"Per me sarà una partita come tutte le altre perché io sono abituato a vivere intensamente tutto ciò che faccio e lo vivo in diretta. Anch'io sono curioso di vedere che reazione avrò quando sarò a San Siro. Ogni cosa che faccio la vivo con sentimento e le faccio seriamente". Così Luciano Spalletti, oggi allenatore del Napoli, ma solo dopo due anni sabbatici dopo aver riportato l'Inter 'a riveder le stelle', ha risposto in conferenza stampa alla vigilia del suo came back a San Siro. Lì dove l'ultima volta che l'allenatore di Certaldo si dimenava in panchina la sua squadra aveva ri-conquistato un palcoscenico sul quale non saliva da ben sei anni.

Inter-Empoli, ultima giornata di Serie A, con i nerazzurri ad un passo dall''ops, did it again' che significava il saluto all'Europa che conta e un mancato obiettivo che Spalletti, al contrario, è riuscito ancora a centrare, tornando 'lì dove l'Inter dovrebbe stare' (per citare lo stesso Luciano). Da quel giorno, passarono giusto pochi giorni, poi l'ufficialità delle 6.00 del 31 maggio che annunciava Antonio Conte come nuovo allenatore alla guida della Beneamata. Non se ne parlò più: nessuna frase, nessuna dichiarazione scomoda, tantomeno spiegazione - come avrebbe voluto -. Solo un "Non è vero che spesso sono stato l'unico a metterci la faccia, perché voi ci siete sempre stati! Tifosi forti.....destini forti. Grazie delle 2.530.311 emozioni...." e un "Grazie Presidente per avermi concesso l'onore di allenare l'Inter". Nient'altro. Solamente un no al Milan e un semplice 'resto nella mia tenuta ad occuparmi di ulivi e viti' di principio, come ogni uomo d'orgoglio fa. Perché Spalletti è fatto così: uomini forti, destini forti; uomini deboli, destini deboli. Anche a patto di dover accettare lo schiavismo di un personaggio che lo ha visto, più volte, come 'l'allenatore ammazza capitani'. Mai frase fu più correttamente errata. All'Inter, come probabilmente a Roma, l'ammazza capitani ha solo vestito i panni del cattivo di turno per il bene permanente. "Per il bene dell'Inter" - era solito dire, e per il bene dell'Inter metterci la faccia è stato il leit-motiv dell'era spallettiana, al quale gli si deve - non a caso - il bene dell'Inter di oggi. Di Inzaghi e di Conte.

"Spero che non mi fischino e queste cose qui? Per me la gente può fare ciò che vuole. Ho preso fischi e insulti da tante parti. Ma io guardo il mio lavoro, non quello degli altri". Eppure se qualche fischio arrivasse, senza dirlo, il Luciano che rimetterà piede nella Scala del Calcio male - per ovvi motivi - un po' male ci rimarrebbe. Il motivo è persino ingenuamente dichiarato in quel "l'esperienza all'Inter mi ha dato tanto e voglio ringraziare i tifosi, a prescindere dal trattamento che mi riserveranno".

"Non saranno 2.530.311 emozioni questa sera al Meazza, dove il Covid ne ha dimezzato la capienza rispetto all'ultimo Inter-Napoli andato in scena, ultimo match in assoluto al Meazza prima del lockdown, quando Fabian Ruiz aveva praticamente sbarrato la strada alla squadra di Antonio Conte in Coppa Italia. Uno a zero per gli azzurri di Gattuso che poi quel Trofeo lo hanno sollevato contro la Juventus di Maurizio Sarri, che ieri contro la Juventus ma di Max Allegri ha perso 2-0 all'Olimpico, recuperando altri tre punti alle due compagini questa sera in campo. Una vita in mezzo e uno scenario capovolto: i partenopei primi della classe (di Spalletti) a +7 dai campioni d'Italia (di Inzaghi) che fino a questo momento non ha ancora vinto uno scontro diretto. Pari con Juventus, Atalanta e Milan (ultima affrontata), tutte pareggiate per causa di un rigore (concesso o sbagliato che fosse), sintomo di qualcosa che l'ex allenatore biancoceleste ha l'obbligo di rivedere. 'Nel bene' di un Inter che oggi è Inzaghi ad avere obbligo e diritto di riportare a 'rigoder' delle stelle che oggi sono tutte nelle sue mani, con gratitudine di chi quelle stelle ti ha riportato a rivederle.

 
Sezione: Editoriale / Data: Dom 21 novembre 2021 alle 00:30
Autore: Egle Patanè
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