"Corteggiamenti? Sì ne ho avuti, non solo quest'anno. Ma non ho mai pensato di andare via. Mi sento apprezzato e non sto neanche a sentire le altre, mi sento in famiglia, c'è grande sinergia con la società e i ragazzi, i tifosi, fanno piacere gli apprezzamenti ma mai nei miei pensieri cambiare squadra". Tra le tante parole di Simone Inzaghi nel corso della.conferenza di kick-off della stagione probabilmente queste non sono le più notiziabili. Eppure meriterebbero la medaglia d'oro della simbologia. Perché riassumono quello che l'Inter rappresenta oggi per chi vi lavora quotidianamente: una famiglia.

Nessuna retorica da Mulino Bianco, quella lasciamola ad altre realtà filtrate a monte. Bensì una genuina consapevolezza di quanto sia piacevole vestire e difendere i colori nerazzurri. Non che servisse una conferma verbale, più volte il concetto è stato ribadito dai rappresentanti del club, dal presidente ai direttori, fino agli stessi calciatori: tanti vogliono venire, nessuno vuole andarsene. E poi basta guardare la squadra, che oltre a divertirsi e divertire si nutre del mutuo soccorso tra i giocatori. Non esiste che si rinunci a quella corsa in più per soccorrere un compagno in debito d'ossigeno o fuori posizione, non esiste che si pecchi di individualismi o egoismi quando si può servire chi è più libero o meglio posizionato.

Una famiglia, non certo di quelle tradizionali, ma che si esalta nei rapporti tra i suoi componenti. Inzaghi ne è il capo, Marotta lo ha definito il leader della squadra senza risparmiargli complimenti. E l'allenatore piacentino, checché venisse alimentata una corrente di pensiero che lo vedeva poco accondiscendente durante la trattativa per il rinnovo (diamine, è una trattativa no?), non ha mai messo in discussione la sua permanenza all'Inter. Perché come ha abbondantemente chiarito ci si trova bene, riesce a lavorare nel modo giusto, ideale, ha una squadra e dei ragazzi che lo seguono con passione e non si lamentano mai, ha una dirigenza con cui condivide le strategie e accetta le complicanze. Qualunque allenatore sognerebbe un incarico in un contesto del genere. Poi, certo, di fronte a una montagna di soldi sarebbe umano vacillare, ma c'è da credergli quando sostiene di non aver considerato altre proposte.

Inzaghi è un uomo in missione, sa bene di non aver ancora esaurito il proprio compito in nerazzurro. C'è ancora tanto da fare e da vincere, c'è un'Europa che merita riscatto, c'è un Mondiale da battezzare, c'è il piacere di dover difendere lo Scudetto, il primo della sua carriera in panchina. E non certo uno banale. Ma soprattutto c'è una famiglia da proteggere e guidare, perché prima che come professionista Simone si è fatto apprezzare dall'ambiente come uomo, con i suoi evidenti pregi e i difetti che prova a superare quotidianamente. Raramente, in casa Inter, si è vista una tale simbiosi tra tutte le parti, compresa la tifoseria. Ed è forse la prima volta che in estate l'interista pensa più al ritorno in campo della squadra che al mercato.

Merito anche di Simone Inzaghi, the family man.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 13 luglio 2024 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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