‘Thohireide’. A leggere questo soprannome un sorriso è giunto spontaneo: perché alla fin fine la storia di questo approdo dall’Indonesia verso la Milano interista di Erick Thohir, del quale ormai si è detto di tutto e di più in questi mesi, si sta rivelando più lunga e intricata di un poema epico. Che tra annunci, proclami, dichiarazioni, rischi di rotture sfiorati, pare essere vicino al capitolo conclusivo, quello delle firme e dell’insediamento di Thohir e dei suoi soci nel Consiglio d’Amministrazione nerazzurro. La data cerchiata in rosso è quella del 28 ottobre, giorno della convocazione in seconda battuta dell’assemblea dei soci (anche se il signing dovrebbe arrivare prima): alla vigilia dell’anticipo del turno infrasettimanale contro l’Atalanta, l’Inter dovrebbe finalmente aprire le porte alla sua nuova era, i nuovi proprietari finalmente si materializzeranno e l’attesa spasmodica dei tifosi finirà.
Intanto, Erick Thohir è tornato ad esporsi in prima persona direttamente dal suo Paese, dove ha informato i cronisti locali sullo stato dell’arte di questa lunga ed estenuante trattativa; e soprattutto, su quelle che sono le sue reali intenzioni. La storia è nota: il re dei media indonesiani ha fatto capire di voler arrivare all’Inter con un primo obiettivo ben preciso, ovvero quello di aiutare il club a rilanciarsi sul piano dello sviluppo commerciale e del brand. Il suo quindi sarà un lavoro ben mirato, attraverso il quale portare il club, parole sue risalenti però a qualche tempo fa, tra i primi dieci a livello internazionale, anche, ma non solo, sul piano dei risultati sportivi. Un obiettivo sicuramente importante, improntato sulle esperienze delle principali società soprattutto della Premier League inglese.
Si prospetta per il 43enne magnate asiatico un’impresa non da poco, perché per perseguire i suoi obiettivi ha scelto di porre le sue basi in Italia, in un mercato che solo fino agli anni ’90 rappresentava il modello di riferimento nel Vecchio Continente, e che invece oggi paga dazio al cospetto di gran parte degli altri campionati. Sembra una sfida persa in partenza, perché, come ricordava giustamente anche il collega Marco Barzaghi nel suo editoriale di ieri, serve un percorso graduale e soprattutto tanti sacrifici e basi solide per poter pensare di ideare un progetto simile. Lo scetticismo in buona parte dei tifosi c’è, questo è indubbio, ma parlando a titolo personale mi sento comunque fiducioso. In primo luogo, perché ho capito che Thohir non sembra proprio il tipo atto a tirarsi indietro alle prime difficoltà. Un singolo episodio come l’imminente apertura dei cantieri per il nuovo stadio dei DC United a Buzzard Point, una sfida durata parecchi anni e alla fine vinta dal proprietario del club più titolato della MLS, può voler dire molto.
In seconda battuta, Thohir oltre a sapere cosa vuole sa anche come volerlo e soprattutto con chi: ha sempre dichiarato di essere una persona che ama lavorare di squadra, che non vuole far gravare solo ed esclusivamente su di sé successi e rischi di un’impresa. E così sarà anche all’Inter, perché, ipse dixit, “gli uomini hanno bisogno degli uomini”, e lui si porterà i suoi scudieri più fidati, identificati nelle figure di Rosan Roeslani e Handy Soetedjo, più gli eventuali altri nuovi membri del CdA. Non è uno sprovveduto, il signor Thohir, viene all’Inter con un progetto ben preciso. Che magari sarà più improntato sul business e meno sulla passione sportiva, ma questo può essere tutto sommato un problema relativo: anzi, magari il suo arrivo può anche essere il volano giusto per un cambio di mentalità dell’intero sistema calcio italiano, che continua a paludarsi su problemi ancestrali, ancor più di quanto sta facendo la proprietà americana della Roma.
E comunque, la componente della passione all’Inter non mancherà: la presenza della famiglia Moratti sarà in qualche modo salvaguardata, ormai è chiaro. E Moratti stesso, con l’inserimento di quella tanto vociferata ‘clausola tifosi’ che gli ha consentito di strappare un’opzione al fine di riprendersi il club nel caso in cui i risultati e soprattutto l’attaccamento della nuova proprietà nei confronti dell’Inter non dovesse rispondere alle aspettative, ha voluto farsi alfiere di questo valore. Valore che però tuttavia è costato negli anni tanti, tantissimi soldi: spese che gli sono costate molte critiche anche da parte degli stessi tifosi nerazzurri, magari gli stessi che ora storcono il naso di fronte alla prospettiva di vedere una IndoInter. Senza farsi una ragione del fatto che tutto questo è stato fatto per assecondare la sua passione e il suo amore verso questi colori, ma proprio tutto, compreso l’accoglimento di un gruppo di imprenditori provenienti dall’Estremo Oriente venuto per prendersi sì la maggioranza delle azioni, ma anche con lo scopo di aiutarlo.
Con la sola passione, in questo mondo del calcio, non si può andare avanti, ormai è chiaro. Se avesse voluto far valere la leva della passione, anziché bussare alla porta dell’Inter, magari Thohir, volendo costruire uno scenario un po’ fantascientifico, avrebbe potuto bussare alla porta del signor Giorgio Armani a chiedere la proprietà dell’Olimpia Milano; il connubio perfetto per lui, grande appassionato di pallacanestro (chissà i tifosi biancorossi cosa ne avrebbero pensato...). Lui invece ha individuato nell’Inter la squadra ideale da far crescere e rilanciare ad alti livelli, e ha deciso di farlo insieme alla famiglia Moratti. Come due genitori che vogliono far crescere una figlia, secondo metafora assai azzeccata dello stesso presidente: una figlia proiettata nel domani, che magari “sarà femmina e si chiamerà Futura”, come cantava l’immortale Lucio Dalla, anche se russi e americani sono da tutt’altra parte. Ma che sarà sempre e inesorabilmente una sola cosa: l’Inter.
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