Prima del calciatore c'è la persona. Tutti lo sanno, ma forse qualcuno fatica a ricordarlo. Spesso si viene etichettati in modo ingeneroso, sbagliato, talvolta crudele, mettendo da parte tutto ciò che un giocatore prova nella propria testa, quello che 'abita' nella sua mente e nel suo cuore, e quello che riesce ad esprimere attraverso le parole, in tanti casi, suona come un pensiero di circostanza, con le classiche 'frasi fatte' che tanto fanno comodo al giorno d'oggi. In questo caso, no. Le sue parole sono vere, i suoi pensieri unici e le sue emozioni trascinano, trasportando, coinvolgendo e immedesimando chi lo ascolta quando ripercorre il proprio vissuto.
In questo viaggio a ritroso nel tempo FcInterNews accoglie un uomo, un grande uomo, che ha voluto l'Inter fin dal primo momento, perché "Il mio unico desiderio era quello di approdare a Milano", anteponendola a squadre blasonate quali Real Madrid e Barcellona. Ha dato tutto con questa maglia, in una società "Che per me è stata una vera e propria famiglia". Definirlo Swarovski, come qualcuno a Roma lo ha ingiustamente soprannominato, è crudele, perché dietro al suo 26, al suo viso sempre sorridente nonostante tutto, al suo mancino 'educato' e a uno stile di gioco unico in un difensore è raccolta tutta la forza di volontà, il sacrificio e la voglia di 'non mollare mai'. Quella degna di un vero, grande guerriero. Un combattente che all'inizio della scorsa stagione ha avuto la lucidità e l'intelligenza di dire stop per colpa di un piede maledetto: "Dovevo fare una scelta, ho dovuto dire 'basta' e arrendermi al destino. Non potevo continuare così".
Acciachi, problemi fisici, quindici interventi subiti in carriera, ma un unico pensiero fisso: il campo, il rientro, l'Inter e le vittorie con questa maglia. Da applausi il suo continuo 'rialzarsi e ripartire', un percorso a ostacoli in cui è riuscito a mantenere lo status da top defender in ogni anno, in ogni stagione, in ogni singola gara. Campione in campo, campione fuori. Non manca l'umiltà nelle sue dichiarazioni, con un saluto molto particolare a un pubblico che lo ha sempre sostenuto ("Voglio chiedere scusa se abbiamo sbagliato qualche partita, facciamo vedere a tutti che il tifoso nerazzurro è unico"). La sua storia è l'esempio che 'nulla è impossibile' e il percorso che va dal 6 gennaio al 22 maggio 2010 è da leggenda: 4 mesi in cui riesce a sfidare la realtà, con un inserimento nella lista Champions che all'inizio sapeva tanto di utopia ("Dissi al mister di inserirmi, quasi per scherzo"), ma che con il prosieguo della stagione diventa sempre più reale, culminato con l'indimenticabile finale di Champions League e una maglia da titolare, quella che Mourinho ("Tutti gli allenatori sono preparati, ma José con noi ha creato un rapporto unico, un profondo legame d'amicizia") gli consegna a Madrid, che è già storia.
L'uomo, il calciatore, il campione e anche il papà: questo e molto altro in questo 'viaggio' in compagnia di un eroe della storia nerazzurra. Cristian Eugen Chivu è con il popolo nerazzurro.
Arrivi all'Inter nell'estate del 2007. Come si sviluppa quella trattativa? Ricordiamo che c'erano anche Real Madrid e Barcellona che ti volevano.
"È stata un'estate molto 'calda' per me. Da quello che mi risulta ricordo che la Roma e il Real Madrid erano d'accordo su tutto e avevano firmato anche un contratto. Mancava solamente la mia firma, ma non era mia intenzione andare in Spagna. Sin dal termine della stagione 2006-2007 avevo espresso il mio unico desiderio, ovvero quello di andare all'Inter. Quindi la dirigenza giallorossa sapeva benissimo qual era la mia preferenza, ma hanno deciso ugualmente di portare avanti la trattativa con il Madrid. Hanno firmato il contratto con gli spagnoli, c'è l'accordo sulle cifre e tutto il resto, ma manca il mio sì. Successivamente sui sul giornali escono tante voci circa un danno che, secondo tutti, avevo provocato alle casse della Roma. Passo un'estate bruttissima, dovevo tornare alla Roma perché, ovviamente, avevo ancora un contratto in essere con loro, ma a Trigoria i tifosi mi insultavano. Non era un momento bello per me, la Roma non voleva trattare con l'Inter. Arrivato a quel punto mi ero messo in testa che in quella stagione avrei giocato ancora con la maglia giallorossa. Non potevo fare nulla".
La trattativa, poi, si è sbloccata.
"Esattamente. Il presidente Moratti, insieme a Branca, riesce a convincere la Roma a cedermi ed ero contentissimo. Quello di vestire la maglia dell'Inter era il mio unico desiderio. Ero felice e contentissimo, anche se le settimane precedenti non erano state molto facili per me".
La stagione 2007-2008 è la prima con la maglia dell'Inter, con un campionato terminato al fotofinish con la vittoria dello scudetto sul campo di Parma all'ultima giornata. Che ricordo hai di quella annata?
"La stagione inizia con la Supercoppa persa proprio contro la Roma, è la prima partita ufficiale della stagione. Dopo quella sconfitta non mi sento tanto bene, ma sono ugualmente convinto della scelta fatta: ritenevo ancora l'Inter la squadra migliore, quella più forte e con le ambizioni maggiori. Ero convinto che quello nerazzurro sarebbe stato il club che mi avrebbe dato la possibilità di vincere lo scudetto. Nonostante tutto la stagione è, comunque, molto difficile. La Roma è una grande avversaria che ci ha messo parecchie volte in difficoltà, è stata vicino a noi per gran parte del campionato, sin dall'inizio. Avremmo potuto chiudere alla penultima giornata contro il Siena, ma è stata la trasferta di Parma quella che ci ha permesso di vincere il campionato. Per fortuna è andata bene".
Vittoria finale, ma con qualche acciacco fisico...
"Mi lusso la spalla, l'Inter mi impedisce di operarmi rimandando l'intervento al termine della stagione. Quindi è stata un'annata particolare, soffrivo di parecchie ricadute perché la spalla usciva spesso, ma andando avanti riesco comunque a controllarla e a non sentire dolore. La mettevo dentro e giocavo così! (Ride, ndr)".
Prima stagione culminata con lo scudetto di Parma. Al contrario, come nelle annate precedenti, l'Inter si conferma 'zoppicante' in Europa, con l'eliminazione contro il Liverpool prima e con il Manchester United poi. Secondo te cosa mancava? Qual era la grande differenza tra quelle squadre e quella che Mourinho conquista successivamente il Triplete?
"La Champions League è un campionato a parte, ci vuole un po' di tutto per arrivare in fondo, come una buona dose di fortuna. In UCL si trovano le migliori squadre d'Europa, mentre nei gironi qualche ostacolo semplice può capitare. Diciamo che due squadre su quattro sono molto abbordabili e con loro te la puoi giocare, ma dai quarti di finale in poi diventa molto più difficile, perché il livello è molto alto e c'è molto equilibrio. Bisogna sempre prestare molta attenzione alle due partite ad eliminazione, ma senza fortuna è dura andare avanti. Occorre esperienza, mentalità e approccio perfetto, poi il campionato italiano era, oggi un po' meno, un torneo particolarmente difficile e tutte le partite vanno affrontate con la massima concentrazione, indipendentemente dal nome. Se non vai al 100% diventa dura affrontare chiunque, anche la squadra che trovi in campionato nel turno precedente alla sfida di Champions. Le energie, sia a livello mentale che fisico, vengono a mancare ed è difficile affrontare al mercoledì una squadra importante. Abbiamo faticato sia con Mancini nel 2007-2008 che con Mourinho l'anno successivo, però quello era un gruppo già molto forte. José ha capito cosa mancava".
Nessuno può dimenticare la conferenza stampa post Inter-Liverpool in cui Mancini dichiara apertamente che quelli successivi sarebbero stati gli ultimi mesi sulla panchina nerazzurra. Per quale motivo il mister ha preso quella decisione?
"Non saprei, sono questioni interne e non so esattamente quello che era successo. Non ne ho la minima idea, sarebbe giusto chiederlo a Mancini stesso. Alla fine abbiamo comunque vinto lo scudetto, abbiamo perso la finale di Coppa Italia contro la Roma, ma rimandendo sempre in partita e colpendo anche un palo con Burdisso al 90' sul 2-1. Avremmo potuto vincere anche la Coppa. Poi sono andato all'Europeo e ho appreso che Mancini era stato esonerato. Nel calcio le cose cambiano, quello che è successo lo conoscono sicuramente meglio di me il mister e il presidente Moratti".
Via Mancini, ecco Mourinho. Perché il portoghese è Special?
"Non parlo mai degli allenatori considerando idee tattiche e metodi di allenamento, perché a certi livelli tutti sono preparati al massimo. Ciò che fa la differenza è il lato umano: Mourinho riusciva a trasmettere ai giocatori tutta la sua sicurezza, e poi con noi aveva instaurato un rapporto d'amicizia. Certo, anche il suo carisma e la sua intelligenza lo hanno aiutato e lo aiutano molto anche oggi, ma lui è il massimo nell'avvicinare il giocatore al tecnico, e viceversa. Mou è uno dei pochi tecnici che fa la differenza, è una persona onesta, dice le cose come stanno sempre in faccia e questo dai calciatori è apprezzato tantissimo. Mantiene sempre la parola, se promette una cosa è perché è in grado di dartela. Una persona così viene apprezzata molto di più, nel rapporto giocatore-allenatore tutto diventa più semplice".
La stagione del Triplete, con lo Special One in panchina, per te è molto particolare. Per due motivi. Certamente per le vittorie che rendono storica quell'annata, ma soprattutto per il rientro in campo dopo il brutto infortunio che subisci in Chievo Verona-Inter del 6 gennaio 2010. Se dovessi mettere davanti ai tuoi occhi la fotografia dello scontro con Pellissier cosa ti viene in mente, considerando che nella finale di Madrid sei poi sceso in campo dal primo minuto? Avresti mai immaginato un epilogo del genere?
"No, sinceramente no. Ricordando quello scontro mi viene in mente che sono un deficiente (ride, ndr), perché non capisco il motivo che mi ha portato ad essere in quel momento in quella zona del campo, forse è stato per il troppo entusiasmo. Non avrei dovuto essere davanti all'area di rigore, ma ho saltato in quel modo perché non volevo commettere fallo e subire una punizione pericolosa. La scelta mi è costata molto cara, ho fatto una cosa da giocatore amatoriale".
Non pensi che quello che sei riuscito a fare sia qualcosa di straordinario? Hai 'sposato' il miracolo sportivo, con la conquista del Triplete, e quello umano.
"Il mio primo pensiero post-intervento, dopo aver constatato la possibilità di muovere le gambe, è andato subito ai tempi di recupero. Non avevo la sicurezza di poter recuperare e le tempistiche, da quanto mi avevano detto, erana molto lunghe. C'era un grande 'punto interrogativo', è stato un momento molto particolare, ma il mondo del calcio in generale mi ha fatto sentire la propria vicinanza. Ho ricevuto tantissimi attestati d'affetto e tutto questo rappresentava un ulteriore motivo per riprendere a giocare, anche se non sapevo se il mio desiderio si sarebbe mai avverato, o meno. I miei compagni mi sono sempre stati vicini, Mourinho non mi ha mai messo pressione in tutto il mese di gennaio".
Poi è arrivato il tempo della lista Champions...
"Esatto. Nessuna pressione da parte del mister, fino al giorno 29 quando mi ha chiamato nel suo ufficio per domandarmi se me la sentissi o meno di essere inserito in lista (ride, ndr). Era una risposta che non potevo dare in quel momento, perché tutto dipendeva dalla volontà dei medici che dovevo rispettare, ma in quel periodo dovevo stare fermo ancora un mese prima di poter iniziare nuovamente a correre. Quasi per scherzo avevo detto che in due mesi sarei stato pronto, allora José mi ha risposto che mi avrebbe inserito nella lista. Io ho detto 'Sì, mettimi pure in lista'. Questo è successo (ride, ndr). Ho mantenuto la parola. Sono stati momenti difficili per me, e non avendo in campo dei punti di riferimento soffrivo di nausea, vertigini e sapevo per quale motivo non riuscivo ad 'andare'. La forza di volontà, la grinta, il sacrificio e la promessa che mi ero fatto, quella di tornare a giocare a certi livelli, mi hanno dato la spinta per lavorare sodo e rientrare. A volte anche negando alcuni consigli medici, ma sono stato fortunato. Non è stato facile (si nota una certa emozione nelle parole di Cristian, ndr). Quando colpivo di testa avevo una paura tremenda, ma piano piano le cose sono migliorate. Il cervello iniziava a lavorare e tutto è poi andato per il meglio, anche se, quando mi hanno spiegato inizialmente tutti i dettagli medici, ero spaventato".
L'epilogo è stato indimenticabile.
"Sì, tutto si è chiuso con la vittoria della Coppa Italia, del campionato e della Champions League, con un finale di stagione abbastanza decente da parte mia, considerando le condizioni in cui mi ero ritrovato a gennaio".
Pensando a questo percorso personale, dal brutto infortunio di Verona alla maglia da titolare contro il Bayern Monaco il 22 maggio, non senti di riservare a te stesso un grosso applauso? È stata la vittoria più importante di tutte, probabilmente.
"Avevo due opzioni a gennaio: smettere o tornare e continuare a giocare. Ho scelto la seconda perché ho sempre amato il calcio, e lo amo anche oggi che ho smesso. Era l'unica cosa che sapevo fare e volevo continuare, considerando che all'epoca avevo 29 anni. Ero nel pieno della maturità per continuare a giocare e vincere dei trofei. Certo, non è stato semplice, ma la decisione che ho preso all'ospedale di Verona, quando mi hanno comunicato l'eventualità di smettere, è stata quella giusta. Non me la sono sentita di dire 'Sì, smetto'. Pensavo che avrei valutato man mano il mio recupero, mese dopo mese, e per forutna è andata bene. Non posso descrivere l'emozione che ho provato dopo la finale di Madrid, non solo per aver alzato al cielo la Champions League, ma soprattutto perché ero tornato a giocare ad alti livelli. Per me è stato un traguardo indimenticabile (Chivu si emoziona, ndr)".
Ricordi unici.
"Tre mesi prima non sapevo se mai sarei tornato a giocare. La mia emozione era grandissima, e trovarmi in uno stadio con i tifosi interisti che piangevano di gioia e poter condividere con loro un momento del genere era il massimo. Qualche mese prima mi trovavo in una sala operatoria, senza sapere se avrei mai potuto in futuro tornare a camminare, a parlare o semplicemente a giocare con i miei figli. Emozioni, tante, che non dimenticherò mai. È stato tutto bellissimo".
A chi è riservato il 'grazie' più grande?
"In primis devo dire 'grazie' al reparto di neurochirurgia dell'ospedale di Verona che mi ha salvato la vita. Poi anche al professor Broggi e all'ospedale di Milano che mi hanno dato l'opportunità di giocare di nuovo a pallone. Sono stati due gli interventi alla testa, il primo a Verona e il secondo a Milano, e ho fatto tutto questo per tornare a giocare a calcio. Avevano lasciato una parte aperta nel cervello, se mai ci fosse stato il bisogno di intervenire nuovamente, ma questo mi impediva di tornare in campo, e quindi è stata necessario un'ulteriore operazione. Tutto è stato fatto in 'silenzio', per evitare che qualche giornalista potesse scrivere che quello di Verona era stato un intervento sbagliato. No, a Verona mi hanno salvato la vita e hanno regalato a Cristian Chivu la possibilità di tornare in campo".
Inter-Siena 4-3. Partita indimenticabile, proprio come lo striscione che i tuoi compagni ti hanno dedicato in quella gara: "Torna presto Cris". Probabilmente questo è il simbolo di quel gruppo, della forza e dell'amicizia che vi ha unito in quella stagione. Anche questa è stato un aspetto decisivo per l'epilogo dell'annata?
"Sì, ovviamente. Penso che la forza di una squadra consista proprio nel gruppo, questo è molto importante. Non importa se i giocatori, fuori dal campo, possano o non possano stare insieme, ma la cosa che conta è l'unione all'interno del campo. Per fortuna non avevo visto quel match, e non volevo vederlo. I medici mi avevano impedito di provare certe emozioni, soprattutto in quel momento. Per tanti giorni non ho avuto il telefono cellulare e la televisione, non avendo la possibilità di guardare le gare. Poi sono venuto a conoscenza di questo gesto e mi aveva fatto tantissimo piacere: facevo ancora parte di quel gruppo e avevo tantissima voglia di tornare a farne parte. Anche in campo".
Dopo la guarigione, ecco il Triplete. Senza entrare nel dettaglio delle partite più importanti, secondo te qual è stato il momento in cui avete capito che quella sarebbe stata una stagione leggendaria? Scontato dire la vittoria di Kiev?
"Mia moglie aveva detto una cosa a gennaio che si è poi rivelata premonitrice: 'Dopo tutti i sacrifici che avete fatto quest'anno vincerete la Champions', e aveva ragione. È una cosa che ci siamo detti in ospedale a Verona, sapendo che avremmo poi dovuto affrontare una doppia sfida contro una squadra forte come il Chelsea. Andando avanti le partite diventano sempre più difficile, in campionato poi la Roma si è avvicinata e poi il finale di stagione diventa anche complicato, vedendo anche il calendario che avevano i giallorossi. Provi a giocartele tutte, poi la Roma perde contro la Sampdoria, vai di nuovo in testa, vinci la finale di Coppa Italia e capisci che tutto è nelle mani. Eliminiamo il Barcellona, avendo poi la possibilità di giocare la finale contro il Bayern Monaco. Credo, però, che la vera 'finalissima' sia stata quella contro gli spagnoli".
L'Inter era nettamente più forte del Bayern Monaco, non trovi?
"Certo, la vera finale è stata quella contro il Barça. Ovviamente, una finale è sempre una finale ed è un match particolare, con emozioni e motivazioni uniche, ma quella contro i blaugrana è stata la partita fondamentale della stagione. Avevamo tutto nelle nostre mani, non avevamo il tempo di pensare, dopo il fischio finale di Madrid pensi che hai vinto la Champions, ma non ti rendi conto immediatamente che hai fatto la storia dell'Inter conquistando il Triplete. Tutte le partite sono state giocate al massimo, non c'era il tempo per pensare e realizzare, ma questo è stato un vantaggio per noi".
Dopo il Triplete ha avuto inizio un momento particolare, ricco di difficoltà, con tanti allenatori e poche vittorie. Secondo te quale è stato l'errore principale che ha portato a queste stagioni difficili, praticamente fino all'esonero di Mazzarri nelle ultime settimane?
"Credo che sia difficile stilare un'analisi del genere, perché sono successe delle cose che non avrebbero dovuto verificarsi. Una stagione come quella con Mourinho deve portare tanto entusiasmo, energia e rinnovate motivazioni, ma i risultati non sono stati quelli che tutti si attendevano. Ci può stare un calo, considerando il cambio-allenatore, ma siamo comunque riusciti a vincere la Supercoppa italiana, il Mondiale per Club e la Coppa Italia. Ripeto, difficile spiegare il post-Triplete. Anzi, ci sarebbero delle cose da dire e da spiegare, ma non posso farlo io".
Il 'viaggio' si conclude con l'addio all'Inter e al calcio giocato, con un piede che si rivela perennemente tuo nemico. Puoi far chiarezza circa quel momento, considerando che, forse, non tutti sanno perfettamente come sono andate le cose?
"È stato un mio sbaglio, probabilmente. Nel ritiro di Pinzolo con Stramaccioni allenatore ho cominciato ad avvertire forte dolore alla fascia plantare, ma una decisione che avevo preso con il mister mi aveva portato a non fermarmi: avrei avuto l'occasione di giocare come difensore centrale (ride, ndr), e quindi ho continuato a scendere in campo, ad allenarmi e a condividere con quel dolore. Poi abbiamo iniziato la stagione ed è arrivata la gara di Europa League a Spalato, e io soffrivo di un forte dolore alla pianta del piede. Il mio desiderio di giocare era talmente alto che ho chiesto al medico di farmi scendere in campo lo stesso, perché volevo giocare come centrale di difesa. Gli ho chiesto di farmi una 'punturina' di anestetico, proprio nel punto dove sentivo dolore. Durante il match ho spinto per anticipare la punta e ho sentito qualcosa di strano nel mio piede, ma la puntura stava facendo effetto e non avvertivo alcun problema. Guardando in basso, però, ho visto il mio dito fuori posto. Era una lussazione, insomma. Uscendo, il dito aveva strappato la fascia plantare sottostante. Decidiamo allora di effettuare il primo intervento per sistemare tutto, per chiudere bene la capsula, ma l'usura era in fase avanzata e tutto il mio percorso mi ha portato a questo tipo di infortunio. Pensa che per gran parte della mia carriera ho utilizzato un numero di scarpa inferiore rispetto al mio abituale. La fascia plantare non teneva più ed essendo poco vascolarizzata non riusciva più a chiudersi, e avevo sempre questo tipo di fastidio che mi impediva di esprimermi al 100% delle mie possibilità. Ho provato un altro intervento, per un totale di quattro: volevo giocare, comunque".
Ascoltando la tua storia stona il soprannome che ti fu affidato a Roma (Swarovski, ndr). Assomigli più a un guerriero.
"Diciamo che quindici interventi subiti, partendo sempre da zero per ricominciare a giocare spiegano molto. Swaroski... va beh! (Ride, ndr). La mia testa funzionava alla grande, il mio desiderio di giocare era immenso e sono stato capace di dimenticare in fretta tutti i problemi fisici che mi hanno colpito, calpesando e superando ogni ostacolo che si è presentato da me. Anche con Stramaccioni ho convissuto con problemi, punture e dolori, anche zoppicando. Non posso negare la mia forza di volontà, il mio voler tornare a giocare il più velocemente possibile, ma alla fine ho dovuto dire stop e arrendermi al destino".
Ricordiamo l'operazione di Miami e il recupero post intervento che non è andato per il meglio. È stato quello il momento in cui hai sentito il bisogno, la necessità, di dire stop?
"Sì, avevo capito durante la preparazione con Mazzarri che le cose non stavano andando bene. Necessitavo di un nuovo intervento e avevo bisogno di garanzie da parte dello staff medico circa il mio rientro in campo. Garanzie che non erano tali al 100%. Ho deciso di provare, ma una volta che ho iniziato la riabilitazione e la preparazione capisco che era giunto il momento di una scelta importante: quel problema al piede avrebbe potuto rovinare la mia vita, la mia quotidianità, perché continuando a giocare sarei andato incontro causare dei danni molto importanti al piede, mentre dall'altra parte avevo l'opzione di un'operazione che mi avrebbe poi consentito di vivere in modo normale, ma senza il calcio. Ho dovuto arrendermi, ma ho preso questa scelta per me e per la mia famiglia. Non mi pento della decisione presa, assolutamente. Ho provato in tutti i modi. A gennaio, dopo una visita in America che aveva confermato il mio 'addio' al calcio, mi presento in società per comunicare la mia decisione di lasciare il calcio giocato: 'Chiudiamo tutto, vi ringrazio. Per rispetto vostro, del calcio e dei tifosi, oltre che per me. Dobbiamo chiudere qui'".
A marzo, in accordo con la società, comunichi la rescissione consensuale del contratto. In sette stagioni con la maglia dell'Inter l'Inter il 'bottino' recita: 169 presenze e 3 gol, tre scudetti, due Coppe Italia, due Supercoppe italiane, una Champions League e un Mondiale per club. In totale, in carriera, 491 presenze e 27 realizzazioni. Se dovessi spiegare con una frase la tua avventura con la maglia nerazzurra, come la riassumeresti?
"Ci vorrebbero tantissime righe per spiegare quello che ho passato con l'Inter. È stata un'esperienza indimenticabile, fantastica e meravigliosa. Quella dell'Inter è stata ed è una vera e propria famiglia, con tantissimi amici e colleghi spettacolari. Il presidente Moratti è una persona eccezionale, i tifosi sono stati perfetti, hanno avuto la possibilità di vivere un sogno che ho avuto l'onore di condividere con loro. Inter vuol dire esperienza storica e indimenticabile. Bella, bellissima. Anzi, ancora di più!".
Considerando l'attualità, da pochi giorni è ufficiale l'arrivo di Silvinho all'Inter per ricoprire il ruolo di vice-allenatore di Mancini, e tra i tanti nomi ipotizzati nelle ultime settimane non è mancato anche il tuo. C'è mai stato qualche contatto con la società?
"No, assolutamente. Non c'è stato alcun contatto con l'Inter. Ho sentito anche io queste voci, ma non sono mai stato contattato da nessuno del club".
I tre compagni e i tre avversari più forti di sempre.
"È una bella domanda, ma ho paura di dimenticare qualcuno! In tanti anni di carriera ho avuto la fortuna di affrontare giocatori straordinari e di condividere la stessa avventura con compagni meravigliosi. Se dovessi citarne tre dico: Ronaldo al primo posto perché è il numero uno, seguito da van Nistelrooij e Shevchenko, uno che mi ha fatto una 'testa così'. Per quanto riguarda i miei compagni, preferisco non stilare una classifica, ma vorrei metterli tutti a pari merito: Totti, Ibrahimovic e Sneijder".
Qual è la tua idea circa l'Inter attuale? Dopo il cambio-coach con l'esonero di Mazzarri e il ritorno di Mancini, dove può arrivare questa squadra?
"È difficile dire dove potrà arrivare. Credo che il momento attuale sia un punto di partenza, c'è tanta strada da fare, tanta salita. Questo, però, può essere un punto a favore per la crescita della squadra. Secondo me il Mancio è l'uomo giusto per ripartire, ha già avuto modo di allenare a Milano riuscendo a ottenere grandi successi. Certo, ci vuole tempo, pazienza e qualità nel lavoro per tornare grandi, perché non si può tornare al top nel giro di un giorno. C'è bisogno di continuità nei risultati che danno sicurezza. Oggi manca la fiducia, ma credo che la squadra sia valida, con un mister di esperienza e giovani di talento. Mancini ha il tempo per lavorare con tranquillità, per capire dove intervenire per alzare il livello del gruppo. Ci vuole pazienza. Il campionato è ancora lungo. Come ho già detto, occorrerà trovare continuità di risultati, ma riusciremo a toglierci delle soddisfazioni. Ne sono certo".
Hai di fronte tutti i tifosi nerazzurri che ti hanno sempre amato. Che saluto vuoi mandar loro?
"Ho già avuto modo di salutarli e di ringraziarli per il grande affetto che mi hanno sempre dimostrato, ma lo faccio nuovamente. Voglio dire che ho grande stima nei loro confronti, li ringrazio ancora una volta. Nel mio periodo all'Inter hanno dato un grandissimo contributo alla squadra, ci sono sempre stati vicini in modo meravigliose. Sempre, ogni giorno. Voglio chiedere scusa se abbiamo sbagliato qualche partita, ma insieme ci siamo tolti delle grandi soddisfazioni, arrivando fino alla finale di Madrid. Auguro ai miei tifosi di vivere nuovamente certe vittorie, e colgo l'occasione per incitarli nello stare sempre vicino alla squadra in ogni momento. Facciamo vedere a tutti che il tifoso nerazzurro è unico".
Autore: Francesco Fontana / Twitter: @fontafrancesco1
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- 10:45 Corsera - Abbonamenti Inter e Milan, respinte centinaia di richieste di rinnovo di tifosi "non graditi": il punto
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- 10:00 TS - Il piano per Leoni (o De Winter). E per il trequartista occhio a Enciso
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- 09:00 GdS - Inter, ma quale rivoluzione? Il finale amaro non cambia i piani: restano i big. Scenario rischioso per tre motivi, ma c'è la convinzione che...
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- 08:00 Bonanni: "La questione Calhanoglu può rientrare. Se andrà via, sarà alle condizioni dell'Inter"
- 00:00 Guardare avanti senza rimpianti. La ripartenza nerazzurra ha alcuni punti fermi
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- 23:30 Il monito di Abodi: "Euro2032, tra aprile e maggio 2027 dovranno partire i cantieri"
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- 23:10 La Nazionale femminile perde contro la Spagna (1-3), ma si qualifica ai quarti degli Europei