Protagonista di #DAZNmoments, format di DAZN Germania, Robin Gosens ha ripercorso i momenti felici e tristi della sua carriera di calciatore, ricordando anche - non senza qualche nota di rimpianto - la cavalcata in Champions League dell'Atalanta nel 2020, fermata solo dal PSG nei minuti finali del quarto di finale giocato al Da Luz: "Abbiamo mangiato il PSG nel primo tempo - ricorda con orgoglio il tedesco rivedendo le immagini di quel match storico per la Dea -. Giocavamo ogni tre giorni a 40 gradi per recuperare tante partite (causa lockdown ndr). Così abbiamo lentamente esaurito le energie dal 60esimo minuto. Verso la fine, il PSG ha messo dentro Mbappé, che non era al 100%, ma ha infuocato la fascia fornendo due assist. Siamo sopravvissuti fino al 90', poi purtroppo il sogno è finito".
La chiacchierata, poi, si sposta alla stretta attualità, in particolar modo alla sua esperienza all'Inter, cominciata senza la possibilità di scegliere il suo numero di maglia preferito, l'8: "Purtroppo ho un nuovo numero perché l'8 è sulle spalle di Vecino, un giocatore che è nel club da molto tempo. Non volevo insistere sull'averlo. Lo trovo sempre stupido arrivare in un nuovo club e chiedere subito un numero di maglia. Che tipo di relazione instauri dall'inizio? Ma siccome l'8 è il numero che mi ha accompagnato per tutta la mia carriera, volevo almeno il 18. Sono stato attratto dall'8 quando ero giocavo al Vitesse, ecco perché è lì il numero con cui ho più legame emotivo: non sono scaramantico".
Il rapporto con Gasperini.
"Gli sarò eternamente grato, all'Atalanta giocavamo sempre con un sistema offensivo che prevedeva i quinti alti. Ho segnato tanti gol semplicemente perché avevo la libertà di inserirmi sul secondo palo. È un genio quando si tratta di formare una squadra, ho imparato moltissimo da lui. Non avevamo necessariamente un rapporto di livello mondiale, soprattutto nei primi tempi. Mi disse che non aveva mai allenato un giocatore che avesse fatto tanti passi ed era migliorato così tanto. Disse anche che l'Inter era la mossa giusta in questo momento. Alla fine è stato un ottimo trasferimento, l'ho salutato con molto affetto".
Il suo esordio all'Atalanta.
"E' stato difficile, ho incontrato molte resistenze. All'inizio il tecnico non contava nemmeno su di me e non avevo la sensazione di far parte del progetto tecnico. Mi sentivo escluso, non parlavo la lingua, non capivo il sistema e non capivo nemmeno cosa volesse da me l'allenatore, ma nessuno me lo ha spiegato davvero. Ho dovuto vedermela personalmente".
La prima delusione.
"Giocavamo contro il Dortmund, in Europa League. Uscivo da una fase difficile, sono stato buttato in campo e poi incolpato della sconfitta. Qualcosa è crollato dentro di me. Dopo la partita ho chiamato mio padre e ha detto: 'Penso che il trasferimento a Bergamo sia stato un errore, dobbiamo guardarci intorno per le prossime stagioni'".
La svolta a Bergamo.
"Poco dopo la partita di Dortmund, quello che giocava al mio posto si è rotto il legamento crociato. Poi all'improvviso sono stata l'unica opzione, l'allenatore doveva farmi giocare. E da allora tutto è cambiato. Ho pensato che da quale momento in poi avrei giocato per me stesso, questo ha creato una sensazione di libertà nella mia testa e all'allenatore è piaciuto".
Il grave infortunio subito quest'anno.
"Forse questa cosa mi ha rafforzato come giocatore e come persona".
La carriera.
"La vedo come un grande viaggio, in cui conoscersi di più e ritrovarsi. Avrei potuto restare a Bergamo, ci avrei giocato sempre. Ma l'Inter è stata un'occasione unica. Ora mi trovo di nuovo ad affrontare la concorrenza di un giocatore, in questo caso Perisic, che sta facendo un'ottima stagione e ha già vinto tutto. Ma sono assolutamente convinto che questa sfida mi aiuterà in qualche modo".
L'addio a Bergamo.
"E' stata una combinazione di tante circostanze negative che mi hanno impedito di salutarla come si deve. Ho passato quattro anni e mezzo a Bergamo e devo molto al club. Lì sono diventato un giocatore della nazionale e, grazie a loro, ora gioco in uno dei migliori club del mondo. Avrei voluto salutare i tifosi, ma ho detto addio dopo quattro mesi e mezzo senza giocare neanche partita. È stato triste".
Il nuovo capitolo all'Inter.
"È pazzesco che mi sia concesso di giocare in uno dei club più grandi del mondo, soprattutto dopo un infortunio. È davvero divertente qui, l'Inter ha una grande squadra, un'incredibile voglia di vincere sempre. Ovviamente c'è anche la pressione di dover vincere ogni partita. Ma è quello che conta, questo è ciò che rende fantastico".
La vittoria nel derby d'Italia contro la Juventus.
"Te lo dico: questo successo ci porterà lo scudetto. Prima della partita dicevamo: 'Se vinciamo, saremo campioni'. Ed è così che sarà, ne sono assolutamente convinto".
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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