Sarebbero dovuti essere sette come le meraviglie del mondo, i vizi capitali, le sorelle della Serie A e la maglia di CR. Parliamo dei nerazzurri inizialmente convocati al Mondiale più insolito della storia del calcio. Si gioca in autunno, anche se lì è estate, non c'è l'Italia (ok, questa non è più una novità) e soprattutto non si può bere birra per rispetto delle tradizioni religiose del Qatar, ma se ti beccano che porti via senza pagare uno dei gadget in fan zone ti tagliano la mano. Gli stadi sono otto e si trovano tutti nei pressi della capitale Doha, non un dato sorprendente visto che si gioca in una nazione grande poco più del doppio del Molise, ammesso che esista. Tra questi il Ras Abu Aboud Stadium verrà smontato dopo esser stato costruito con vari container, un piano ben più ecologico e silenzioso rispetto a quello che porterà alla demolizione di San Siro (con buona pace di Sgarbi), gli altri quattro stadi verranno riutilizzati come sede di centri commerciali e hotel di lusso, dato che in Qatar se ne sentiva proprio la mancanza. Originale l'omaggio cinematografico della mascotte a Casper. Mettiamo da parte le critiche ipocrite sulle violazioni dei diritti umani perché oggi mi sento Infantino.
Sarà presumibilmente l'ultimo Mondiale di Messi che guiderà da capitano l'Argentina di Lautaro, mentre il Portogallo punta ancora una volta su tutta la carica di Cristiano, sempre che abbia finito le interviste rilasciate con un pizzico di astio nei confronti di Ten Hag. Il Toro è il fiore all'occhiello della spedizione nerazzurra, che includendo Correa avrebbe dovuto contare tre presenze in più rispetto a Russia 2018, quando gli interisti convocati furono quattro: Brozovic, Perisic, Vecino e Miranda. Il primo, reduce da un infortunio ma recuperato in tempo da Inzaghi per fargli riassaporare il campo, o meglio il bordocampo, sarà il faro a centrocampo della sua Croazia, insieme a lui Ivan il terribile che nel frattempo è volato a Londra da Conte anche per aiutare l'Inter a giustificare in qualche modo l'arrivo a Milano di Gosens. Stesso cammino Italia-UK intrapreso da Eriksen, ma per il danese quella di lasciare il club nerazzurro è stata una scelta obbligata, come ha spiegato sabato dal ritiro della sua nazionale, anzi lui sarebbe rimasto volentieri e ancor più in una squadra non allenata da Conte, ben diversi invece i discorsi per il rinnovo saltato con Perisic, di cui Marotta si dice comunque ancora ottimista.
Chi ha lasciato Londra con l'intenzione di non tornarci mai più è Lukaku, arrivato a Milano con l'obiettivo di trascinare l'Inter e fino ad oggi assoluto protagonista in infermeria. Big Rom salterà con ogni probabilità i primi due impegni del suo Belgio, una sorte in parte simile a quella di Correa che però ha dovuto dire addio definitivamente alla Selección proprio dopo l'ultima amichevole contro gli Emirati Arabi Uniti alle porte del Qatar. Fosse accaduto a San Siro, chissà il Tucu al posto dei fischi avrebbe ricevuto la sua prima ovazione stagionale. Ci sono poi gli olandesi Dumfries e De Vrij, l'esterno al suo primo Mondiale in assoluto, il centrale sicuramente al suo ultimo da rappresentante del club nerazzurro, dopo due ultime stagioni altalenanti che lo vedono distante dal rinnovo e tra i partner preferiti di Lewandowski e Giroud. C'è poi Onana, che almeno nel Camerun ha sempre goduto della piena fiducia del ct Song, anche se lì deve per forza fare a meno dei consigli di Handanovic. Si è partiti ufficialmente ieri con la finale anticipata Qatar-Ecuador, ma la strada da qui alla vera finale del 18 dicembre sarà lunga e costellata da un pizzico di malinconia per quel che sarebbe stato un Mondiale con l'Italia dei nostri Acerbi, Dimarco e Barella. Ci si rifarà tra quattro anni nella nuova edizione allargata a 48 nazionali: the show must go on.
Autore: Daniele Alfieri / Twitter: @DanieleAlfieri7
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