Quando ripartirà il campionato? Questa sembrava ormai la domanda delle domande, alla quale ormai il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina non sapeva più in quale lingua dover rispondere, ripetendo in maniera ossessiva che riprendere il discorso da dove è stato lasciato sarebbe comunque possibile, anche provando a far ripartire la Serie A a maggio inoltrato e approfittando dello slittamento dell’Europeo all’anno prossimo per chiudere la stagione a luglio, anche con tutti gli annessi e connessi che ciò comporterebbe sul piano non solo sportivo, ma anche legale, vedi arzigogoli da trovare necessariamente per risolvere questioni come quella sui contratti in scadenza al 30 giugno o su eventuali riscatti di giocatori già fissati. Discorsi che però, di fronte al susseguirsi irrefrenabile e irreversibile degli eventi, sembrano però ora ampiamente superati. Sì, perché ora la domanda è cambiata con accezione fortemente negativa: ma ripartirà il campionato?

Esatto, adesso l’ipotesi che la serranda sulla Serie A 2019-2020 si sia definitivamente abbassata dopo la disputa del match tra Sassuolo e Brescia e che quello di Jeremie Boga sia stato l’ultimo di quest’annata calcistica non è più una chimera. Anzi, diventa sempre più largo il fronte di chi, con una punta di sano realismo, ha guardato in faccia l’arida realtà e ha capito che, forse, forzare la chiusura di questo campionato rischia di diventare qualcosa di controproducente. E abbiano voglia, gli altri, di parlare di spostamenti a data da definirsi delle varie Bundesliga, Premier League, Ligue 1, Liga, finali di Champions ed Europa League: probabilmente, nemmeno nel resto d’Europa la convinzione di poter tornare a rivedere il pallone rotolare sui campi di gioco pare basata su fondamenta così solide. Al di qua dei nostri confini, al contrario, i ‘calcioscettici’ stanno aumentando e stanno progressivamente venendo allo scoperto.

Ha iniziato Massimo Cellino, patron del Brescia, che ha parlato apertamente di campionato saltato, ha proseguito ieri il numero uno della Sampdoria Massimo Ferrero che è stato ancora più specifico cogliendo nell’essenzialità tutti i punti critici affermando a Radio Radio: "Facciamo un'ipotesi: ci danno un mese di preparazione dal 4 aprile, arriviamo al 4 maggio: dovremo fare dodici partite. Arriviamo ad agosto. Che succede col campionato successivo? E con gli Europei? Li abbiamo spostati e va bene questo modo di essere, va bene credere di ripartire, ma poi dobbiamo fare altre otto settimane di stop per gli Europei. Cominciamo a parlare del dopo, non del prima. Si deve proseguire con queste posizioni, così come stiamo. Questa è la direzione da prendere se vogliamo fare l'Europeo”. Insomma, lo spostamento della competizione continentale per nazioni, in buona sostanza, non agevola niente e nessuno, anzi la prospettiva è quella di rendere ulteriormente compresso quello che sarà il calendario nell’immediato ma anche nel futuro. Insomma, troppe complicazioni, forse insostenibili per un sistema che di pressione ne deve già sopportare fin troppa.

"C'è gente che muore, combattiamo una guerra che non si vede e parliamo di calcio? Ancora vogliamo parlare di calcio?", la chiosa che più esplicita non si può di Ferrero. Più realista del re, più capace di chiunque a sbattere in faccia a tutti quella che è una dura realtà: che senso ha parlare di calcio in questo momento così drammatico, così surreale ma purtroppo così drammaticamente reale? Ha davvero senso costringere i giocatori ad uno sforzo proporzionalmente ancora più intenso per un finale di stagione compresso, tra l’altro presumibilmente tutto a porte chiuse, per poi magari dover ricominciare pressoché subito con la nuova annata? Purtroppo, la filantropia in un caso così poco aiuta e a poco serve: si vorrebbe dire ricominciamo anche per dare ad un popolo così provato la sensazione di potersi riaffidare anche al sollievo del calcio una volta passata la tempesta, ma ancora oggi non vi è certezza alcuna di quando sarà passata la buriana Covid-19 e quello a cui stiamo assistendo è solo una sfilza di appuntamenti rinviati o cancellati, ultimo dei quali, probabilmente, il più doloroso di tutti, le Olimpiadi di Tokyo che avrebbero dovuto essere il culmine di quest’annata e per le quali invece atleti, spettatori e federazioni varie dovranno attendere ancora un anno, riportando i giochi in un anno dispari come non succedeva da tempi tanto, tanto remoti.

Il fronte del ‘chiudiamo tutto’ si allarga, ma, come prassi consolidata nel mondo del calcio italiano, non è propriamente compatto, anche se il blocco degli irriducibili che ancora sperano nel ripristino seppur a tappe forzate del campionato sembra ormai assottigliarsi sempre più. Ma la chiusura del campionato non comporta automaticamente la chiusura dei problemi che si sono presentati dopo l’esplosione di questa pandemia e del caos corrispondente. In primis, quelli sportivi: cosa ne deve essere, alla fine, di questo campionato? Con quali modalità sarà messo agli archivi? E soprattutto, quali saranno i riverberi sul futuro? Perché lo stop non stoppa tematiche aperte come l’assegnazione dell’eventuale titolo, ma soprattutto l’assegnazione dei posti per le prossime Coppe europee e il format del prossimo massimo campionato. Starà tutto nella capacità delle autorità calcistiche nel calibrare esigenze varie e una generosa dose di buon senso in un ginepraio che non prevede norme di riferimento: la Serie A a 22 non piacerebbe a nessuno e risulterebbe decisamente inopportuna visto l’Europeo, magari decretare le promozioni dalla B senza playoff farebbe storcere il naso alle squadre cadette in lotta, l’assegnazione dei posti in Europa tramite ranking chissà quanto sarebbe gradita a quei club che sarebbero penalizzati da una graduatoria bassa nella classifica Uefa. Insomma, gatte da pelare non da poco.

Poi c’è purtroppo una questione ancora più pesante, anzi la questione principale, dalla quale dipende ora più che mai la sopravvivenza e il futuro di un intero sistema: quello degli introiti. Perché è inutile nasconderlo: la situazione per l’intera economia italiana è già bella che complicata, e a maggior ragione per un settore che rappresenta la terza industria nazionale, cosa che però sembra far piacere ricordare solo quando ci si vuole fare belli, il bagno di sangue è già in atto: mancati introiti dalla biglietteria e soprattutto dalle tv sono già un problema pesante, con decise tendenze verso il catastrofico, con tante, troppe società che sentono già tremare la terra sotto i loro piedi. Ne risentirà sicuramente il calciomercato, ma prima ancora ne risentirà la salute economica delle società. Un flusso di soldi che vola via e che rischia di creare danni inenarrabili se non viene arginato. Forse bisognava ragionarci già prima, capire alle prime avvisaglie che questo sarebbe stato il tema centrale sul quale discutere e non l’eventuale disputa di una partita a porte chiuse o aperte.

I club si stanno muovendo: chiedono innanzitutto un sacrificio in termini di ingaggi ai propri giocatori, col conseguente rischio di dover risolvere anche dei conflitti interni sempre incombente. Poi preparano il tavolo per un incontro, quello di venerdì, tra Figc e Consiglio dei Ministri, nel quale provare a sviluppare questo piano di salvataggio fondamentale e dal quale magari tracciare le linee guida per un nuovo calcio: dalla revisione della legge Melandri ad una burocrazia più snella per gli stadi, fino all’eventualità di aiutare la cassa del calcio con un Totocalcio versione 3.0. La schedina tra le dita può salvare la tua vita, insomma… Venerdì, pertanto, si preannuncia una giornata a dir poco campale. Nella conferenza stampa di ieri, il premier Giuseppe Conte ha detto di auspicare l’uscita da questa situazione drammatica di un’Italia migliore: sarebbe bello se questa fiducia venisse trasmessa anche a questo mondo del calcio, che ha bisogno di allontanare tanti, troppi spettri.

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(E. Bennato – La frittata è fatta)

Sezione: Editoriale / Data: Mer 25 marzo 2020 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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