Forse dirlo a questo punto può anche suonare ingeneroso, del resto stiamo parlando di un ragazzo che il prossimo 25 ottobre compirà 28 anni e si trova quindi in quella che in maniera un po’ prosaica viene definita ‘maturità agonistica’. Però è un dato che di fatto che se non rientra pienamente nel novero delle ‘grandi incompiute’ del calcio italiano, in questo momento Federico Chiesa si trova perlomeno con un piede oltre la fatidica linea di demarcazione. La situazione paradossale che il figlio di Enrico, ex attaccante di Parma e Sampdoria, sta vivendo in questa estate non è che il culmine, in negativo, di un’esperienza con la maglia della Juventus iniziata tra mille squilli di tromba e rivelatasi poi più piena di ombre che di luci.
Sabato sera la Juve della nuova era Thiago Motta è scesa in campo a Pescara in amichevole, ottenendo un pareggio abbastanza sudato contro il Brest, la formazione bretone che l’anno prossimo farà il suo debutto in Champions League. Confermando di essere una squadra ancora in pieno rodaggio con diverse cose da sistemare, come logico che sia anche se ormai l’inizio della stagione si approssima sempre più; ma soprattutto, lo ha fatto lasciando a casa sia quel Tiago Djalò arrivato a Torino essenzialmente come frutto della volontà di fare uno ‘sgarro’ all’Inter lo scorso gennaio più che per mera convinzione tecnica, e che dopo essere stato fermo per mesi pare dover realizzare di non avere troppe prospettive in questa squadra almeno per questa stagione, e appunto Chiesa. Assenza seguita poi da una coda pesantissima, nella quale di fatto il nuovo tecnico della Signora ha sancito la fine della sua esperienza all’ombra della Mole Antonelliana.
Motta è uno abituato a non guardare in faccia niente e nessuno e ad usare quando necessario metodi duri e senza troppa diplomazia, lo abbiamo imparato bene anche al Bologna quando ad esempio ci sono state da gestire le bizze di Marko Arnautovic. E come da suo stile, l’ex centrocampista di Barcellona, Genoa, Inter e PSG non è stato proprio tenero quando si è trattato di inquadrare lo stato dell’arte: “Chiesa è rimasto fuori per motivi di mercato, sia lui che gli altri rimasti a casa, tranne Fabio Miretti che è infortunato. Siamo stati chiari con loro. Sono tutti calciatori bravi, ma devono cercare delle soluzioni dove possono giocare di più. Sia per Chiesa che gli altri sono decisioni prese”. Insomma, un siluro scagliato senza pensare ad eventuali cautele. E che di fatto, come detto, rappresenta il sigillo sulla fine dell’avventura bianconera del giocatore. Un vortice negativo iniziato dopo gli ottimi Europei del 2021, dopo i quali Chiesa è rimasto impantanato in una serie di problemi fisici più o meno gravi e anche in una serie di equivoci tattici tra lui e Massimiliano Allegri, che hanno dato adito a tratti anche ad un aspro dibattito che ha visto i tifosi juventini dividersi in due fazioni.
Chiesa si aggiunge così alla corposa lista di acquisti economicamente importanti effettuati dalla Juventus in questi ultimi anni, che però a livello sportivo non hanno reso secondo gli esiti sperati e soprattutto in base alla spesa, e che alla fine hanno comportato aggravi di rilievo nei bilanci del club, evidenziati in maniera impietosa negli ultimi giorni anche dall’agente di Matias Soulé, che senza mezzi termini ha indicato proprio nei problemi di soldi la causa della decisione di liberarsi del talento argentino finito alla Roma (e rebus sic stantibus, l’alibi della proprietà munifica che si occupa sempre di ricapitalizzare non può essere un jolly valido ad ogni occasione). Ma in questo caso la Juve deve anche mettere in conto anche l’ipotesi di non poter ricavare molto dalla cessione del giocatore, che prima o poi a questo punto arriverà. Anzi, il rischio concreto è quello di vedere partire Chiesa a parametro zero, visto che il contratto andrà in scadenza a giugno e lui non vuole sentire parlare nemmeno di un rinnovo ‘ponte’, propedeutico ad una partenza a condizioni diverse.
Che ne sarà, ora, di Chiesa? Dalla Continassa sperano di poter risolvere la questione magari agganciando la Premier League, magari un club in particolare che negli ultimi anni si è prodigato parecchio a togliere le castagne dal fuoco ai bianconeri permettendo loro di realizzare plusvalenze importanti. Ma le ombre più minacciose provengono dalla Serie A: da tempo si parla del Napoli, dove con Antonio Conte potrebbe rilanciarsi pur non godendo del palcoscenico europeo. Ma nelle ultime ore, ha preso piede con sempre maggiore prepotenza anche l’ipotesi Inter: potrebbe essere lui il nuovo colpo a parametro zero che Beppe Marotta punta a mettere nella sua luccicante collezione, un pensiero legittimo considerati i numerosi precedenti al di là di vaneggi e complottismi di sorta. Ma man mano che passa il tempo, si fa strada anche l’ipotesi di un colpo immediato, magari low cost, da parte dei nerazzurri. Che potrebbero inserirsi in quel gioco di reazioni a catena che vede Albert Gudmundsson, obiettivo di lungo corso proprio dell’Inter sul quale però pende la spada di Damocle della possibile riapertura di guai giudiziari in patria che hanno di fatto raffreddato le velleità di Viale della Liberazione, passare alla Fiorentina, che in questo modo arriverebbe a realizzare l’ennesimo affare con la Torino bianconera tramite la cessione di Nico Gonzalez.
Approfittando del meccanismo, l’Inter, qualora riuscisse a liberare gli slot occupati da Joaquin Correa e Martin Satriano, allora potrebbe sferrare il colpo e consegnare Federico Chiesa a Simone Inzaghi, che mai come quest’anno ha bisogno di un parco attaccanti più ampio e variegato possibile. Certo, le sofferenze patite da Chiesa nel 3-5-2 allegriano fanno storcere il naso ai più circa l’effettiva adattabilità al gioco del tecnico nerazzurro. Ma al di là delle qualità da Re Mida di colui che ormai è diventato il ‘Demone di Piacenza’, bisogna ristabilire le differenze tra il gioco di quella Juve e quello dell’Inter, il cui sistema si basa su fondamenti diversi, più votato al possesso palla, alla proiezione offensiva a organico pressoché pieno, agli inserimenti e all’occupazione massiccia delle aree avversarie. Un’identità tattica nella quale Chiesa può trovarsi a suo agio ad esempio come seconda punta, perché è pensando al ruolo di attaccante prima ancora che di esterno a tutta fascia che un suo eventuale acquisto troverebbe la sua ragion d’essere, al netto anche delle incognite legate alla tenuta fisica.
Rudi Garcia era un tecnico che iniziò benissimo la sua esperienza in Italia, prima di inciampare a Roma e naufragare a Napoli qualche anno più tardi. Ma ha comunque un merito: quello di aver alimentato il filone dei tecnici che hanno arricchito il vocabolario della lingua italiana, coniando la versione italiana di un proverbio francese divenuto poi di uso comune anche al di qua delle Alpi: “Mettere la chiesa al centro del villaggio”. Vedremo se un giorno anche il villaggio nerazzurro avrà un nuovo riferimento (scusando il francesismo).
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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