Dopo giorni di parecchio e concitato dire, il Giudice Sportivo Gerardo Mastrandrea ha finalmente emesso la sentenza che mette un punto alla questione Acerbi-Juan Jesus. O almeno così sarebbe dovuto essere. Ma come in molti temevano, punto non è stato e il “Ritenuto pertanto che non si raggiunge nella fattispecie il livello minimo di ragionevole certezza circa il contenuto sicuramente discriminatorio dell’offesa recata P.Q.M. di non applicare le sanzioni previste dall’art. 28 CGS nei confronti del calciatore Francesco Acerbi (Soc. Internazionale)” sottoscritto da Mastrandrea non basta a placare delle polemiche e malumori che, al contrario, s’infiammano. Eppure quanto stabilito (dopo le indicazioni della Procura Federale) è semplice da comprendere: il Giudice Sportivo si è limitato a fare il Giudice Sportivo propendendo verso un verdetto finale che nient’altro fa che applicare quanto stabilito dalla legge. Applicazione che, per quanto fedele ai dettami legislativi, lascia in tanti scontenti, a partire dal Napoli e Juan Jesus che non hanno nascosto il disappunto per lo svolgimento dei fatti, dunque per la mancata sanzione e l’impunità di un episodio che, stando alla narrazione del difensore del Napoli, è grave più che di semplice cattivo gusto.
"È una valutazione che, pur rispettandola, faccio fatica a capire e mi lascia una grande amarezza" ha scritto il brasiliano nel suo lungo sfogo social post-sentenza attraverso il quale ha espresso tutto il suo dispiacere, stupore, anche con un pizzico di polemica. Ed è proprio dalle parole di JJ che è più facile far partire qualche considerazione in merito. "Vicenda grave che ho avuto l’unico torto di aver gestito ‘da signore’, evitando di interrompere un’importante partita […]" si legge nell’incipit della lettera di Jesus, che in questo passo compie un’ineccepibile riflessione non a torto. Il primo, forse unico, grande errore di Juan Jesus è stato esattamente questo: l’altalenante e ondivaga, quasi contraddittoria, gestione della situazione tra campo e fuori che ha fatto scivolare via dalle mani del 5 azzurro il potere di mandare un messaggio forte, anzi fortissimo, al mondo dello sport, al calcio, all’Italia e all’Europa intera. Per intenderci: segnalare all’arbitro di essere stati ‘ingiuriati’ senza entrare nello specifico, evitando dunque di mettere a referto fedelmente integralmente il tipo di insulto ricevuto è stato il primissimo passo per la ‘risoluzione aleatoria’. Opzione che sulle prime non ha lasciato trapelare nulla di sospetto considerato il chiarimento suggellato dall’abbraccio tra i due giocatori che non lasciava sospettare un così pesante successivo svolgimento dei fatti. Sensazioni che lo stesso Juan Jesus ha confermato ai microfoni quando, con tanto di sorriso sulle labbra, ha parlato di ‘cose da campo’ risolte tra giocatori intelligenti. Il corto circuito avviene quando Mastrandrea, dopo aver letto il referto di Inter-Napoli redatto da La Penna, ha ritenuto “necessario che venisse approfondito da parte della Procura federale, sentiti se del caso anche i diretti interessati, quanto accaduto tra il calciatore della Soc. Napoli Juan Guilherme Nunes Jesus ed il calciatore della Soc. Internazionale Francesco Acerbi circa eventuali espressioni di discriminazione razziale proferite da quest'ultimo nei confronti del calciatore della Soc. Napoli". Blackout che ha fatto in fretta a mutare in tumulto. Alla richiesta del Giudice hanno fatto seguito l’apertura delle indagini da parte della Procura Federale e l’esclusione di Acerbi dal ritiro, dunque dalle amichevoli in programma, di Coverciano con la Nazionale. Esclusione dettata da buon senso che ha però gettato il difensore di Spalletti (e di Inzaghi) in pasto agli squali.
Immediatamente dopo la diffusione della notizia, l’ex Lazio è diventato bersaglio di giudizi frettolosi, critiche, insulti e chi ne ha più ne metta da ogni dove e le dichiarazioni a caldo rilasciate ai giornalisti che lo aspettavano in Stazione Centrale al rientro da Coverciano hanno funto da benzina che ha fatto divampare ulteriormente un incendio che non ha accennato a spegnersi neppure dopo l’assoluzione. “Non ho detto nulla di discriminatorio” ha continuato a ripetere Acerbi a Spalletti, ai compagni, ai giornalisti, all’Inter e infine a Chiné, “Juan Jesus avrà frainteso”. Eppure il cortocircuito è facile da individuare quanto innegabile, specie alla luce delle continue incalzanti repliche del napoletano che prontamente smentisce la strategia difensiva dell’interista. Ed ecco che parte un vero e proprio uno contro uno a suon di dichiarazioni tra i due che consegna a Chiné una patata bollente non da poco. Patata che il duo Chiné-Mastrandrea è stato costretto a pelare con zelo e non poca fatica.
Nessuna ‘parola’ riportata, nessun’immagine, né testimone da poter utilizzare come onere della prova ad una denuncia che da ‘cosa da campo’ diventa una vera e propria accusa che però Juan Jesus scaglia soltanto tramite social prima e tramite deposizione verbale durante l’interrogatorio di Chiné che però vale solo relativamente intrecciando di fatto un nodo attorno alle mani di JJ che è passato come colui ‘che ha frainteso’. Cosa si fa in questi casi? Il buon senso lascerebbe propendere la lancetta della bilancia del giudizio verso il napoletano: che motivo avrebbe avuto JJ di inventarsi tutto? Perché dovrebbe mentire su un argomento tanto delicato? E perché accusare ingiustamente un ‘collega’ mettendolo nella condizione di rischiare una pesante squalifica, nonché la rescissione di contratto per ‘giusta causa’, dunque la carriera? Difficile pensare che sia stato tutto frutto di immaginazione del brasiliano o di una cattiva interpretazione, così come ipotizzato da Acerbi nelle giustificazioni avanzate. Eppure, a prescindere dal buon senso e dalle interpretazione dei tasselli di questo intricato quanto triste puzzle, Chinè e Mastrandrea non possono nemmeno basarsi troppo sui tanto citati precedenti delle ultime stagioni relativi a fatti identici, perché in casi quello di Michele Marconi all'epoca al Pisa si arrivò al ribaltamento della sentenza di primo grado solo grazie alla testimonianza di Michele Rigione, fattispecie qui non pervenuta perché nessuno ha avvertito chiaramente epiteti di stampo razziale, e anche i paragoni intentati per avanzare complottistiche teorie secondo cui anche in questo caso ci siano avvisaglie di ‘Marotta League’ perdono immediatamente di efficacia, tanto quanto al resto delle accuse che s’infrangono contro l’inermia del buon senso, costretto alla resa dai dettami legislativi. Ma se la legge non permette di condannare un presunto razzista per mancanza di prove, non si corre il rischio che l’assoluzione dell’imputato passi come una mancanza di ‘fiducia’ nei confronti della presunta vittima, che nel caso in cui abbia raccontato la verità subisce oltre al danno anche la beffa?Decisamente sì. Al contempo però, rovesciando la lente d’ingrandimento attraverso il quale si analizza la cosa, sanzionare un giocatore per un’accusa tanto grave, con una punizione altrettanto pesante, senza prove che ne certifichino la colpevolezza creerebbe un precedente pericolosissimo dal quale sarebbe difficilissimo poi tornare indietro. Alla ‘logica’, al buon senso, alla forte e ampiamente condivisa fame di giustizia fa da contraltare la presunzione d’innocenza, prevista pure dalla costituzione della Repubblica Italiana: non è l'imputato a dover dimostrare la sua innocenza, ma è compito degli accusatori dimostrarne la colpa e l’imputato non è considerato colpevole fino a prova contraria e sino alla condanna definitiva.
Motivo per il quale l’assoluzione decretata da Mastrandrea è a tutti gli effetti la conclusione più corretta a livello giurisprudenziale che ci si potesse aspettare. Questo però, e va ribadito alla nausea, non fa di Acerbi un innocente. Innocenza che non può essere stabilità dallo stesso Chiné, tantomeno da Mastrandrea o dalle parole di Acerbi stesso che, insieme a Juan Jesus, resta l’unico a conoscere il reale svolgimento dei fatti. Qualunque essi siano. Ma torniamo alla sentenza, logicamente e giurisprudenzialmente corretta ma, probabilmente non moralmente. L’altra faccia della medaglia ci dice che non ascoltare le vittime è prassi socialmente purtroppo culturalmente intrinseca all’Italia che ancora una volta ha messo in luce due aspetti preoccupanti del sistema calcio, ma ancor di più della società più in generale. L’Italia si ri-scopre per l’ennesima volta tristemente, ma soprattutto fortemente razzista. Scoprendo il nervo scoperto di come la discriminazione razziale sia un problema culturale collettivo, ancor più che individuale, che troppo spesso trova escamotage di fuga come in questo caso, diventato argomento da bar e ancora peggio ‘questione’ di tifo. E allora juventini che speravano nella ‘lapidazione’ pubblica di Acerbi, interisti che auspicavano nella mancanza di prove che potessero inchiodare il nerazzurro… E in pochi, troppo pochi a riflettere sulla gravità e importanza sociale che la questione inglobava.
Una cecità collettiva che ha, a sua volta, scoperto un altro nervo già sanguinante di questa società: l’attenzione al linguaggio, questa sconosciuta. In una delle tante interpretazioni dei fatti avvenuta prima delle dichiarazioni del giocatore dell’Inter, dunque della sua personale versione dei fatti, si è parlato di ‘appellativo razziale utilizzato dal giocatore nerazzurro che si sarebbe subito dopo giustificando dicendo che la parola utilizzata, e che avrebbe infastidito Juan Jesus, era stata pronunciata senza alcuna attribuzione denigratoria’. Una parafrasi degli eventi che ad oggi può anche apparire come credibile e che, qualora corrisponda al vero, evidenzia per l’appunto la leggerezza con la quale troppo frequentemente si faccia ricorso ad un linguaggio noncurante degli altri e spesso e volentieri denigratorio. Una sorta di automatismo pericolosissimo e grave sui quali, una volta per tutte, bisognerebbe riflettere proprio cominciando da episodi simili.
Un’occasione che questa triste storia ci ha, implicitamente e inconsapevolmente, donato e che l’Italia, ancora una volta spreca, mostrandosi, nella gestione di tutta la questione, una spaventosa e allarmante impreparazione che fa a pugni con i tanto sbandierati slogan di rispetto e anti-razzismo di cui ci si riempie la bocca. Ancora una volta nessuno è davvero assolto e tutti, nel nostro piccolo, tremendamente colpevoli. Colpevolezze difficilmente 'lavabili' persino dai numerosi 'amen' pronunciati nella giornata di oggi.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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