Questa sera l’Inter tornerà al Camp Nou e la mente corre automaticamente indietro fino al lontano 2010. Quella volta si giocava una prestigiosa semifinale di ritorno di Champions League, resa poi ancor più speciale dall’esito leggendario della straordinaria annata culminata con la conquista del Triplete; a questo giro, invece, c’è in ballo la prima giornata di ritorno della fase a gironi e una buona fetta di qualificazione agli ottavi. Un match ben più ‘umile’ che però per questa Inter, e soprattutto in questo momento storico, ha un peso specifico che va oltre i tre punti e il pass per la fase ad eliminazione diretta.

Ci sono dei fattori comuni che legano a stretto filo queste due tappe nerazzurre in Catalogna. A distanza di dodici anni è infatti sempre e comunque l’Inter (a quei tempi guidata da José Mourinho e oggi da Simone Inzaghi) ad essere considerata sfavorita al cospetto di un Barça più talentuoso, guidato dalla tecnica individuale e dalla legge non scritta del tika taka. Anche in questo caso, inoltre, la sfida di ritorno arriva dopo un’andata a San Siro da cui i catalani sono usciti con le ossa rotte: nel 2010 fu un secco 3-1 nerazzurro, con Sneijder, Maicon e Milito chiamati a rispondere allo schiaffo iniziale di Pedro; una settimana fa è invece toccato a Calhanoglu zittire i Culés con un chirurgico destro da fuori, fatale anche per un grande portiere come Ter Stegen. Ma non è tutto: in entrambe le circostanze non sono mai mancate le polemiche, soprattutto di stampo blaugrana. Nel mirino il gol in fuorigioco di Milito (nello stesso match stoppato dal guardalinee per un offside inesistente) in un caso, il mancato rigore per il tocco di mano di Dumfries nell’altro.

Elementi che nel 2010 incendiarono ancora di più la gara di ritorno, con il Camp Nou che spingeva Messi e compagni alla ricerca della ‘Remuntada’ - e Piqué pronto a sostenere la tesi secondo cui i giocatori dell'Inter per 90’ avrebbero odiato la loro professione - e che oggi continuano ad infiammare uno dei big match del ‘Gruppo della morte’, con Xavi a guidare la ‘rivolta catalana’. Proprio lo spagnolo, ieri regista ed oggi allenatore del Barça, è un altro anello di giunzione tra l’impresa storica degli uomini di Mou e quella nella mente della banda di Inzaghi: a San Siro si è preso parte della scena con le continue proteste a bordocampo, l’infelice segno delle ‘mazzette’ e le discussioni proseguite in conferenza stampa (“Sono indignato per le decisioni arbitrali”), continuate poi nei giorni a seguire da diversi rappresentanti dell’universo blaugrana come il gioiellino Pedri (“Tutti hanno visto cosa è successo”, le parole del centrocampista nell’intervista concessa a Televisión Española) fino ad arrivare al pesante carico buttato sul tavolo dal presidente Joan Laporta (“L’arbitraggio che abbiamo subito a Milano è stato vergognoso - ha detto nel corso dell'assemblea generale dei soci del club -. È stato un grande scandalo, la cosa è evidente e lo abbiamo fatto presente alla UEFA”). Giusto per rinfrescare la memoria agli amici catalani: un altro volto in comune tra il Barça-Inter del 2010 e quello di questa sera è il gigante con il numero 5 sulle spalle che gravita in mezzo al campo e che di nome fa Sergio Busquets. Ricorda qualcosa? E il più recente penalty netto su Sensi al primo anno di Conte mai fischiato e mai rivisto al VAR?

Tralasciando episodi contro e a favore di una o dell’altra squadra, è palese che lo scopo del Barça in quest’ultima settimana - così come in quella precedente alla famosa semifinale - è stato mettere pressione all’Inter (e al prossimo arbitro, in bocca al lupo a Marciniak), cercando di caricare di odio il Camp Nou e di tensione l’appuntamento di questa sera, con lo stadio pronto ad insultare il Bastoni di turno per un post su Instagram (per info, rivedere le dirette minacce social dei tifosi catalani seguite dalla 'raccomandazione' del Signor Jordi Alba) e a rispolverare il coro “Inter, Inter, vaffanculo”, già tristemente proposto nel match di Liga contro il Celta Vigo.

Stasera l’Inter deve seguire l’esempio di Mourinho e pensare solo a se stessa, isolandosi dalle grida dei quasi 100mila spettatori che affolleranno gli spalti del Camp Nou. Proprio come fece dodici anni fa. Perché per fare le imprese serve saper soffrire da squadra, alzare il muro e andare avanti contro tutto e tutti.

“Una cosa è giocare una partita con responsabilità, un'altra viverla come un'ossessione: questo non fa per noi. Noi vogliamo andare dietro il nostro sogno, per loro la finale (così come la qualificazione, ndr) è un'ossessione. E la differenza è molto grande”.

[José Mourinho, conferenza stampa pre Barcellona-Inter 2010]

Sezione: Editoriale / Data: Mer 12 ottobre 2022 alle 00:00
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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