Sono le 23.40 passate dell'11 maggio 2025, al Maradona Piccinini fischia tre volte e quello che inizia a sollevarsi dalle retrovie dell'ex San Paolo e dai vicoli del capoluogo partenopeo è uno strano mix di sensazioni. Una volta qualcuno l'avrebbe chiamato rumore dei nemici, oggi è odore e sapore... Ma riavvolgiamo il nastro e andiamo a step. Dopo l'inenarrabile esplosione di vibrazioni che hanno mandato in visibilio il Meazza lo scorso martedì, l'Inter di Simone Inzaghi si presenta al Grande Olimpico di Torino nel match delle 18 della domenica con una formazione per nove undicesimi differente rispetto alla semifinale contro il Barça. Orfana di Pavard, Mkhitaryan, Frattesi e Lautaro, la finalista di Champions League si presenta in casa dei granata con Pepo Martinez tra i pali, protetto da Bisseck e Bastoni (unici due titolari riproposti dopo martedì) e De Vrij in mezzo, un centrocampo totalmente atipico con Darmian e Carlos sulle corsie, Asllani in cabina di regia, e Zielinski e Zalewski sulle mezzali alle spalle del tandem d'attacco Taremi-Correa. La novità che balza immediatamente all'occhio è l'ex romanista, unico acquisto di gennaio dei campioni d'Italia, nel ruolo di mezzala sinistra, posizione che l'italo-polacco non ricopre dai tempi della Primavera. Mossa che non immediatamente dice qualcosa ma che Simone Inzaghi compie per mandare un messaggio a posteriori inequivocabile: non è finita finché non è finita.
Il pass per Monaco sembra valere un gratuito carico di benzina che la squadra del Demone di Piacenza mette nei motori e nella corsa per lo scudetto, questo 'abbandonato' tra la trasferta di Bologna e l'ospitata della Roma e contro i torinesi viene fuori un'evidenza: questa Inter non si accontenta e non sembra voler lasciare nulla d'intentato, tornando a sottoscrivere il suo nome alle candidature verso l'elezione di un titolo che poco più di dodici ore dopo torna a essere conteso più che mai. Gestione delle energie in vista della partita delle partite in Germania, ma anche della coerenza. E se c'è un valore da attribuire all'Inzaghi management è quello della coerenza: senza mai nascondersi dal giorno uno, l'allenatore dell'Inter ha sempre dichiarato di non aver uno, bensì tre obiettivi stagionali. Arrivare fino in fondo in tutte le competizioni è sempre stato quanto dichiarato dall'ex Lazio che contro la squadra di Vanoli si presenta con un esperimento che gli dà ragione in quindici minuti. Nel mai casuale calcio di Simone, Nicola Zalewski, schierato mezzala come nelle giovanili prima di passare al ruolo di esterno, s'inventa un eurogol che fa esultare in ritardo doveroso per lo stupore destato: riceve da Bastoni, finta di tacco che si sbarazza di Gineitis e disegna un tiro a giro da standing ovation che lascia impotente Milinkovic-Savic. Più che buona, la prima rete in nerazzurro di Zale è ottima e di sicuro indimenticabile. Pennellata che sblocca il risultato, diventa uno dei frame più iconici del match (e probabilmente di questo finale di stagione) ma non è l'unica delizia servita dal ventitreenne. Come immerso in un tuffo di passato, il 59 nerazzurro ritrova la freschezza e la brillantezza del Zalewski ai primi albori e sembra rendere magico ogni pallone che tocca: dribbla, crea superiorità, serve i compagni, si destreggia tra gli avversari con grazia e personalità e si iscrive alla lista dei marcatori stagionali dell'Inter che con la sua rete diventano 19.
Personalità, parola chiave della gara di 'un'Inter B' che funziona da piano A proprio grazie a quella mai mancata alla squadra scesa in campo e al contrario tirata fuori da ogni componente mandato in spedizione contro l'arcigna squadra di Vanoli che non ha mai smesso di creare pericoli, neppure quando ad entrare in campo è l'artiglieria pesante. Ad essere pesante però, nel capoluogo piemontese, è prima di tutto il campo, dove viene giù un diluvio torrenziale che rischia di far sospendere la partita e che dilata di parecchio l'intervallo, 'imprevisto' necessario ad attendere le giuste condizioni e mettere in sicurezza i calciatori. A tratti però il terreno diventa impraticabile, specie sul concludersi del primo tempo quando il Torino ha ritrovato fiducia e centimetri e a prendersi la scena è un immenso Pepo Martinez che sottoscrive idealmente un gol per l'Inter salvando incredibilmente su Che Adams. Il ventottenne si vede chiusa magicamente la porta dalla manona dello spagnolo che cade male a terra facendo, per un attimo temere, per le sue condizioni. È la grandissima parata dell'ex Genoa, probabilmente, il frame emblematico del pomeriggio torinese che nella ripresa vede vigere l'insindacabile regola d'Inzaghi (fuori i due ammoniti Bisseck e Carlos Augusto e dentro Dumfries e Dimarco con Darmian che scala al posto di Bisseck e l'olandese che va sulla fascia destra) ma anche la parola d'ordine dei primi quarantacinque e rotti minuti e se i cambi danno immediatamente il primo sprint in più, la grinta di Taremi, rinfrancato dall'iniezione di fiducia della doppia sfida col Barça, consegna all'Inter l'occasione per il 2-0.
L'iraniano, innescato da Dimash, viene abbattuto da Milinkovic-Savic che tenta di fermare l'irruzione verso la porta che non riesce a proteggere neanche dopo il fischio di La Penna che assegna calcio di rigore all'Inter e lo ammonsce. Il portiere serbo salva sì sull'ex Porto, ma lo abbatte irregolarmente e consegna il pallone a Kristjan Asllani che dopo aver segnato il gol vittoria - sempre dagli undici metri - contro il Verona si presenta dal dischetto di fronte a VMS: testa alta, spalle larghe, respiro e sguardo concentrato, Aslla non batte ciglio e con esecuzione perfetta spiazza il gigante serbo firmando il raddoppio che vale alla milanese in questione tre punti con cui tornare a casa e mettere pressione alla capolista. Capolista che ospita un ormai tranquillo Genoa, ad agio nella sua salvezza già conquistata ma con la voglia di concludere con orgoglio la stagione. Detto, fatto! E con una formazione che a dirla tutta sembrava un Pasillo anticipato alla squadra di Conte, i ragazzi di Vieira fanno un clamoroso sgambetto ai partenopei proprio dentro le mura di un Maradona che al triplice fischio sente un odore di bruciato che non proviene dai fuochi dei caroselli, ieri notte di sicuro più cauti che nel post Bologna-Inter. Fino a Napoli quanto a Parigi, i nerazzurri hanno parlato in maniera eloquente, forse altisonante: ci sono e vogliono esserci. Fino in fondo, finché è concesso e affinché tutto sia concesso nulla va mai affidato al caso, come le rotazioni di Simone Inzaghi a Torino, dove il piacentino - e probabilmente anche il suo Presidente - si è preso ancora una volta un pezzetto di silenziosa ragione, ancor più che di meritati applausi.
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