Argomento sensibile, quello legato a Lautaro Martinez, dicevano in telecronaca a DAZN prima del fischio d'inizio di Cagliari-Inter, quando non è mancato il commento sul capitano dei campioni d'Italia, in astinenza dal gol dal 3 novembre, per ciò capitolo 'sensibile' e delicato. Nulla di inesatto, sia chiaro, quantomeno fino all'arrivo nel capoluogo sardo, lì dove l'argentino torna a vedere stendardi rossi che gli si sventolano davanti rendendogli quella parte di sé stesso che sembrava aver dimenticato in un bugigattolo del Meazza. La corrida è tornata e a sorridere è finalmente anche quel Toro che troppe volte, di recente, aveva gioito per gli altri. Ed eccola qui l'inesattezza come lo stesso attaccante sottolinea ancora una volta a fine partita: "L'importante è che vinca l'Inter, se poi il gol arriva è ancora meglio". Bello segnare, ma vincere di più. Non importa come, non importa grazie a chi, l'importante è farlo. Parole da leader, da capitano, ma anche da attaccante talvolta ferito - come ha ammesso a Vieri nel post-derby - ma mai incattivito. Sarà stato quello l'inghippo: una mancanza di cattiveria, che il gran cuore del Torito di Bahia Blanca non riesce a covare neppure dopo la frustrante striscia bianca di score che ha viziato il rendimento di un giocatore entrato nel 'registro degli indagati' soltanto al Fantacalcio. Ma d'altronde si sa: il risultato spesso cambia la percezione e i giudizi e quelle x mancanti nella casellina dei gol segnati hanno generato una bolla speculativa di giudizi che non rendeva troppa giustizia all'abnegazione e al lavoro sporco quanto spesso atipico al quale l'argentino è stato chiamato nelle ultime uscite. Certo nulla che giustifichi l'oggettiva inefficacia sotto porta nella quale è incappato Lauti negli ultimi (quasi) due mesi, inefficienza che dal canto suo però non giustifica la cecità critica calata su chi nelle ultime settimane ha fatto di Lautaro il capro espiatorio di un neo da disegnare sul viso di questa Inter.
Dopo il 4-4 dello scorso 27 ottobre ottenuto a San Siro contro una Juventus che ha letteralmente scippato due punti ai campioni d'Italia, rei in quell'occasione di un relax eccessivo e una selfconfidence sconfinata nell'arroganza, la squadra di Simone Inzaghi ha smesso di commettere errori e compiere disastri e switch di passo fu, Alessandro Bastoni dixit. Da quel 4-4 risuonato a mo' di sconfitta i nerazzurri hanno ritrovato la versione stellare della stagione scorsa mettendo a referto un solo inciampo, chiamato Leverkusen, strafalcione anche in quel caso arrivato per eccessiva 'rilassatezza' ma che poco ha cambiato nella media punti del post-Juventus in poi. E nell'impossibilità di tracciare errori da penna rossa al cammino dei neo-bistellati il bersaglio più 'sensibile' da colpire è proprio quel Lautaro che tanto fa notizia. Ha ragione Inzaghi, d'altronde, in tal senso: quando un giocatore come Lautaro non fa gol è normale che faccia notizia, meno normale però che non faccia parimenti notizia il peso che un giocatore come Lautaro ha nell'economia di una squadra, a prescindere dai gol. Ma poco importa perché a Cagliari il Torito torna a vedere rosso e a far sanguinare gli occhi così come è solito fare e persino la clamorosa occasione divorata a un passo da Scuffet nel primo tempo non ha tolto nulla alla traboccante voglia di tornare protagonista dell'argentino che, spronato all'inverosimile da Inzaghi scalpitante all'interno (quando riesce a starci) dell'area tecnica, non si è mai perso d'animo trovando una rete che vale tre punti, ma anche una leggerezza che serviva come il pane. Quantomeno per allontanare 'gli uccellacci del malaugurio'.
E con tanto di gol quanti i punti intascati in quel di Cagliari, l'Inter ha chiuso l'anno solare 2024, un anno che rimarrà indelebile nella memoria di tutti i tifosi nerazzurri, con l'ennesima roboante vittoria esterna. All'Unipol Domus è arrivata la quinta vittoria esterna consecutiva in campionato, cosa che non accadeva dalla remota stagione 1966-1967 (gli interisti più avanti con gli anni facciano tutti gli scongiuri del caso) con un tabellino reti che recita 18 gol fatti e, udite udite, nessuno subito. Vittorie tutte o quasi arrivate con un passo da carrarmato e con numeri che cantano soavemente.
Numeri da primi, coltivati con la sensibilità dei numeri primi, come quella del Toro: sensibilità verso la squadra, verso la voglia di vincere ancora, verso la voglia di trascinare il gruppo. Roba da numeri primi. O da numeri uno.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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