“Nascerà qui al ristorante L'orologio, ritrovo di artisti, e sarà per sempre una squadra di grande talento. Questa notte splendida darà i colori al nostro stemma: il nero e l'azzurro sullo sfondo d'oro delle stelle. Si chiamerà Internazionale, perchè noi siamo fratelli del mondo”.

Con questo assunto da brivido il 9 marzo 1908 prese forma L'Internazionale Football Club. In un ristorante nel cuore della Milano dell'epoca, noto per il dopo teatro e ritrovo di artisti e intellettuali. Un club che ebbe come padri fondatori dei signori illuminati liberatisi da un peccato orginale chiamato Milan. Idee innovative, che sorgevano intorno ad uno stemma meraviglioso disegnato dal pittore Giorgio Muggiani. Il nero e l'azzurro, i colori del cielo e della notte a fare da sfondo ad una squadra di calcio che oltre al pallone e grazie anche al pallone, si apprestava a diffondere grandi temi, tremendamente attuali, legati alla convivenza e alla solidarietà.

Cento otto anni di vita per la società mai retrocessa in serie B. “Orgogliosi di essere gli unici”, recitava recentemente uno striscione della Curva Nord. Nonostante non a caso si chiami Internazionale e abbia tifosi in ogni parte d'Italia, il club nerazzurro incarna la milanesità. Il simbolo è il biscione visconteo, che rappresenta lo stemma della città nell'androne della stazione centrale. 9 marzo 1908 - 9 marzo 2016. Sono 108, ma non li dimostri. Buon compleanno Inter.

Tagliata la torta, stappato lo champagne e reso il giusto omaggio alla ricorrenza, passiamo al campo. Sento ancora del male fisico dopo la notte di Coppa Italia con la Juventus. Nell'editoriale pubblicato il giorno di quella partita, scrissi che mai i bianconeri si sarebbero fatti rimontare tre gol. Non era scaramanzia, speravo in un bel successo che rialzasse morale e autostima dopo la figuraccia in campionato allo Juventus Stadium, ma non credevo che, al netto della traversa di Ljaijc nel primo tempo e del palo di Zaza nella ripresa, solo un miracolo di Neto al novantesimo potesse impedire un 4-0 da leggenda e un derby della Madonnina sotto il Cupolone nella finale in programma il prossimo 21 maggio. Peccato.

Anche se quella mezza impresa ci ha restituito un'Inter finalmente coraggiosa, dimenticando la paurosa formazione votata al primo non prenderle, sapendo che prima o poi le avrebbe prese, presentata la domenica prima allo Stadium. Il Palermo è poca cosa, è vero, ma l'Inter di inizio 2016 avrebbe avuto difficoltà anche affrontando la Primavera, come ha ammesso lo stesso Mancini. Nel 3-1 ai rosanero si sono viste molte cose positive. Finalmente una veloce circolazione di palla; un esterno come Perisic che, come in Coppa Italia, ha saltato sempre l'uomo; un centravanti come Icardi che ha segnato e ha contribuito con i movimenti che da sempre gli chiede Mancini a rendere la squadra pericolosa e propositiva; Miranda e Murillo sono tornati a essere muro; Kondogbia ha confermato di essersi sbloccato e che manca poco nell'ammirare il giocatore che l'Inter sognava nel momento un cui ha deciso di spendere più di 30 milioni di euro per strapparlo al Milan in un appassionante derby di mercato.

Contro il Palermo ha dato fastidio il gol di Vasquez preso stupidamente alla fine del primo tempo, figlio forse di uno stato mentale ancora instabile, non ancora in linea con i valori della squadra. Per vincere è importante la tecnica, è importante il gioco, è importante lo stato fisico, ma è fondamentale lo stato mentale. Quello che ti deve far rimanere concentrato sino al fischio dell'arbitro, quello che ti permette di esaltare al meglio i valori di squadra. Perchè quest'Inter ha dei valori, tecnici e tattici. Altrimenti non avrebbe sfoderato la prestazione ammirata contro la Juventus in Coppa Italia. Sarà stata pure Juve B come continua a sostenere chi vuole sminuire la quasi impresa interista, ma la difesa bianconera era composta da gente come Lichtsteiner, Rugani, Bonucci e Alex Sandro. A centrocampo c'era Sturaro, idolo degli ultrà e in attacco recitavano Morata e Zaza. Per di più Allegri si era posto come obiettivo quello di qualificarsi senza perdere.

No, la verità è che loro hanno tremato, un'eliminazione contro l'Inter con modalità remuntada da raccontare ai nipotini avrebbe avuto pesanti ripercussioni anche in campionato. Ecco spiegato quel sorriso nervoso a fine partita da parte del tecnico bianconero, accompagnato dalla frase. “L'importante è che siamo in finale”. Quell'Inter vincente e coinvolgente ha stupito tutti, tifosi nerazzurri e non. Perché ha giocato come mai quest'anno, nemmeno durante la striscia vincente che aveva addirittura fatto sognare la possibilità di conquistare lo scudetto. E a dieci giornate dal termine del campionato, questa Inter deve convincersi di essere forte e di poter rosicchiare i cinque punti di distacco dalla Roma e i due dalla Fiorentina per un traguardo che si chiama terzo posto.

Nel mirino, ora, il Bologna rivalutato da Donadoni che sbarcherà al Meazza sabato sera. Non sarà facile. Ma a 108 anni, anche se ben portati, non devi aver paura di nessuno.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 09 marzo 2016 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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