Notti magiche, inseguendo un gol…
È probabilmente una delle frasi più intonate delle ultime ventiquattro ore in ogni angolo d’Italia, in città o in paese che sia, in campagna, al mare. E così sia, così è. Tra il caldo afoso di un’estate che quest’anno come poche altre volte negli ultimi anni torna ad essere italiana davvero. D’altronde si sa, l’Italia è frammentata, litigiosa, indispettita con se stessa, insoddisfatta. Quantomeno fino al Mondiale. Almeno così veniamo spesso accusati da qualche radical chic con l’innato sentimento di sentirsi in dovere di pronunciarsi su tutto. E allora sì, l’Italiano si ricorda di essere italiano solo per i Mondiali di calcio, esultando e gioendo per quel banalissimo sport considerato non a caso l’oppio dell’italiano medio.
Ma Mondiali di calcio l’Italia non ne vive da sette anni e magicamente dopo la clamorosa decadenza culminata con la grande assenza in Russia, l’italiano ha smesso di sentirsi tale persino sotto l’influenza del dio pallone. Nessun Pablito Rossi, Roby Baggio, Alex Del Piero o Gigi Buffon a fomentare entusiasmo e persino i risultati, gli ottimi risultati, collezionati da Roberto Mancini nell’ultimo anno e mezzo, lo scetticismo aleggiava tra gli abitanti del bel paese. Tutto fino all’11 giugno, quando Roma si è tinta di azzurro contagiando una nazione intera che gara dopo gara è tornata a vivere notti magiche, inseguendo non più un gol ma un sogno, quello di tornare a dire la propria tra i giganti.
Turchia, Svizzera, Galles, Austria, Belgio… un coefficiente di difficoltà in crescendo che contro i vicini austriaci aveva quasi spaventato in vista dei giganti veri e propri del Belgio. La brutta e sporca gara contro gli austriaci aveva quasi seminato qualche spauracchio di troppo che la coesione e la voglia di diventare, più che tornare, grandi ha spazzato via. Diventare grandi, più che tornare ad esserlo, perché nell’Italia di Mancini sono diversi gli ‘inesperti’ e gli esordienti con la maglia azzurra, di sicuro nessuno o quasi ad aver avuto privilegio e onore di sottoscrivere la storia di questa Nazionale. Almeno fino a questo momento perché qualunque sia l’epilogo di questo torneo, nessuno dei ventisei sarà più piccoletto.
Ma di piccoletti parliamo. E contro i giganti belgi a trionfare sono proprio i picciriddi - come si dice dalle mie parti -. E del 2-1 rifilato ad una delle Nazionali più temibili dell’Europeo i protagonisti sono proprio loro: il piccolo, silenzioso, umile e lavoratore nerazzurro Nicolò Barella, e l’ancor più piccolo, spesso criticato e sottovalutato Lorenzo Insigne. Quest’ultimo con un magistrale, perfetto, strepitoso e straordinario ‘tiraggir’, come l’hanno definito i compagni, degno di un Alessandro Del Piero a caso, l’altro con un gol emblema di se stesso.
Immobile prova a girarsi, cade e resta in terra, il direttore di gara non fa quasi in tempo ad accorgersene che il pallone è già tra i piedi di un altro azzurro. Il 17 azzurro a terra, il 18 con mezza spaccata aggancia il pallone strappandolo dai piedi dell’avversario, appoggia su Insigne che apre verso Verratti in arrivo come un treno attirando su di se l’attenzione di Vertonghen che si dimentica Barella alle sue spalle, pronto a ricevere nello stretto il passaggio del compagno di reparto. Spalle alla porta riceve, si gira danzando tra Hazard e Vertonghen, resiste al centrocampista del Borussia Dortmund e senza quasi mai alzare la testa calcia di destro trafiggendo Courtois.
Di forza, di grinta, di spirito, molto più semplicemente alla Nicolò Barella. Un Nicolò Barella per certi versi insolito: nessuna esultanza particolarmente esplosiva e più che esplodere l’azzurro biondino dal 18 sulle spalle ha sorriso, con l’espressione da bambino e la leggera simpatia che lo contraddistingue. Linguaccia e scivolata all’indietro al termine di una breve corsa, conclusa in un sorriso che la dice lunga. Dopo un’insolita prestazione al di sotto del solito livello di rendimento contro l’Austria infatti sono stati diversi i ‘consiglieri’ mediatici che suggerivano al ct di lasciar rifiatare il centrocampista sardo, sfiancato dalla lunga e massacrante stagione sotto l’egida di Conte. Suggerimenti tutt’altro che accolti dal Mancio che imperterrito e ben conscio di se stesso e fiducioso di uno dei suoi capolavori migliori dell’ultimo anno e mezzo, lo ha piazzato in campo a fare a sportellate contro gli uomini di Martinez. Scelta azzeccata. A Monaco di Baviera, tra le mura dell'Allianz, Nicolò Barella recita il solito copione dell’interpretazione di se stesso: di forza, di grinta, di spirito, di gambe, d’intelligenza e a testa bassa inchioda Courtois, il Belgio e l’amico Lukaku, trascinando l’Italia. Segna un gol che sottoscrive sul campo la metafora più emblematica e rappresentativa di quel che è: più cazzotti prende più si rigenera, come una fenice che arde ma non necessita d’incenerirsi. O più realisticamente come un piccolo gigante che quest'anno come mai vive notti davvero magiche.
VIDEO - MERCATO INTER, SPUNTANO UN EX NERAZZURRO E UN ESTERNO DEL LIVERPOOL
È probabilmente una delle frasi più intonate delle ultime ventiquattro ore in ogni angolo d’Italia, in città o in paese che sia, in campagna, al mare. E così sia, così è. Tra il caldo afoso di un’estate che quest’anno come poche altre volte negli ultimi anni torna ad essere italiana davvero. D’altronde si sa, l’Italia è frammentata, litigiosa, indispettita con se stessa, insoddisfatta. Quantomeno fino al Mondiale. Almeno così veniamo spesso accusati da qualche radical chic con l’innato sentimento di sentirsi in dovere di pronunciarsi su tutto. E allora sì, l’Italiano si ricorda di essere italiano solo per i Mondiali di calcio, esultando e gioendo per quel banalissimo sport considerato non a caso l’oppio dell’italiano medio.
Ma Mondiali di calcio l’Italia non ne vive da sette anni e magicamente dopo la clamorosa decadenza culminata con la grande assenza in Russia, l’italiano ha smesso di sentirsi tale persino sotto l’influenza del dio pallone. Nessun Pablito Rossi, Roby Baggio, Alex Del Piero o Gigi Buffon a fomentare entusiasmo e persino i risultati, gli ottimi risultati, collezionati da Roberto Mancini nell’ultimo anno e mezzo, lo scetticismo aleggiava tra gli abitanti del bel paese. Tutto fino all’11 giugno, quando Roma si è tinta di azzurro contagiando una nazione intera che gara dopo gara è tornata a vivere notti magiche, inseguendo non più un gol ma un sogno, quello di tornare a dire la propria tra i giganti.
Turchia, Svizzera, Galles, Austria, Belgio… un coefficiente di difficoltà in crescendo che contro i vicini austriaci aveva quasi spaventato in vista dei giganti veri e propri del Belgio. La brutta e sporca gara contro gli austriaci aveva quasi seminato qualche spauracchio di troppo che la coesione e la voglia di diventare, più che tornare, grandi ha spazzato via. Diventare grandi, più che tornare ad esserlo, perché nell’Italia di Mancini sono diversi gli ‘inesperti’ e gli esordienti con la maglia azzurra, di sicuro nessuno o quasi ad aver avuto privilegio e onore di sottoscrivere la storia di questa Nazionale. Almeno fino a questo momento perché qualunque sia l’epilogo di questo torneo, nessuno dei ventisei sarà più piccoletto.
Ma di piccoletti parliamo. E contro i giganti belgi a trionfare sono proprio i picciriddi - come si dice dalle mie parti -. E del 2-1 rifilato ad una delle Nazionali più temibili dell’Europeo i protagonisti sono proprio loro: il piccolo, silenzioso, umile e lavoratore nerazzurro Nicolò Barella, e l’ancor più piccolo, spesso criticato e sottovalutato Lorenzo Insigne. Quest’ultimo con un magistrale, perfetto, strepitoso e straordinario ‘tiraggir’, come l’hanno definito i compagni, degno di un Alessandro Del Piero a caso, l’altro con un gol emblema di se stesso.
Immobile prova a girarsi, cade e resta in terra, il direttore di gara non fa quasi in tempo ad accorgersene che il pallone è già tra i piedi di un altro azzurro. Il 17 azzurro a terra, il 18 con mezza spaccata aggancia il pallone strappandolo dai piedi dell’avversario, appoggia su Insigne che apre verso Verratti in arrivo come un treno attirando su di se l’attenzione di Vertonghen che si dimentica Barella alle sue spalle, pronto a ricevere nello stretto il passaggio del compagno di reparto. Spalle alla porta riceve, si gira danzando tra Hazard e Vertonghen, resiste al centrocampista del Borussia Dortmund e senza quasi mai alzare la testa calcia di destro trafiggendo Courtois.
Di forza, di grinta, di spirito, molto più semplicemente alla Nicolò Barella. Un Nicolò Barella per certi versi insolito: nessuna esultanza particolarmente esplosiva e più che esplodere l’azzurro biondino dal 18 sulle spalle ha sorriso, con l’espressione da bambino e la leggera simpatia che lo contraddistingue. Linguaccia e scivolata all’indietro al termine di una breve corsa, conclusa in un sorriso che la dice lunga. Dopo un’insolita prestazione al di sotto del solito livello di rendimento contro l’Austria infatti sono stati diversi i ‘consiglieri’ mediatici che suggerivano al ct di lasciar rifiatare il centrocampista sardo, sfiancato dalla lunga e massacrante stagione sotto l’egida di Conte. Suggerimenti tutt’altro che accolti dal Mancio che imperterrito e ben conscio di se stesso e fiducioso di uno dei suoi capolavori migliori dell’ultimo anno e mezzo, lo ha piazzato in campo a fare a sportellate contro gli uomini di Martinez. Scelta azzeccata. A Monaco di Baviera, tra le mura dell'Allianz, Nicolò Barella recita il solito copione dell’interpretazione di se stesso: di forza, di grinta, di spirito, di gambe, d’intelligenza e a testa bassa inchioda Courtois, il Belgio e l’amico Lukaku, trascinando l’Italia. Segna un gol che sottoscrive sul campo la metafora più emblematica e rappresentativa di quel che è: più cazzotti prende più si rigenera, come una fenice che arde ma non necessita d’incenerirsi. O più realisticamente come un piccolo gigante che quest'anno come mai vive notti davvero magiche.
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