Ci sono cose che non si possono spiegare, ma solo vivere. Sciagure comprese. Eppure il termine sciagura per definire la gara di Monaco di ieri sera sarebbe ingiusto, fazioso e sicuramente poco serio. L’unica sciagura è stata quella vissuta dalle migliaia di tifosi interisti che hanno fatto chilometri, sacrifici, speso fior di quattrini per ritrovarsi ad assistere ad uno spettacolo drammatico a dir poco. Mettiamo in chiaro due robe prima di iniziare, a cercare quantomeno di assemblare e ordinare pensieri che di positivo hanno poco: perdere una finale contro un avversario dal calibro del PSG di quest’anno è lecito, farlo per 5-0 senza scendere praticamente in campo no. Se il risultato è macabro, la prestazione della squadra lo supera di tre spanne non è un caso che il clamore cresce a dismisura se si pensa che il 5-0 finale appare persino clemente a giudicare dalle palle-gol subite dalla squadra di Inzaghi che non ci ha mai capito nulla, non è mai riuscita a entrare in partita, figuriamoci a riprendersi da uno psicodramma apertosi già a 20 minuti dal fischio d’inizio.
I primi due gol hanno fatto clamorosamente male ai nerazzurri, gambizzati dalla velocità dei parigini che feriscono prima con Hakimi poi con Doue, entrambe le volte approfittando delle debolezze di un Federico Dimarco che nella casa del Bayern Monaco mette inequivocabilmente a referto una stagione di molte più ombre che luci. Un Dimash che non sembra neppure lontanamente parente di quello della scorsa stagione, ma che continua comunque a guadagnarsi una titolarità che sembra concessa per diritto e che, probabilmente Inzaghi farebbe qualche volta bene a rivedere. Certo, attribuire ogni colpa a Dimarco sarebbe senza dubbio ingiusto, eppure anche questa volta, col senno del poi, ma anche con quello del prima, probabilmente contro velocità e tecnica di Hakimi, fisico, velocità e maggiore attitudine difensiva di Carlos Augusto sarebbero tornati più utili come i matches d’andata contro Bayern e Barça dimostrano. Anche stavolta in campo vanno i soliti undici, i titolarissimi, i super-spremuti da due stagioni a questa parte che difficilmente trovano riposo sì per via delle emergenze che spesso Inzaghi si è ritrovato a fronteggiare per via degli infortuni, ma anche e soprattutto per una gestione di forze e uomini, nel lungo periodo, sicuramente da rivedere. Non che l’ingresso del 30 nerazzurro sia stato dei migliori, e al contrario con i cambi la squadra è riuscita a far peggio che con i titolari. Se Dimarco si guadagna il premio di peggiore in campo, scrivendo di fatto il vantaggio del quale Hakimi si prende la fatica di apportare solo la firma e deviando il destro di Doué che manda in tilt Sommer, i compagni non lo fanno tragicamente sfigurare e per trovare una sufficienza tra le file dei secondi per antonomasia nella stagione appena conclusa è difficile se non impossibile.
A non presentarsi all’appuntamento più importante della stagione sono praticamente tutti. E quell’ultimo atto, sogno cercato, voluto e con fatica costruito passo dopo passo, è stato vanificato totalmente nel giro di una gita in Baviera che per la tragedia consumata meriterebbe un posto nella programmazione della nuova stagione teatrale al Teatro greco di Siracusa. Ma la realtà della notte di Monaco supera persino la fantasia e neppure il più sadico degli autori sarebbe stato in grado di scrivere un tale canovaccio. Le lacrime finali di un Lautaro distrutto, stremato e disperato per quanto subito sono solo un piccolo frame dell’intero mosaico di malessere che ha pervaso le centinaia e centinaia di persone che al 3-0 hanno cominciato a pregare non si andasse oltre. Ma le preghiere, come le speranze, sono andate presto vane e dopo la prima rete del secondo tempo ne sono arrivate altre due che hanno inchiodato la squadra milanese, arrivata con spavalderia e convinzione mai tradotte in atteggiamento calcistico contro la squadra di Luis Enrique. Tecnico che ha preparato la gara magistralmente, diversamente dal collega dirimpettaio che invece non è mai stato in grado di aggiustarla, riuscendo nell'impresa di rovinare (chiaramente con un coefficiente di colpevolezza da suddividere con i 16 mandato in campo) un percorso da 10 in pagella qualora fosse arrivata la vittoria. Da 9 in caso di sconfitta… sempre se la sconfitta non fosse stata schiacciante e umiliante come poche nella storia.
Umiliazione che auspichiamo, come ultimissimo baluardo di consolazione in una notte che non trova sollievo da nessuna parte, possa fungere da spunto di riflessione per tutti gli attori in causa: da Inzaghi che adesso chiede a gran voce un mercato decente, alla società che ha avuto la presunzione di credere che una squadra, stremata e anche datata, potesse uscire indenne da una corsa su tre fronti senza acquisti, fino ai giocatori oggi, come in tante, troppe volte, in stagione (punti sperperati qui e lì su tutti i campi di Serie A insegnano), spavaldi fuori dal campo, intimoriti e rimpiccioliti a dismisura in campo.
E allora sì, ha ragione Barella: il risultato, se non cancella, obnubila e come il percorso fatto. Testa bassa e pedalare e probabilmente rifondare.
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