"Era già tutto previsto", cantava Riccardo Cocciante nel 1975. Una canzone ripresa anche dal regista premio Oscar Paolo Sorrentino, tifosissimo del Napoli, nel suo ultimo film ‘Partenhope’ che si chiude proprio con i festeggiamenti dei tifosi azzurri in città per lo scudetto numero 3. Il conto stasera, come da copione, si è aggiornato a 4 dopo la vittoria facile su un Cagliari già salvo, davanti ai 50mila fortunati che hanno potuto guardare la storia correre davanti ai loro occhi da posizione privilegiata, sugli spalti dello stadio ‘Diego Armando Maradona’. Il mito che sicuramente, da lassù, sarà stato felice che il suo Napoli sia riuscito a realizzare l’impresa di vincere due tricolori in tre stagioni, meglio che ai suoi tempi, quando - a dirla tutta - la Serie A era come la Coppa del Mondo per club (quella vera).
Se sia un prodigio o meno, come sostiene Antonio Conte, poco importa alla squadra che esce sconfitta, l’Inter di Simone Inzaghi che in campionato non è praticamente mai stata padrona del suo destino, nonostante le molteplici sliding doors che si sono spalancate per cambiare il corso delle cose durante tutto il torneo. Dall’esordio agostano col Genoa fino al 2-2 sciagurato di metà maggio con la Lazio, sono tanti i rimpianti degli ex campioni d’Italia, che nella lotta punto a punto si sono dimostrati ancora una volta fragili, come già nel 2022 nel testa a testa con il Milan. Le colpe andranno ricercate solo dopo il 31 maggio, la notte in cui Lautaro e compagni vogliono far prendere forma al pensiero stupendo di vincere la Champions League, l’obiettivo principale che ha messo in secondo piano tutti gli altri. Basta un dato per capire la differenza nell’approccio alle due competizioni: se in Italia l’Inter si è trovata a inseguire per 29 giornate su 38, in Europa è stata in svantaggio per la miseria di 16 minuti in 14 partite. Numeri che definiscono nettamente il confine tra meriti e demeriti dell’Inter, sopra il quale Conte ha marciato anche a parole nella conferenza stampa di ieri: "La mia esperienza dice che i campionati li vincono sempre le squadre che hanno meritato di più. Si parla di 38 partite, a differenza dei tornei brevi”, ha detto il tecnico salentino. Facendo pesare oltremodo il punticino in più in classifica ai rivali, già afflitti per i tanti errori commessi nel torneo domestico in cui per la gran parte degli addetti ai lavori sono i più forti. Resta dello stesso avviso anche Cesc Fabregas, ex allievo di Conte, oggi tra i più grandi ammiratori di Simone Inzaghi e della sua anarchia organizzata, che alla guida del Como ha salutato l’ultima partita con lo scudetto sul petto dei nerazzurri.
Una partita che inizia alle 20.49, con 4’ di ritardo rispetto al programma per garantire la contemporaneità con l’altro campo. Il Como, invece, gioca d’anticipo a centrocampo: il break su Correa frutta il primo tiro in porta, con Ignace Van der Brempt, domato senza problemi da Yann Sommer. Gli ospiti rispondono con un’azione da quinto a quinto: Federico Dimarco fugge sulla sinistra, guadagna il fondo e mette sul secondo palo per Matteo Darmian che a colpo sicuro non trova il gol non si sa come. Perrone e Reina salvano l’inevitabile. Dopo un avvio scoppiettante, si assiste a qualche minuto prettamente tattico, in cui emerge qua e là il talento di Nico Paz, ora con un’imbucata ora con tiro da fuori che non sortiscono alcun effetto. Ci prova anche Strefezza dal limite dell’area, con epilogo uguale a quelli sopra. Il Como non sfonda, l’Inter sì: al 20’, sbuca Stefan de Vrij che, sugli sviluppi di corner, la appoggia in rete di testa portando l’Inter momentaneamente al primo posto. Sono le 21.09. L’Inter insiste nel tentativo di trovare il raddoppio immediato invadendo letteralmente l’area avversaria, alla fine Nicola Zalewski manda a lato. Il Como si riaffaccia dalle parti di Sommer, che deve giusto tenere in presa alta un colpo di testa né potente né preciso di Anastasios Douvikas e poi osservare una conclusione di destro che soffia alta sopra la traversa del solito Nico Paz. Neanche Ivan Smolic, con un bell’inserimento sul secondo palo, può impensierire lo svizzero. Resiste lo 0-1 sul tabellone dello stadio, soprattutto grazie all’uscita provvidenziale di Reina che nega a Mahdi Taremi un tocco facile dopo una bella cavalcata di Zalewski con annesso cross solo da spingere in porta. L’Inter non trova il raddoppio e da Napoli arrivano notizie nere dopo i ‘quasi gol’ di Lukaku e compagni: rete di McTominay vista in streaming in tribuna stampa e festeggiata da mezzo stadio a Como, mentre Taremi viene sgambettato fuori area da Reina, Massa lascia correre misteriosamente salvo poi tornare sulla sua decisione su indicazione del VAR. C’è fallo per l’Inter soprattutto rosso a Reina, che fa la sua passerella finale salutato dalla standing ovation della sua gente. Prima di prendere la via degli spogliatoi, lo spagnolo lancia i suoi guantoni oltre la vetrata che divide il campo dagli spalti, guantoni raccolti da un fortunato che passava di lì per caso. Tornando alla cronaca: Como in 10 per un tempo, con Fabregas costretto a togliere Maxence Caqueret per Jean Butez.
SECONDO TEMPO -
La prima scena da annotare nella ripresa è un fallo meritevole di cartellino di giallo di De Vrij, sanzione di fronte alla quale Fabregas prova a caricare il pubblico di casa. Che poco dopo si infiamma di suo per un presunto tocco di mano in area di rigore, sui cui Massa non interviene. E’ un fuoco di paglia prima del silenzio che cala per effetto del gol di Correa. Inutile perché, praticamente in contemporanea, Lukaku mette a referto il +2 napoletano contro il Cagliari. Due a zero di qua, due a zero di là. Situazione da titoli di coda anticipati, anche dopo la girandola di cambi da una parte e dall'altra: Massimiliano Farris manda in campo Barella, Dumfries e Acerbi, che scaldano i motori in vista della finale di Monaco di Baviera, mentre Fabregas prova a smuovere i suoi inserendo Engelhardt e Cutrone, l'unico a provare qualcosa fuori dall'ordinario. Al 73' finisce la partita di Taremi, ma dalla panchina esce Marko Arnautovic e non Lautaro Martinez, che a dire il vero non si è mai nemmeno scaldato con i compagni. Il messaggio che arriva è chiaro: la testa vola altrove, come quella di Luka Topalovic, che sperimenta l'emozione di mettere piede su un campo di Serie A. Una sensazione che si mischia con l'amarezza generale del mondo Inter di aver buttato via questo scudetto. Che diventa scherno quando la curva comasca intona il coro: 'vincerete il tricolor'. La chiusura più dolorosa del campionato dell'Inter, non della stagione.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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