Non è stata esattamente una vittoria esaltante e tanto meno rassicurante quella ottenuta dall’Inter a Frosinone. Ci sono però due modi di leggere quello che è accaduto. La prima versione è legata alla stretta realtà del campo: i laziali avevano ottenuto 22 dei loro 27 punti proprio al Matusa. Una squadra motivata dalla disperazione del penultimo posto e che aveva fatto penare altre come Juventus e Fiorentina, ma che era ragionevolmente alla portata dell’Inter. Nel primo tempo quattro occasioni, di cui una davvero clamorosa al 40esimo, poi il secondo tempo che, se non si fosse risolto con il colpo di testa di Icardi, sarebbe stato definito desolante.  

Non sarà l’ultima volta che rivedremo la squadra giocare in questo modo. Non dipende solo dalle disposizioni tattiche e dai continui cambi di formazione ma da una modulazione di frequenza perennemente disturbata negli interpreti in campo. I dati statistici più evidenti e, insieme, mortificanti, della gara sono la perfetta rappresentazione del modello di giocatori che fanno parte dell’attuale rosa. Col Frosinone infatti, come in quasi tutte le partite di questo campionato, l’Inter ha perso la bellezza di 51 palloni. Potrebbe starci se si praticasse un gioco intenso, fatto di ritmo e giocate in verticale, con idee interessanti. La questione però è che tutti questi errori sono dannatamente imperdonabili perché sono frutto di disattenzione e scarsa concentrazione piuttosto che di pochezza tecnica. Non si contano i passaggi sbagliati e, fatto davvero irritante, la quasi totale assenza di movimento senza palla, come se i giocatori fossero stanchi per una stagione logorante (senza coppe). L’altro dato mortificante è il numero di palloni recuperati: solo 7 contro i 20 dei frusinati, complice l’assenza di Medel e Kondogbia.

Aggiungiamo anche l’incredibile numero di tiri (12) fuori dallo specchio della porta. Chi ha visto la partita sa che le condizioni per centrare lo specchio erano estremamente favorevoli e, nonostante questo, molti tentativi sono andati fuori di metri, pur senza una marcatura asfissiante. L’ultimo elemento urticante viene dai calci da fermo a favore e contro. Quelli a disposizione sono stati battuti con la consueta modestia o, peggio, sufficienza (incredibile che in serie A si sbagli a ripetizione la misura di un calcio da fermo da mettere in area in condizioni favorevoli). I calci da fermo contro sono stati un brivido costante, nonostante la superiorità numerica negli ultimi minuti, senza contare i due pali (il terzo lo ha solo sfiorato) che avrebbero cambiato la sorte del match. Insomma è andata anche bene ma spesso è andata anche male ben oltre i demeriti della squadra. Perché i tifosi interisti (me compreso) sono bravissimi ad auto affliggersi demolendo tutto quello che riguarda la squadra, specie in questi anni. 

La seconda versione è infatti questa: l’Inter ha regalato punti su punti quasi a tutti, in modo ambiguo e ogni tanto ha subito anche qualche danno. La scorsa settimana eravamo tutti talmente innervositi dal podismo amatoriale della squadra col Torino, che nessuno ha fatto notare (ancora meno l’opinione pubblica) che il rigore granata non c’era e l’espulsione ancora meno. Una svista costata la sconfitta in casa. L’ambiente però era talmente demoralizzato da ritenere nichilisticamente superfluo risultato e danno. Tutti pronti invece a saltare su quando l’Inter ottiene più di quanto merita. Su questo la personale riflessione riguarda un metro di giudizio isterico che in questi anni ha contagiato anche la fragile dirigenza nerazzurra, allenatori compresi.

Mancini ha fatto professione di umiltà assegnandosi l’insufficienza per questa stagione. Sapevo già che non era Napoleone ma credo che la debolezza dell’Inter di questi anni provenga anche da una innaturale assenza di autostima e fermezza societaria. I tifosi hanno il diritto di deprimersi, la società ha il dovere di ascoltare e proseguire. Qui si sentono ancora voci consistenti di soci cinesi in arrivo, di un Thohir in dismissione, di un Moratti ancora importante in questa eterna fase di transizione. Questo porta a dare agli allenatori un carico di responsabilità eccessivo e a decentrare le responsabilità ottenendo solo di rimandare il problema. La prova provata viene dal Milan che vive una situazione simile. 

L’Inter oggi non è dove vorrebbe e potrebbe essere, perciò si usa disinvoltamente la parola "fallimento”. Se lo dicono stampa e tifosi va bene ma se è la società che si fa condizionare e cambia vorticosamente non va bene. Oggi la squadra è più forte, ha giocatori e una classifica migliore rispetto alle ultime stagioni. Si dovrebbe ripartire da questo ma non è quello che sta accadendo. È tutto troppo confuso e, senza il criticatissimo Mancini, ancora oggi nel 2016, non c’è un punto di riferimento societario forte, davvero forte. L’Inter tornerà a fare qualcosa di importante quando la società sarà definita, l’allenatore lo stesso per anni e i giocatori più forti e con maggiore personalità (che oggi non c’è) resteranno.

Amala

Sezione: Editoriale / Data: Dom 10 aprile 2016 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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