Vi ricordate il simpatico video pubblicato anni fa da un solito folle Marcelo Brozovic che, dal bordo della piscina dell’attico di casa sua in quel di San Siro, lanciava quello che nel tempo divenne un vero e proprio tormento, ancor più che tormentone, per Nicolò Barella? "Bare, dove sei Bare?"

Oggi a distanza di anni e con la coppia più pazza che potesse esistere (almeno così sembrava… fino all’arrivo di Thuram e Frattesi per citarne alcuni) ormai spaiata, quell’antico e caduto in disuso motivetto ritorna in mente e probabilmente anche utile alla causa. All’indomani del pokerissimo di Frosinone chiedersi dove sia Nicolò Barella è quasi blasfemo, di sicuro retorico, persino alla luce di una prestazione tra le migliori della carriera. Eppure l’ex Cagliari, anche in una serata non da particolare nota sul calendario, riesce comunque a calamitare su di sé i riflettori. Con i suoi 3.343 minuti disputati tra Champions League, Serie A, Coppa Italia e Supercoppa Italiana, c’è un preciso motivo se il sardo è il terzo più utilizzato degli uomini di Inzaghi, immediatamente dietro Yann Sommer e Henrikh Mkhitaryan, quel motivo si chiama onnipresenza. Il numero ventitré dei Campioni d’Italia è ovunque: in attacco, in difesa, corre, si insinua, capta e detta linee di passaggio, cerca la porta, manda in porta, serve palloni splendidi, crea varchi per i compagni e si sbatte, tanto, tantissimo… Qualche volta sbraccia, borbotta, si incazza e sa diventare una fastidiosissima spina nel fianco per gli avversari. Picchia se necessario e l’ultima parola sembra debba spesso essere la sua. Qualche giallo per qualche protesta di troppo, ma il vero incomodo lo arreca col pallone tra i piedi, nello stretto e quando ha troppo spazio davanti; "è un giocatore pensante che sa quando aprirsi, venire incontro, occupare", Inzaghi dixit… E chi meglio di lui può saperlo e dirlo?

Insomma, Nicolò Barella legge e scrive calcio. Lo ha nel dna che gli scorre dentro come l’anima da combattente indomo, da gladiatore e da cohortes praetoriae, primo a scendere in battaglia e ultimo a lasciare il campo senza badare a ferite, sangue, fasciature e ostacoli. Sedatosi leggermente negli anni, direbbe qualcuno pensando a quella ormai serata di Madrid che gli costò la doppia sfida col Liverpool e l’eliminazione dalla Champions (altro grande rimpianto del 2022 eclissato dal dramma scudetto). In realtà semplicemente maturato, cresciuto, responsabilizzato… diventato con esperienza, batoste e tempo leader vero e pilastro fondante di una squadra che oggi non ha bisogno di grandi dissertazioni.

Uomo, leader e interista. Uomo e umano, Nick è uno dei più bersagliati dalle critiche: spesso condotto al patibolo mediatico per ‘capriole’ e ‘sceneggiate’, qualche eccesso ammesso dallo stesso giocatore che però mette da parte già al triplice fischio verve e cattiveria espresse sul rettangolo verde. Esempio ne è la scena passata totalmente in sordina alla fine di Milan-Inter che ha decretato la vittoria dello scudetto dei nerazzurri, quando il sardo un attimo dopo aver esultato sotto la Curva Nord si stacca dal resto dei compagni per correre a stringere la mano agli avversari, sconfitti, dando una pacca sulla spalla - prima a Leao, poi a Giroud - omaggiandoli e consolandoli. Un gesto dal sapore chiaramente diverso, ma della stessa gentilezza rivolta due anni prima sotto lo stesso cielo al capitano Lautaro in lacrime. Emozioni differenti, felicità - senza dubbio - differente, ma umile e gentile, accortezze non così frequenti nel calcio d’oggi, e in quello di ieri, dove striscioni, cori, goliardia, adrenalina e leggerezza fanno facilmente commettere anche qualche scivolone e mancanza d’attenzione che talvolta finiscono giustamente alla ghigliottina. Se tanto facile è aprire aule dei tribunali d’inquisizione per gli errori, tanto lecito è sottolineare un bel momento di fair play che educativamente parlando avrebbe più senso d’esser posto all’attenzione. Leader sul campo, negli spogliatoi, sul bus in giro per le strade di Milano, in terrazza in Piazza Duomo. Barella è un trascinatore nato, ha conquistato il cuore dei tifosi con umiltà e sacrificio senza troppa ruffianeria né piaggeria: diamante grezzo in un’epoca che a volte sembra non appartenergli, l’unica estetica di cui si cura è quella espressa nei deliziosi tocchi che scocca sul pallone, talvolta mica sempre peraltro! Grezzo non a caso, alle pennellate e manovre geometriche che riesce a dipingere e disegnare alterna tiri e interventi sporchi, eccessivi e forse spropositati, che fanno implodere le colecisti e mandano su di giri persino e soprattutto lui. Ma croce e delizia di sé stesso, questo senso di naturalezza estrema fa di lui il più sfrenato dei dediti a battaglie e guerra per la causa. Causa che si chiama maglia. Interismo. Difficile non credere al trasporto, senso d’appartenenza, amore e passione mostrati fin qui sul campo e in versione inedita e quasi strana da vedere alla festa scudetto: un Nicolò per un attimo bambino, sognante, passionale, e autenticamente felice nel pieno del più bello dei suoi sogni.

Tre caratteri che ogni qualunque tifoso nerazzurro mai esistito spera, chiede e a un certo punto pretende di trovare in un giocatore che incarni la bandiera, quella figura di interista che si identifica nei tifosi, nella filosofia, nella storia, nel dna del Biscione. Ritratto che combacia a pennello al ventisettenne italiano e pilastro della Nazionale, che fa di lui il perfetto candidato a scrivere una storia d’amore che rinnova le pagine del libro della Beneamata. E proprio in tal senso è finalmente arrivato di recente il passo avanti che tanto si bramava: prolungamento fino al 2029 dallo "stipendio di 6,5 milioni, che salirà facilmente con la parte variabile” diventando l’italiano più pagato della Serie A - ha anticipato la Gazzetta dello Sport che parla di una trattativa semplice e risolta in breve perché nella sua testa “c’è sempre stata l’Inter e questo ha agevolato il lavoro dei dirigenti”. La notizia di un ingaggio tanto importante ha fatto storcere il naso a qualcuno, comprensibilmente attento a spese, bilanci, FFP, ma anche a chi nel nome dell’interismo di cui parliamo ritiene non così nobile alla causa un onere tale. Considerazioni comprensibili nel nome di romanticismo, passione e trasporto da tifoso che non tiene conto di una faccia della medaglia che si chiama, ahinoi, realtà e professionismo. O professionismo nella realtà. Tristemente spaventoso il reale peso delle sopraccitate cifre in relazione al tifoso, i fatti dicono che nel calcio del 2024 dove esistono gli ingaggi da 260 mln di dollari l’anno, un 6,5 + bonus per valorizzare ancora prima che blindare un prezioso prodotto di casa non sembra così inappropriato, spaventoso o blasfemo. Incomprensibile e scandaloso è chi non ha colto quanto imprescindibile a questa Inter sia Nicolò Barella, l’uomo, leader e interista che non manca mai agli appuntamenti ed è ovunque anche quando non sembra. Anche quando non eccelle come nella ‘normale’ gara servita a Frosinone, dove sovverte la performance dai tratti silenziosi e senza preludi di grandi acuti con il plot twist del tocco per Arnautovic sul secondo gol. Imperfetto ma dalla visione sopraffina, velocissima e quasi profetica, come avesse occhi ovunque, un passo avanti agli altri.

Avrà avuto ragione Marcelo Brozovic a chiedere continuamente 'dove sei Bare?', perché Bare, in un attimo, è davvero ovunque, ma non va da nessuna parte perché pur lasciandolo libero di correre, il matto cagliaritano non sembra aver voglia di andare proprio da nessuna parte che non sia Milano. 

Sezione: Editoriale / Data: Dom 12 maggio 2024 alle 00:00
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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