Nove punti e vetta della classifica in solitudine come non accadeva dal lontano 22 settembre 2010. In quella serata, l'Inter di Rafa Benitez surclassò il Bari con due gol di Milito e due di Eto'o. Altri tempi, era una squadra che andava col pilota automatico dopo il  Triplete. Poi tutti sappiamo come andò a finire. Stavolta la storia è completamente un'altra. Scudetto impossibile? In molti sono a pensarla così. Vedono un'Inter imperfetta, benché a punteggio pieno. Un'Inter ancora immatura in molti suoi interpreti e, più in generale, un complesso ancora poco rodato. Vero, sicuramente. Ma non è detto che sia un male, anzi.

L'errore comune che si commette in questo tipo di analisi è pensare che per vincere un campionato o una coppa bisogna essere perfetti. Falso. La Serie A non è una corsa con se stessi. O meglio, non è solo una corsa con se stessi. Soprattutto, è una corsa con altre avversarie, per cui la tua forza va raffrontata con chi compete con te e non con un immaginario di perfezione.

L'Inter ha carenze, punti deboli e idee acerbe. Ma le altre come stanno? Questo è il discorso: non devi giocare 38 partite con Bayern Monaco, Barcellona o Real Madrid. Devi giocare un campionato soprattutto contro Atalanta, Carpi, Frosinone, Empoli, Bologna. Avversarie complicate, per carità, ma che certamente non richiedono la massima espressione calcistica possibile per essere superate. E se a ciò si aggiunge che le antagoniste principali non sono nemmeno loro inattaccabili – dalla Juventus alla Roma, passando per Milan, Napoli e Fiorentina – si capisce bene che tutto è davvero possibile.

La dimostrazione tangibile arriva proprio dal derby appena vinto. Il Milan ha dato la sensazione di avere le idee più chiare, di stare meglio in campo e, specie dopo lo svantaggio, di attaccare in maniera più organica. Forse. Ma di certo non si fa un complimento ai rossoneri se si dice questo di loro dopo una sconfitta. Se tu sei al massimo e gli altri al 50%, e, nonostante ciò, vieni battuto, allora c'è di che preoccuparsi. L'impressione è proprio questa: il Milan è sembrata una squadra provinciale, ben chiusa dietro e rapida in ripartenza con gente pungente e di qualità. Insomma, il compitino di chi va a San Siro per ben figurare e magari portare via il risultato positivo. Al contrario, l'Inter ha manovrato, ha costruito, ha dato l'idea di voler cercare il gioco complesso che può portare risultati veri nel lungo termine. No, non si parla di progetto triennale, ma di semplice amalgama con i nuovi arrivati. Ecco perché la vittoria vale doppio. Ecco perché il campionato del 'meritare', dopo quello delle amichevoli, lascia il tempo che trova. Il meritare, nel calcio, ha davvero poco senso se non in presenza di evidenti torti arbitrali. Comprensibile la strategia dialettica di Mihajlovic nel dopo gara, quando parlava di felicità nonostante il risultato. Comprensibile, appunto, ma chiaramente non condivisibile: fosse convinto di quanto affermato, non sarebbe su quella panchina.

Mancini, invece, può rallegrarsi. L'Inter ha finalmente giocatori veri, da vertice. Jovetic è una mente superiore, Perisic ben presto farà capire a qualcuno che quei quasi 20 milioni spesi sono finanche pochi, Icardi tornerà a timbrare il cartellino con regolarità, Kondogbia esaudirà le richieste di Mancini, Murillo limiterà le ingenuità e Miranda tornerà dall'infortunio. Per non parlare di Felipe Melo, capace in appena 90 minuti di zittire la gran parte degli scettici. E intanto non si parlerà più di quel 22 settembre 2010.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 15 settembre 2015 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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