissimo talento platinato argentino Alejandro Garnacho, che come è entrato in campo ha mandato al manicomio giocatori e tifosi avversari con le sue serpentine.
E poi, c’è anche il fattore psicologico: l’Inter arriva in riva al Bosforo con la forza dei nervi che più distesi non si può, forte di una chiusura di campionato eccellente che è valsa il terzo posto finale con conseguente qualificazione alla prossima Champions che sembrava impresa quasi impossibile ad un certo punto della stagione e arrivata invece in maniera quasi comoda, in un campionato che rimarrà comunque negli annali per la sua straordinaria atipicità, con due squadre del Centro-Sud ai primi due gradini del podio e tre squadre del Nord a salutare per accomodarsi in Serie B, un vero e proprio moto rivoluzionario che farà storia e chissà non segni l’avvio di una nuova era. E ci arriva con un gruppo interamente sul pezzo, e la testimonianza è arrivata sabato: prendete Alex Cordaz, terzo portiere dell’Inter, che ha i suoi primi minuti in campo dopo due anni a ‘fare gruppo’ e si presenta con una paratona clamorosa su Antonio Sanabria che manda in brodo di giuggiole Andre Onana e fa urlare i compagni al rinnovo ‘ad libitum’.
Ci crede il Manchester City, ma ci crede anche l’Inter, quindi. Ci crede il suo presidente Steven Zhang che in occasione della serata più importante della sua esperienza da numero uno del club nerazzurro vuole il sostegno di tutti e allora ecco imbarcare sul charter per la megalopoli in riva al Bosforo anche la squadra dei dipendenti al gran completo, ex presidenti ed ex calciatori, perché vuole il sostegno di tutto il mondo interista. Il tutto nell’ottica della dialettica ‘sogno vs. ossessione’, che torna a riproporsi in uno scenario dove tutti hanno cercato corsi e ricorsi storici di qualunque tipo risalenti al 2010, da quelli statistici a veri e propri ‘segni delle stelle’ (o delle uova); tutti utili per restare fino alla fine aggrappati alla voglia di centrare l’impresa (miracolo no, sarebbe forse eccessivo).
Ci crede il Manchester City, ci credono i suoi tifosi; ma ci crede anche l’Inter e ci credono i suoi tifosi, ai quali si aggiungeranno per una sera, oltre agli appassionati locali per i quali sembra difficile pensare che possano voltare le spalle ad Hakan Calhanoglu, capitano e idolo locale, e tutti coloro che si sono uniti nella grande arena social sotto l’hashtag col quale si invita l’Inter a ‘salvare il calcio’. E se Noel Gallagher promette di fare il maggiordomo di Guardiola e di salire sul palco in mutande, state ben certi che tutti i tifosi interisti sarebbero pronti a promettere, se non fosse cosa da denuncia per atti osceni, a barattare una sfilata in costume adamitico (insomma, nudi) per le vie di Milano con la conquista della quarta Champions. O più semplicemente (o legalmente) a cantare a mo’ di sfregio ‘Wonderwall’ per tutta la notte. O perché no, le hit dei Blur. What do you think about, dear Noel?
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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