E’ stata la svolta epocale, una delle pagine sicuramente più importanti della storia dell’Inter ma anche della storia recente del calcio italiano: il 15 novembre del 2013 si consuma definitivamente il passaggio di consegne che porta in cima all’F.C. Internazionale Milano, per la prima volta nella sua ultracentenaria storia, un presidente straniero: trattasi di Erick Thohir, 44enne proveniente da Giacarta e titolare in Indonesia di un grosso impero mediatico. E’ stato lui l’uomo che ha deciso di rilevare la società dalle mani di Massimo Moratti, che ha fatto in tempo a diventare il presidente più vincente della storia nerazzurra prima di passare la mano, testimone ceduto anche in virtù del tremendo giogo del passivo di bilancio divenuto insostenibile per le casse della famiglia.
L’arrivo di Thohir viene salutato come l’inizio di una nuova epoca, con un club che finalmente può respirare e può nutrire l’aspettativa di tornare ad ambire ai piani alti, come da proclami dello stesso Thohir. Fino a questo momento, però, la realtà è stata decisamente diversa. Il nuovo capitolo del viaggio all’interno della crisi nerazzurra è dedicato alle difficoltà incontrate dalla nuova società. Ad oggi, la nuova Inter indonesiana ha dovuto barcamenarsi tra mille difficoltà ereditate dalla vecchia gestione che hanno costretto Thohir e soci a cercare soluzioni più urgenti al grosso problema del bilancio, quasi trascurando quello che è l’aspetto sportivo, quello che sicuramente preme più ai tifosi. Il tutto senza contare il fatto che i rapporti con la vecchia proprietà, al di là delle dichiarazioni di facciata, non si sono sviluppati sempre in modo idilliaco., anche per la sopra citata ragione.
Tra Massimo Moratti ed Erick Thohir, una storia raccontata anche negli ultimi giorni (leggere in modo particolare le dichiarazioni di Marco Fassone alla 'Domenica Sportiva'), la sintonia sostanzialmente c’è sempre stata, e lo stesso presidente uscente, a margine dell’assemblea dei soci di inizio ottobre, si era comunque espresso in termini più che lusinghieri nei confronti del suo successore. Anche se all’interno di questo spartito le note stonate non sono mancate. Cominciando da qualche punzecchiatura a distanza, su tutte quella di Latina dello scorso maggio, quando Moratti ha contestato apertamente le dichiarazioni di Thohir circa un’Inter “da risanare”, e arrivando per il principale ‘pomo della discordia’, ovvero il repulisti effettuato dal nuovo presidente di molti uomini all’interno della società legati a doppio filo a Moratti, dal medico sociale Franco Combi ad altri quadri.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso, però, è caduta nel giorno dell’assemblea dei soci di Milano: assemblea che, si racconta, è vissuta sul filo delle storie tese tra le nuove componenti e la ‘vecchia guardia’, per poi deflagrare al momento in cui ha preso la parola il nuovo ceo Michael Bolingbroke, che a parole ha apertamente puntato l’indice contro la vecchia gestione, ‘rea’ di aver lasciato una situazione debitoria difficilissima. Nulla oggettivamente di particolarmente eclatante o non corrispondente al vero, ma che ha urtato la sensibilità del vecchio patron che nello spazio di poche ore ha deciso di ritirare il proprio partito (lui, Angelomario, Ghelfi, Manzonetto) dal governo nerazzurro, tenendosi comunque la percentuale di proprietà. Di fatto, Erick Thohir è rimasto da quel momento solo al comando della nave Inter, nel bel mezzo di una situazione tempestosa anche e soprattutto sul piano dei risultati.
E’ una brutta gatta da pelare, quella tra le mani del mogul indonesiano, sospeso tra i risultati deludenti della formazione nerazzurra, le proteste dei tifosi specie nei confronti dell’allenatore Walter Mazzarri, e quel piano di risanamento della società che dovrà illustrare venerdì a Nyon di fronte agli alti papaveri della commissione inquirente dell’Uefa, per i quali servirà una grande opera di convincimento circa la bontà dell’operato della nuova gestione onde evitare di incappare in una sanzione ancora più pesante di quella che, probabilmente, è stata messa in preventivo dai vertici di Corso Vittorio Emanuele visti i numeri disastrosi che mal rispecchiano la logica del Fair Play Finanziario (-250 milioni di passivo nell’ultimo triennio, -80 accumulato solo nella scorsa stagione). Questo, al momento, è il primo pensiero per il presidente, che per quel che riguarda l’allenatore si lascia andare a dichiarazioni di fiducia sempre meno convinte col trascorrere del tempo, ma che inevitabilmente continua a ricordare come, almeno per qualche anno, non ci sarà ‘trippa per gatti’, spiegando che si sta lavorando in maniera radicale per consentire al club di cominciare a camminare sulle proprie gambe. E che per ottenere i primi risultati in termini sportivi bisognerà ancora stringere i denti, battendo ancora per un po' la strada del mercato low-cost. Una prospettiva che però ha lasciato buona parte dei tifosi nella delusione e del disincanto, per non dire nell’arrabbiatura.
Difficoltà che vanno ad aggiungersi a quelle che già erano insite nel lungo corollario che avrebbe prevedibilmente contornato questa operazione, vale a dire quelle logistiche. Vige ancora forte l’abitudine della presenza pressoché costante sulle tribune di Massimo Moratti, presidente ma a tratti anche padre del club, e ancora si fa fatica a digerire il fatto che un patron gestisca un club dall’altra parte del mondo, in tutti i sensi. E non basta il fatto che comunque, da quando ha assunto l’incarico, Thohir abbia intensificato la frequenza dei suoi viaggi in Italia, o continui a mantenere contatti costanti coi dirigenti in loco che fanno le sue veci rapportandosi direttamente con il gruppo (e, sempre più frequentemente, ci mettono anche la faccia davanti ai media). Ma, per dire, nessuno o quasi nell’ambiente romanista sembra fare torto a James Pallotta di rimanere tranquillo nei suoi uffici a Boston mentre il suo business calcistico è a Roma; forse perché comunque all’interno della dirigenza giallorossa c’è una presenza forte, coi vari Italo Zanzi, Mauro Baldissoni e Walter Sabatini che tengono costantemente il polso dell’ambiente, lavoro per il quale il gruppo nerazzurro si sta per così dire specializzando. E forse perché i risultati positivi arretrano nella gerarchia dei tifosi certe necessità.
Tutte queste traversie che comunque sta attraversando Thohir nel suo primo anno vero all’Inter, però, finiscono per ripercuotersi anche più del dovuto sul morale della squadra. Squadra che apprezza la presenza del presidente, i suoi modi di fare e la sua energia, ma la cui frequenza incostante alla Pinetina e dintorni ha comunque il suo peso. C’è una nuova dirigenza, composta da professionisti strappati ad altre squadre (Bolingbroke), o addirittura ad altri settori industriali (basti pensare a Claire Lewis), coinvolti nel nuovo progetto studiato per riportare l’Inter ai vertici. Ma ancora si avverte l’assenza di un uomo, tanto evocato soprattutto dai tifosi, che possa davvero fare da forte anello di congiunzione tra la dirigenza, lo staff tecnico e il gruppo. Quello che sta cercando di fare con buona volontà Piero Ausilio che però ha comunque altre faccende a cui pensare, avrebbe potuto essere nelle intenzioni Javier Zanetti, ultima traccia di rilievo del passato morattiano, confinato però ancora a un ruolo sostanzialmente marginale e con un futuro clamorosamente a tempo.
Quello della confusione all’interno della società, rigirata come un calzino negli ultimi 12 mesi ma il cui mosaico rimane ancora da comporre soprattutto per quel che riguarda l’armonia delle tonalità, è un aspetto non marginale di questo momento. Le certezze sulla guida tecnica, nonostante le dichiarazioni, sembrano affievolirsi; il gruppo stesso fatica ad avere punti di riferimento e avverte sulla propria pelle questo clima particolare; il presidente non riesce a focalizzarsi per mille motivi sulla cura della squadra, con conseguente sensazione di distacco. Fattori che compongono una nebulosa che un’Inter che vuole diventare grande deve sciogliere in fretta.
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