"E' il calcio". In molti, dopo il triplice fischio di Juve-Inter 0-1, hanno utilizzato questa espressione con cui si rinuncia a priori a spiegare l'estrema complessità dello sport più bello del mondo. Tre parole per condensare l'eccezionalità di un risultato maturato al termine di una partita in cui si è vista la peggiore versione stagionale della squadra di Simone Inzaghi contro quella più coraggiosa di Massimiliano Allegri. Di calcio, inteso in senso estetico, in realtà ce n'è stato ben poco all'Allianz Stadium, al contrario sono stati tirati tanti calci da piedi non proprio sensibilissimi. Due hanno fatto la differenza, con la ricerca del gol che è diventata una questione di centimetri: lo 'step on foot' in area di Alvaro Morata ai danni di Denzel Dumfries e la pedatina di Alessandro Bastoni rifilata a Denis Zakaria a cavallo della riga. Rigore, poi trasformato nell'esecuzione bis da Hakan Calhanoglu, nel primo caso, punizione dal limite per insufficienza di prove del VAR, poi finita in un nulla di fatto, nel secondo. Questo in estrema sintesi il film del terzo derby d'Italia del 2021-22, quello in cui l'ex allenatore della Lazio ha usato la tecnica del 'piede nella porta' per tenere aperte le speranze di vittoria dello scudetto dei suoi giocatori. Riuscendo nell'obiettivo, dopo aver riscosso tutti i crediti avanzati con la Fortuna, tanto che Milan e Napoli sono stati costretti ad ascoltare gli argomenti della terza candidata al trono d'Italia che è ritornata a pieno diritto nella casa che l'anno scorso è stata di sua proprietà. Un messaggio chiaro di Inzaghi al campionato, limpido come quello recapitato alla dirigenza nei giorni scorsi a proposito del suo matrimonio a lungo termine con la Beneamata: "Ho un contratto di due anni che la società mi ha chiesto di prolungare, io però ho detto di aspettare fino alla fine – ha detto a DAZN con uno filo di voce dopo aver alzato i decibel per guidare i suoi dalla panchina allo Stadium -. I contratti valgono quello che valgono perché bisogna avere i risultati quotidiani, siamo all'Inter. Sette mesi sono stati offuscati da tre pareggi, ma sento la fiducia di tutti, della società, dei giocatori e della Curva Nord che è venuta a incitarci ad Appiano prima della partita. Sono contentissimo di quanto fatto in questi sette mesi, dove abbiamo fatto talmente divertire che poi è stata mossa qualche critica a differenza di altre squadre. Sono nel calcio da 30 anni, è giusto accettare le critiche, cercando di dividere quelle costruttive da quelle montate ad arte. Ma questo non è un mio problema".
Insomma, per Inzaghi è stato più difficile convincere critici e detrattori circa la credibilità in ottica tricolore di Handanovic e compagni che 'vendere' la bontà del suo lavoro svolto nei primi sette mesi di Inter a Giuseppe Marotta che, già prima delle 20.45 di domenica scorsa, aveva negato che il posto in panchina fosse in discussione: "Inzaghi gode assolutamente della nostra stima per quanto fatto, quanto ottenuto e quanto farà: continueremo con lui. E' stato criticato recentemente perché l'allenatore è il primo a finire sul banco degli imputati quando non arrivano risultati. Questo non è il caso di Inzaghi, che abbiamo valutato positivamente", le parole dell'ad nerazzurro.
Tradotto: per la società lo scudetto non è un obbligo, bastano e avanzano un ottavo di finale di Champions, una Supercoppa italiana e un piazzamento in campionato tra le prime 4. I primi due obiettivi sono stati centrati, il terzo è a portata di mano, mentre il quarto – premio extra – sarebbe arrivato anche senza la seconda stella. Inzaghi, che probabilmente sta cominciando a ragionare da allenatore top per quel che concerne la gestione della sua carriera, ha capito assaggiando l'amaro di essere l'allenatore dell'Inter in tempi di crisi che sarebbe una contraddizione estendere il proprio rapporto di lavoro oltre il tempo stabilito la scorsa estate senza sapere come andrà a finire da qui alla 38esima giornata. Fuori dalla sua comfort zone, Inzaghi ha smesso di essere 'allenatore da Lazio' intuendo che basta un 'piede in una porta' per far entrare la speranza di confermarsi campioni ma anche la delusione che implicherebbe il fallimento (mediatico) di un secondo o terzo posto.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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