Lo scudetto è a casa, la seconda stella affissa sullo stemma (e sulla facciata di Viale della Liberazione) e la festa consumata. Sarebbe stato carino, senza dubbio romantico e di certo meno concitato poter apporre qui il punto della stagione, ma l'Inter è l'Inter e così sarà nei secoli dei secoli. E sicché l'Inter possiede nel dna un'enorme dose di autolesionismo, esattamente come a Madrid con Mou e con Conte nel 2021, anche questa volta trova in un addio l'amara ciliegina con cui dover farcire la torta. Se quello di Mou fuori del Bernabeu è in qualche modo stato addolcito dai festeggiamenti dell'alba successiva, quello ai quali è stata costretta la squadra campione d'Italia questa volta è stato ed è tutt'ora un capitolo per certi versi d'ampiezza e risonanza maggiore, quasi persino più difficile e amara da mandare giù. Padre di un'impresa storica, Mou è stato una parentesi, per quanto forte e irreplicabile da un punto di vista emozionale, pur sempre durata due anni: unica e speciale anche e soprattutto per il suo conciso, concentrato, intenso ma breve decorso. Una cometa irripetibile nel vasto cielo sopra Milano che s'aggiunge alle tante costellazioni tornate visibili sotto la presidenza di Steven Zhang, il terzo presidente più vincente della storia dell'Inter, che proprio qualche ora fa ha salutato la sua Beneamata.
"Cari Interisti, gli addii non sono mai facili, soprattutto quando devi salutare qualcuno che ami. Ho sempre saputo che un giorno avrei dovuto dirvi addio. La semplice verità è che non ero pronto e probabilmente non lo sarei mai stato". Apre così la lunga lettera di saluti il giovane numero uno partito ventiquattrenne dalla lontano Nanchino, quando "non aveva assolutamente idea di cosa lo aspettasse" - per citare le sue stesse parole -, e diventato col tempo, i sacrifici, il lavoro, l'empatia, la curiosità, la forza di volontà, la passione e il sentimento crescente sino a diventare amore, 'Steven il presidente'. Un nuovo tipo di presidente, che più e più volte ha fatto parlare di sé, in bene e in male, tante volte in male. Un male che non sempre era cattiveria, molto spesso incapacità di comprendere una maniera diversa di interpretare un ruolo, o semplicemente vedere e vivere la vita. Diventato numero uno dell'Inter a soli 26 anni, il figlio dell'allora terzo imprenditore più ricco della Cina fu delegato da Zhang senior e dall'intero gruppo Suning per la gestione e presidenza dell'F.C. due anni dopo l'acquisizione delle quote di maggioranza e dopo aver salutato definitivamente Erick Thohir e ridisegnato il CdA. Con il passare del tempo, all'indomani di un risanamento finanziario cominciato dal predecessore e un iniziale sprint di assestamento gestito con rivedibili strategie, l'Inter made in China scaldò i motori fino a farli tornare ad andare ad alto giro con Spalletti ri-acquisendo posizioni nella griglia di partenza, dunque d'arrivo, per poi svoltare definitivamente con l'arrivo di Antonio Conte e l'edificazione di un'ossatura che solo nei tre anni di Simone Inzaghi, al netto di contrazioni e defezioni finanziarie, sacrifici tecnici, difficoltà e inghippi, il gruppo dal logo del leoncino dalla lontana Cina è riuscito a veder correre da primi della classe, ad alto giro e sui podi più alti. Ma sul più bello delle vittorie e dopo anni di zelante e laborioso impegno, dedizione, abnegazione e, appunto, totale metamorfosi nel numero uno degli interisti, Steven il presidente diventato Steven il tifoso e lo Steven 'uno di noi', è costretto a rinunciare; ad essere tagliato fuori da quella che in questi otto anni è diventata "una famiglia, di cui farà tesoro per il resto della sua vita".
Un epilogo di cui, a distanza di una settimana dal comunicato che minò profondamente le fondamenta di certezze e solidità della sua permanenza, si inizia a capire qualcosa soltanto adesso e di cui difficilmente nel breve si conoscerà la totalità degli scenari che ne hanno scritto il finale. E che, a prescindere da quali riflessioni si possano aprire in merito a come potesse essere evitato, apre senza dubbio una finestra sul cuore di Steven e di una parte di interisti, senza dubbio un po' meno felici dopo questo traumatico divorzio. Finestra che eclissa quasi totalmente le 'imperfezioni' mostrate in quel rivedibile comunicato di scorsa settimana quando oltre a far scattare le grandi sirene dei pensieri degli interisti sul passaggio di proprietà a Oaktree (scenario poi verificatosi), amplificò gli allarmismi dei (comprensibilmente mai sereni) figli del Biscione sulla stabilità del club a qualche ora dalla premiazione per lo scudetto (questo fortunatamente scongiurato). Uno scivolone che a posteriori di un disperato tentativo di salvare il salvabile, con lo strazio di un padre che tenta d'aggrapparsi ad un figlio che sembra scivolare via, passa in secondo piano dopo l'errata corrige con la quale si è rivolto al suo popolo nella lettera social pubblicata ieri. Popolo fatto di fratelli più che figli, esattamente come lo statuto dell'F.C. recita.
Perché d'altronde è così che Steven è stato: un presidente atipico, sceso dal gradino più alto dell'organigramma e sedutosi a fianco di management, collaboratori, giocatori, staff e persino tifosi. "I miei dirigenti, Ale e Beppe, Javier, Piero, Dario..." non a caso, per citare un altro passo dei saluti, dove Steven torna ad annullare quella distanza che simbolicamente aveva interposto tra lui e i suoi fratelli nerazzurri nel comunicato precedente, l'ultimo da presidente dell'Inter. Una distanza che ora è pesante più che mai ma solo fisicamente, perché nelle sue diverse 'slide' Instagram (in un qualunque post da persona qualunque) continua a cercare parole, come se qualunque lettera utilizzata non fosse abbastanza. Un 'abbastanza' che differentemente però potrebbe esserci, quantomeno per il bene dell'Inter. E se amore e passione per questo universo dal quale è stato esiliato sono tanto smisurati, Steven può ancora fare una differenza sufficiente a trasmettere tutta l'ampiezza di cui parla, impossibile peraltro da contenere da nove semplici pagine social: non tentare alcuna causa legale nei confronti di Oaktree evitando controversie che manderebbero l'Inter in una sorta di commissariamento devastante per il percorso di crescita che lui stesso auspica di continuare a vedere. Nella speranza che anche Steven l'imprenditore si dimostri quell'"uno di noi" di cui lui stesso parla in conclusione alla lettera e di poter ricambiare quel "per me è stato il più grande onore" con il quale ha commosso le centinaia di milioni di cuori nerazzurri che perdono un grande Presidente, ma acquistano un fratello. Un fratello che dopo essere stato 'educato' a fare il Presidente, ruolo che ha imparato ad interpretare riuscendoci anche molto bene, va adesso 'educato' da tifoso, e perciò accolto con un vecchio coro della Nord alla quale dice di voler aggiungersi: "Passeranno i giocatori, le annate, le società... ma noi siam sempre qua". Che sia propiziatore di un autentico battesimo che ci auguriamo di poter celebrare, insieme alla seconda stella con Zhang, il suo Presidente e Steven il tifoso.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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