La Gazzetta dello Sport, in vista della finale di Monaco, ha intervistato Goran Pandev, uno degli eroi del Triplete nerazzurro di 15 anni fa.

Domani c’è la finale di Champions, da quanti giorni non si dorme in casa Inter secondo lei?
"Dunque, mi faccia fare due conti... Direi più o meno da mercoledì scorso. Il tempo proprio non ti passa perché vorresti scendere in campo subito. Giorni, ore, tutto procede troppo lentamente rispetto alla voglia di giocare e di vincere la coppa. Per la mia Inter andò così, sono sicuro che le stesse cose oggi le vivono Lautaro e compagni".

La sua Inter, l’Inter di Goran Pandev, è storia: la doppietta di Milito al Bayern nella finale del Bernabeu, la Champions riportata sulla bacheca nerazzurra 45 anni dopo l’ultima volta, il Triplete. Pandev, il figlio dell’Inter che in quella stagione trionfale ha chiuso un cerchio iniziato con lo scudetto Primavera del 2002, il 22 maggio 2010 c’era: 79 minuti a correre su e giù per la fascia come chiedeva Mourinho, poi l’attesa dalla panchina fino al fischio finale e quella coppa così bella alzata al cielo.
"Incredibile. Iniziai la stagione fuori rosa alla Lazio, e a maggio ero campione d’Europa con l’Inter, il club che mi ha portato in Italia e a cui devo tutto. Quando arrivai a gennaio capii subito che saremmo potuti arrivare in cima all’Europa: sapevamo di essere fortissimi. Sensazioni che sono cresciute fino alla finale. Mourinho ci portò a Madrid un paio di giorni prima, vennero anche le nostre famiglie, il clima era sereno, si respirava un’aria speciale. Il Bayern era una signora squadra ma io sentivo che avremmo vinto, non mi era mai successo prima e non mi è più successo dopo. Anzi, mi correggo: anche se non gioco più e non vivo lo spogliatoio dell’Inter di oggi, avverto le stesse vibrazioni positive. Domani batteranno il Psg, ne sono convintissimo".

Ci dica perché.
"Perché questa Inter ha esperienza, qualità, gioco, forza fisica, una difesa di ferro, un grande allenatore. Perché ha eliminato il Barcellona in quel modo... in semifinale, come nel 2010, sono segnali. E poi perché Lautaro ha quegli occhi lì... Gli stessi occhi di Zanetti 15 anni fa. Javier era il nostro capitano, era all’Inter da una vita, aveva vissuto gioie e delusioni e tutto questo te lo passava addosso: emanava un’elettricità particolare, proprio come Lautaro adesso. E da ex attaccante dico che lui e Thuram sono al “punto di cottura” ideale, faranno una grande finale".

La semifinale con il Barça di Messi fu la vostra svolta?
"La prima vera svolta arrivò a Stamford Bridge, 1-0 al Chelsea. Lì capimmo che saremmo potuti arrivare in fondo. Col Barcellona realizzammo che avremmo vinto la Champions. Un po’ come Simone e i suoi adesso: col Bayern lo snodo chiave, ma la spinta per battere il Psg la dà il 4-3 al Barça".

Il suo amico Inzaghi è finito nel mirino dell’Al-Hilal, pronto a offrirgli un contratto da mille e una notte, e ha estimatori in mezza Europa. Come finirà?
"Le offerte arrivano perché con l’Inter sta facendo grandissime cose, sarebbe strano il contrario. Ma conosco bene Simone, e penso che rimarrà in nerazzurro. Perché ha ancora tanto da fare e da vincere, a cominciare dal Mondiale per club che si giocherà a giugno. Ha ragione il presidente Marotta, il suo ciclo all’Inter non è ancora finito".
 

Sezione: Focus / Data: Ven 30 maggio 2025 alle 08:28 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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